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Agid, troppe teste intorno al tavolo

Italia


#PAdigitale è una rubrica settimanale a cura di Paolo Colli Franzone promossa da Key4biz e NetSquare – Osservatorio Netics.  Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

 

 

Dotati di una buona dose di ottimismo, proviamo a dare per scontata la definitiva e sospiratissima approvazione dello statuto dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Entro fine gennaio, come promesso da dichiarazioni di Palazzo Chigi.

A questo punto, cominciano le danze: AGID deve recuperare almeno diciotto mesi di lavoro a ritmi ridotti, trascorsi perlopiù a rincorrere le scadenze “obbligatorie” (derivanti perlopiù dal CAD), a traslocare da Viale Marx a Via Liszt e a stemperare le ansie di dirigenti e dipendenti tutti.

 

Ma, forse, abbiamo ancora un problema.

AGID ha una struttura appena sufficiente a garantire il suo funzionamento “tradizionale”, quello che ha a che fare con la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e della Sanità italiana. Ed ha una pianta organica “blindata” per statuto.

Ma AGID ha ricevuto, col decreto che l’ha costituita, una serie rilevante di competenze ulteriori: dalla diffusione delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni presso cittadini e imprese al coordinamento delle iniziative di ricerca e innovazione a partire da “Horizon 2020“.

Sotto un profilo puramente operativo, sicuramente AGID affronterà queste nuove (sinora quasi del tutto “inesplorate”) competenze attraverso risorse proprie e qualche collaboratore esterno. E fin qui, ci siamo.

Continua a non essere chiaro il “cosa c’è sopra”: chi si occupa di definire le politiche che poi AGID dovrà attuare.

L’attuale “struttura di missione” presso la Presidenza del Consiglio sta facendo un enorme lavoro (espletato a titolo gratuito da Francesco Caio e dai suoi “saggi”) soprattutto per quello che riguarda la normazione necessaria a sbloccare i tre primi obiettivi strategici (identità digitale, anagrafe unica nazionale, fatturazione elettronica).

Non risulta, salvo errori ed omissioni, l’attribuzione di una delega specifica sull’Agenda Digitale in seno al Consiglio dei Ministri: se ne occupano in tanti, espressione che potrebbe anche essere letta come “non se ne occupa nessuno”. La parte preminente delle deleghe in qualche modo riconducibili ai temi dell’Agenda Digitale (esclusa la componente PA) è in capo al Viceministro Catricalà, e questa potrebbe essere una buona notizia considerando la serietà e la competenza della persona.

Ma siamo sempre alle solite: deleghe parziali.

Immaginando di dover riunire tutti i Ministri, Viceministri e Sottosegretari che si occupano di temi riconducibili all’Agenda Digitale – sempre salvo errori ed omissioni e dopo un’attenta lettura di tutti i decreti di attribuzione delle deleghe – dovremmo prevedere un tavolo piuttosto lungo e non meno di dodici poltrone. Troppe, e non vogliamo neppure immaginare il tempo necessario a mettere d’accordo dodici agende per fissare una riunione.

Nel frattempo, in giro per il Paese sono partite non poche iniziative di promozione dell’economia digitale su iniziativa di alcune Regioni e – soprattutto – di entità private. E non può essere altrimenti: il digitale “c’è”, e sta diventando sempre più “pesante” in termini di PIL e di posti di lavoro.

 

Stiamo parlando di “digitale” e non di “informatica”: l’informatica è un sottoinsieme (grande a piacere) di un ecosistema molto più articolato e complesso. Dai sensori alle wearable technologies, passando attraverso “digital makers” sempre più numerosi.

Stiamo parlando, soprattutto, di un qualcosa che può/deve permeare tutti gli altri comparti dell’economia reale: dal turismo all’agricoltura, dalla tutela e promozione dei beni culturali ai trasporti, eccetera.

Il tema non è (soltanto) “sviluppare il mercato ICT”: il tema è decisamente più grosso e – probabilmente – esiziale rispetto alla crescita complessiva del Paese.

Comincia ad avere molto senso il provare a ragionare intorno all’istituzione di un Ministero (o, quantomeno, di un sottosegretariato alla Presidenza o allo sviluppo economico) esplicitamente connotato dalla locuzione “Politiche Digitali”. Perché è di politiche digitali, che abbiamo bisogno.

Politiche e piani: quale ruolo vogliamo giocare sullo scacchiere internazionale, quali competenze dobbiamo sviluppare, quali incentivi vogliamo garantire a chi “realmente” (non soltanto sulla carta) vuole innovare i suoi processi produttivi e/o i suoi prodotti, eccetera. Politiche, insomma.

Se è vero che siamo nell’imminenza di un rimpasto governativo, piccolo o grande che sia, vale la pena di provare a lanciare questo grido. Vedi mai che ci ascoltino.

Un Ministro (o un Sottosegretario) per le Politiche Digitali.

Adesso.

Grazie.

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