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#vorticidigitali è una rubrica settimanale a cura di @andrea_boscaro promossa da Key4biz e www.thevortex.it. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.
“Il coraggio, uno non se lo può dare”: così Alessandro Manzoni descriveva Don Abbondio prossimo all’incontro con i Bravi inviati da Don Rodrigo e questa antica immagine vale ancor oggi per Twitter e per gli hashtag. Ci piaccia o non ci piaccia, non a tutti è dato imporre un cancelletto.
L’hashtag è certamente il meno intuitivo dei segni di Twitter ed infatti è usato a sproposito e, in modo altrettanto improprio, automaticamente ripostato su Facebook dove ad oggi è ben poco utilizzato: la sua mancata intuitività insieme a quella di altre funzionalità dell'”information network” più famoso del mondo è poi causa del mancato decollo nel nostro Paese di questa piattaforma, considerata a torto un sostituto di Facebook e certo indice del non semplice uso icastico della nostra bella e musicale lingua.
Che cos’è l’hashtag?
Esso è innanzitutto un gesto di cortesia verso i nostri follower. Quando si scrive e si intende dare una notizia, un dato, un’informazione o un’opinione su un argomento, ci prendiamo a cuore chi ci legge invitandolo ad informarsi anche con altri tweet relativi allo stesso tema. Anteponendo un cancelletto ad una parola (solo una), la rendiamo cliccabile e Twitter per noi fa una ricerca e restituisce tutti i tweet che hanno mostrato la stessa sensibilità. Per avere una visione esaustiva dei post contenenti questo termine però l’utente dovrebbe cercarlo nella search box della piattaforma.
Di converso, l’hashtag è poi un modo per rendere trovabile il nostro tweet per coloro che stanno cercando il termine a cui lo anteponiamo così da poter partecipare alla stessa conversazione. Ecco perché è importante fare ricerche, sperimentare e usare tool come Hashtagify e Tweetreach per individuare i termini corretti a cui “ancora” i nostri post in modo da dar loro la massima rilevanza.
Per il motivo di cui sopra, è complesso proporre hashtag. Ci riusciranno i mass media che li scrivono nei sottotitoli e li annunciano in trasmissione o gli inserzionisti che li pubblicano su spot e affissioni, ma per gli utenti privati, i professionisti e le PMI pensare di “proporre” un hashtag è un compito arduo: gli hashtag non si creano, si seguono. Anche salvandoseli come ricerche da monitorare costantemente.
Per rendere trovabili i nostri tweet, non sempre inserire gli hashtag è necessario. Lo sarà quando il termine rispetto al quale voler essere trovato non è un termine comune e non è intuitivo, ma perlopiù Twitter offrirà in ogni caso i nostri post a coloro che dovessero cercare tweet per la parola che inseriamo. Questo ci deve portare a guardare Twitter come il sito laddove invece Facebook è la newsletter.
Ciò che scriviamo su Facebook infatti è visto solo dai nostri liker e, per l’algoritmo di cui abbiamo parlato a lungo in questa rubrica, non da tutti. I tweet invece sono pubblici ed ecco perchè dobbiamo trattarli come le pagine del nostro sito che debbono sempre essere pensate a partire da una keyword ovvero da una ricerca del nostro utente target.