#cosedanoncredere è una rubrica settimanale a cura di Massimiliano Dona promossa da Key4biz e Unione Nazionale Consumatori.
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Italia
Un tempo ai consumatori si promettevano prodotti duraturi e la longevità era una delle caratteristiche più pubblicizzate: automobili ed elettrodomestici, ma anche abbigliamento e scarpe erano giudicati dai nostri genitori in base agli anni di “servizio”.
E non solo, per far durare questi prodotti si vendevano altri prodotti: dall’olio motore per la nostra vettura, all’anticalcare per la lavatrice, alla candeggina delicata per preservare la camicia dagli strappi.
Oggi il mondo va in un’altra direzione ed è diffusa la sensazione che la modernità non abbia portato un allungamento della vita dei prodotti. Al contrario, questi sembrano “programmati” per cicli di vita più brevi. E’ il fenomeno che va sotto il nome di obsolescenza programmata.
Di che si tratta? E’ presto detto: per usare le parole di Serge Latouche (il filosofo francese della decrescita felice), “fin dall’inizio il prodotto viene concepito per avere una durata limitata”.
Guardate che non è una teoria complottista che vuole disegnare i produttori di beni come affaristi e speculatori. E’ storia: già nel 1924, negli Stati Uniti, i produttori di lampadine costituirono un cartello anticoncorrenziale per limitare “convenzionalmente” la durata del prodotto a mille ore, mentre già all’epoca la vita media di una lampadina era più del doppio!
Perché realizzare un simile accordo sotto banco? Semplice: per garantire una richiesta costante di nuove lampadine e dunque profumati introiti per i produttori.
Purtroppo il caso non è rimasto isolato: dai collant per signora alle stampanti, tanto meglio vendere prodotti destinati a rompersi pur di generare nei consumatori la necessità di acquistarne di nuovi.
Sarà capitato anche a voi, portando in assistenza un elettrodomestico, di sentirvi dire che riparare costa troppo, meglio comprarne uno nuovo.
Allora forse sta proprio ai consumatori mettere fuori mercato prodotti a rapida obsolescenza. Non è facile rinunciare a comprare il prodotto più trendy, ma in tempi di crisi non possiamo accettare queste furbizie sulla nostra pelle.
Come venirne fuori? Forse per scoraggiare l’immissione sul mercato di prodotti-spazzatura dovremmo passare al pay-per-use: invece di acquistare un prodotto, il consumatore potrebbe pagare solo per utilizzarlo. Un modo per spingere le imprese a distribuire prodotti durevoli (ed anche a preservare l’ambiente). Che ne dite?