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#Tecnolaw. Il conflitto Agcom-Agcm sulla competenza nella tutela dei consumatori: dal Parlamento una proposta risolutiva?

Italia


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Torniamo ad esaminare il tema del conflitto di competenza in materia di tutela dei consumatori nei settori regolati, già più volte approfondito in giurisprudenza ed in dottrina, poiché è all’esame del Parlamento uno schema di Decreto Legislativo che dovrebbe disciplinare le modalità per superare, auspicabilmente in modo definitivo, le problematiche relative al conflitto sulla competenza in materia di tutela dei consumatori nei settori regolamentati.

 

Il Consiglio dei Ministri del 3 dicembre 2013 ha preliminarmente approvato e trasmesso al Parlamento, per l’acquisizione dei prescritti pareri entro il 13 gennaio 2014, uno schema di decreto legislativo che attua la direttiva 2011/83/UE, avente ad oggetto la semplificazione e l’aggiornamento delle norme sulla tutela dei consumatori nei contratti negoziati fuori dai locali commerciali e nei contratti a distanza.

 

Nel corpo del decreto di recepimento il Governo ha inoltre inserito una norma (art. 67, comma 2-bis) che avrebbe lo scopo di risolvere le numerose problematiche giuridiche ed operative legate alla sovrapposizione tra le norme dettate a tutela dei consumatori dalle discipline speciali dei mercati regolati (ad esempio, con diverse accezioni, nei settori delle comunicazioni, dell’energia, delle assicurazioni, delle banche, dei trasporti, dei farmaci) e la disciplina generale prevista dalla direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali applicata in Italia dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ai sensi del Codice del Consumo.

 

La controversa tematica era già stata affrontata dal parere del Consiglio di Stato n. 3999/2008, adottato su richiesta dell’AGCM in merito all’applicazione della disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette ai servizi finanziari, sui quali anche la Consob esercitava specifiche competenze a tutela del consumatore. In quel caso il Consiglio di Stato ha espressamente negato la competenza dell’AGCM.

 

Più complessa si è rivelata la situazione in altri settori nei quali si è assistito ad una duplicazione dell’intervento dell’AGCM e dell’Autorità di regolamentazione. Come nel settore energetico (nei casi relativi ad attivazioni non richieste e a richiesta cambio fornitore), anche nei mercati delle comunicazioni elettroniche si è assistito a diverse fattispecie nelle quali uno stesso comportamento commerciale degli operatori è stato sanzionato più volte sia da AGCOM che da AGCM (ad esempio, nel caso del pagamento online con addebito in bolletta), oppure era stato autorizzato dall’Autorità di settore, ma censurato e sanzionato dall’Antitrust (ad esempio, nella fattispecie della rimodulazione delle tariffe). L’applicazione complementare delle due normative, seppur spesso divergente, era stata inizialmente ammessa dalla giurisprudenza amministrativa, ma aveva costretto le imprese ad affrontare indirizzi applicativi differenti e, quindi, numerose incertezze operative. Tale situazione aveva anche dato luogo ad un vasto contenzioso dinanzi al giudice amministrativo, nel quale AGCOM si è in alcuni casi costituita in giudizio in conflitto con AGCM. Il supremo organo amministrativo, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, si è pronunciata con le sentenze da 11 a 16 dell’11 maggio 2012 affermando, in sintesi, che in caso di contrasto tra la normativa speciale e quella generale, per evitare un doppio giudizio sulla medesima fattispecie  – che configura una violazione di un principio cardine dell’ordinamento (bis in idem) e un danno per le imprese e per l’efficienza dell’azione amministrativa – si dovesse applicare la competenza esclusiva dell’AGCOM in virtù della prevalenza delle norme speciali del settore delle comunicazioni elettroniche che formano una disciplina esaustiva di matrice comunitaria e dotata degli adeguati presidi sanzionatori.

 

Nell’agosto 2012 è stata inoltre introdotta una norma di legge (art. 23, comma 12 quiquiesdecies, D.L. 95/2012) che, anziché risolvere la controversia istituzionale e dare certezze al mercato, ha ulteriormente ampliato il perimetro dei settori regolati nei quali si sono accessi dei conflitti in sede amministrativa.

