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#Vorticidigitali. Cyberbullismo, demonizzare internet non serve ma la questione va presa di petto

#vorticidigitali è una rubrica settimanale a cura di @andrea_boscaro promossa da Key4biz e www.thevortex.it.
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Italia


Per una volta facciamo una pausa nei nostri Vortici Digitali dal mondo del business per affrontare una vera e propria piaga sociale che, secondo la ricerca Ipsos per Save The Children, ha superato nel 2013 nella percezione dei teenager il pericolo costituito dalla droga: il cyberbullismo. Se il 70% degli adolescenti naviga più di due ore al giorno e lo fa soprattutto per chattare e per usare i social media, si scopre che il fenomeno del bullismo non riguarda solo il sesso, ma tutti gli aspetti che interessano le fratture della nostra società: la politica, la religione, la condizione personale e sociale.

 

Se il fenomeno è percepito come preoccupante dai ragazzi che ne colgono gli aspetti di ampiezza, anonimato e persistenza, allora deve essere fatto proprio anche dagli adulti – genitori, insegnanti ed osservatori esterni, perché si impegnino a diffondere una vera e propria “educazione al digitale“: demonizzare Internet non serve – il bullismo è sempre esistito – ma serve affrontarne le caratteristiche specifiche alla luce del mezzo su cui si diffonde.

 

Senza pretesa di esaustività, ecco alcuni spunti per prenderlo di petto:

 

– diffondere la consapevolezza presso le famiglie che quanto avviene in Rete ha rilevanza tanto quanto ciò che accade a scuola: chiedere “com’è andata oggi su Facebook?” dovrebbe andare in parallelo con la domanda più tradizionale “com’è andata oggi a scuola?”;

 

– prendere coscienza del funzionamento delle piattaforme digitali e definire insieme ai ragazzi le impostazioni legate alla privacy perchè non tutto sia pubblico, ma anzi ci si avvalga il più possibile delle funzionalità di contenimento della diffusioni delle informazioni e delle foto in Rete;

 

 – invitare a non lasciare mai online in particolare i numeri di telefono;

 

 – limitare l’uso dei social network ed in particolare educare ad un uso sicuro della Rete per esempio invitando a non frequentare piattaforme che si basano sull’anonimato come Ask.fm;

 

 – facilitare la connessione, se non in termini di condivisione delle credenziali di accesso, almeno in termini di “amicizia” fra ragazzi e genitori o fra ragazzi e amici adulti della famiglia così da avere una maggiore attenzione al comportamento online;

 

 – chiedere ai ragazzi come funzionano le piattaforme per stabilire un rapporto di interesse e di fiducia approfittando dell’occasione per comprendere la consapevolezza dei ragazzi stessi circa l’uso delle impostazioni sulla privacy;

 

 – impostare strumenti di ascolto della Rete come “Google News Alert” o ricerche su Twitter per intercettare conversazioni inerenti i nomi dei ragazzi;

 

 – non temere di rivolgersi agli insegnanti o alle famiglie dei compagni di scuola in caso di episodi spiacevoli;

 

– approfittare dei tanti casi di cronaca per parlarne in famiglia e capire se vi siano stati episodi analoghi in classe e quali sono state o sarebbero le reazioni;

 

 – invitare a non dare corda ai “bulli”, modificando le cerchie degli amici o addirittura lasciare per qualche tempi i social media: il bullismo nasce dalla volontà di umiliare gli altri e perde forza di fronte alla mancata reazione;

 

 – lavorare educativamente anche sui bulli e non solo sui “bullati” per farne sentire la responsabilità;

 

– sostenere le iniziative, come quella recentemente lanciata da Miur e Agcom, per un codice di autodisciplina delle piattaforme digitali in merito alla prevenzione e alla gestione dei casi di cyberbullismo.

 

Se, come dice Lawrence Lessig, di fronte alla crescita del tempo che passiamo online “il codice è la legge”, avere adolescenti più capaci di proteggersi dall’abuso del digitale, servirà ad avere più cittadini capaci di chiedere e rispettare buone leggi.

 

 

 

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