Stati Uniti
Il mercato dell’editoria è in profonda crisi negli Stati Uniti. Dal 2006 al 2012 sono stati tagliati 17 mila posti di lavoro. Il fatturato continua ad andare a picco. E’ necessario intervenire con nuovi modelli di business e, forse, con una maggiore diversificazione del prodotto.
Il fatturato totale del giornalismo americano è diminuito di un terzo dal 2006, secondo una nuova ricerca del Pew Research Center. E si è anche notevolmente modificata la composizione del fatturato (63-65 miliardi di dollari di ricavi nel 2012 per stampa, online e radiotelevisione), con la pubblicità in calo e le entrate dal pubblico, ad esempio sotto forma di abbonamenti, in crescita. Così come sono cresciute le entrate non tradizionali – servizi di marketing digitale, organizzazione di eventi, contributi di Fondazioni, investimenti: sono quadruplicate dal 2006, anche se restano una fetta ancora piccola della torta. Mettendo assieme ricerche di mercato, dati forniti dalle associazioni di categoria e informazioni raccolte direttamente e ritoccando i dati con i parametri dell’inflazione, Pew ha calcolato per il 2006 un fatturato complessivo del settore pari a 94-95 miliardi di dollari.
Cioè circa 30 miliardi di dollari in più rispetto ai 63-65 miliardi di oggi, stando alle stime 2012-2013 contenute nel Rapporto sullo State of the News Media.
Dal 2006 al 2012, sempre secondo il Rapporto, nel settore carta sarebbero stati tagliati circa 17.000 posti di lavoro a tempo pieno nelle redazioni, secondo il censimento dell’American Society of Editors.
Nel 2006, la pubblicità su carta e online rappresentava l’82% di tutte le entrate, prima che la grande Recessione danneggiasse ulteriormente l’economia dell’editoria giornalistica. Oggi la pubblicità rappresenta ancora la maggior parte delle entrate, ma la percentuale è scesa al 69% della torta dei ricavi, di cui oltre la metà proviene dall’industria dei giornali, per i quali i ricavi pubblicitari sono calati del 55% fra il 2006 e il 2012.
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Essendo scesa la pubblicità, i ricavi generati dagli utenti, tra cui abbonamenti, canoni delle tv via cavo e investimenti individuali, sono diventati una fetta maggiore. Nel 2006, si calcola, essi rappresentavano solo il 16 % delle entrate, mentre ora sono saliti al 24%, con un aumento del 50% in più rispetto al 2006.
Ma, anche se è cresciuta in termini percentuali, l’ammontare delle entrate dal lato utenti è lo stesso del 2006. Considerando l’inflazione, il dato risulta pari a 15 miliardi, nel 2006 e oggi.
I ricavi diffusionali dei giornali, dopo cinque anni di calo fra il 2006 e il 2011, sono cresciuti del 5% nel 2012, per l’aumento dei prezzi e dei pacchetti digitali. E ci si attende un pareggio o un lieve aumento delle entrate per il 2013. Nel settore televisivo, i diritti per le repliche, di cui stanno beneficiando le reti via cavo e il broadcast e le loro redazioni, sono stati costantemente in aumento nell’ultima manciata di anni.
C’è infine un altro piccolo, ma crescente, insieme di flussi di entrate: i contributi delle Fondazioni, i ricavi per eventi e servizi di marketing digitale e gli investimenti diretti da parte di gruppi di venture capital e dei proprietari, che sono cresciuti da circa il 2% di tutte le entrate del 2006 a circa l’ 8% di oggi. Un esempio di questi flussi è l’investimento dei primi 50 milioni di dollari (dei 250 preventivati) del fondatore di eBay, Pierre Omidyar, per il lancio di First Look Media.
Qualche analista prevede che i ricavi pubblicitari persi in questi anni possano tornare verso le testate. Mentre la situazione delle entrate dal pubblico sta diventando sempre più critica e non riesce a compensare completamente il calo degli investimenti pubblicitari. Ecco perché la maggior parte dei discorsi che si fanno sul futuro dell’editoria giornalistica torna sempre a quello di cui si parlava prima: la coltivazione di una varietà di flussi di entrate, comprese quelli non tradizionali, e la sperimentazione di nuove modalità di sostenibilità per il giornalismo.