 

Il tema è stato anche posto all’attenzione della Commissione europea che, nell’ottobre 2013, ha trasmesso una lettera di messa in mora al Governo Italiano in merito ai citati interventi legislativi e giurisprudenziali sottolineando che l’interpretazione del criterio di specialità seguita dal legislatore e dalla giurisprudenza amministrativa comporterebbe una incompleta attuazione della Direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

 

In una prospettiva comunitaria, che definisce, da un lato, i criteri per disciplinare il contrasto tra la normativa generale e le normative speciali, e dall’altro attribuisce  poteri sempre più ampi alle Autorità di regolamentazione nazionali in materia di tutela dei consumatori, esaminiamo la proposta di disciplina introdotta nello schema di D. Lgs. attualmente all’esame del Parlamento.

 

La formulazione proposta dal Consiglio del Ministri si caratterizza per una contraddittorietà intrinseca ed indeterminatezza che non risolve le problematiche sopra descritte, anzi rischia di dare nuovamente luogo ad incertezze sulle competenze e duplicare gli interventi sanzionatori, magari confliggenti, sulla medesime fattispecie. Ciò comporterà inevitabilmente dubbi operativi e maggiori costi per le imprese (e, in ultima istanza, per i consumatori), nonché il riaccendersi di un contenzioso amministrativo tra le Autorità e le imprese, nonché tra le stesse amministrazioni, che non risponde certo ai criteri di “trasparenza, celerità, efficacia e economicità dell’azione amministrativa” che sono richiamati nella Relazione del Governo.

 

Infatti la formulazione proposta nel primo capoverso del comma 2 dell’art. 67 dello schema di decreto legislativo rischia di riportare il mercato alla medesima situazione di incertezza anteriore alle citate sentenze dell’Adunanza Plenaria, definendo una linea di separazione tra l’applicazione della normativa settoriale e quella speciale non differente da quella introdotta dal legislatore nell’agosto 2012, che si è dimostrata ambigua e foriera di esiti contrari agli obiettivi per i quali era stata redatta, tanto da dare spazio all’intervento della magistratura che ha affermato la prevalenza delle norme settoriali anche nei settori delle assicurazioni private (sentenza TAR Lazio n. 535/2013, Zuritel) e dei medicinali e dei dispositivi medici (sentenza TAR Lazio n. 6962/2012, Starbene).

 

Tra l’altro sembrerebbe introdurre, in un primo capoverso, un limite sostanziale all’applicazione del Codice del Consumo poiché si ribadirebbe “l’intangibilità del potere di regolazione spettante alle singole Autorità di settore”, ma senza definire quale sia il criterio per determinare il perimetro effettivo della regolazione, ossia se sia sufficiente una norma primaria attributiva della competenza o occorra una regolamentazione secondaria che ne specifichi gli ambiti applicativi. E quindi si ricadrebbe nel rischio di un conflitto tra Autorità – che si perpetua da anni –  sull’interpretazione del confine tra regolazione e normativa generale e se questo confine debba essere “elastico” in relazione all’evoluzione della regolamentazione, con la normativa generale che avrebbe sempre minore potere di valutare la scorrettezza di una pratica tanto più si estende il perimetro dell’azione del regolatore.

 

E non può essere conferito un ruolo applicativo e procedimentale nel determinare il perimetro di azione di AGCM e della Autorità di settore ai protocolli di intesa tra le Autorità, – come propone il Governo – che non possono certo costituire il presupposto per determinare l’ambito applicativo del potere sanzionatorio di un’Autorità, per il quale l’ordinamento italiano richiede un intervento legislativo.

 

Senza poter approfondire, in questa sede, l’ambito di sovrapposizione tra la normativa generale in tema di pratiche commerciali sleali e le diverse competenze attribuite dalle normative settoriali ad Autorità e organismi ministeriali in materia di tutela del consumatore, ci limitiamo ad osservare, a titolo di esempio, che nel settore delle comunicazioni elettroniche l’imposizione di un vincolo recessivo all’applicazione della regolamentazione settoriale a tutela dei consumatori (previsto invece nel II capoverso del medesimo comma 2-bis) rischia di dar luogo a nuove procedure comunitarie di infrazione. Infatti, il ruolo dell’AGCOM come autorità che esercita ampi e crescenti poteri nella tutela dei consumatori è stato stabilito dalla Direttiva Servizio Universale 2002/21/CE e rafforzato dalla Direttiva 2009/136/UE. Ulteriori poteri sono previsti per le Autorità di regolamentazione di settore dei 28 Stati membri nel Regolamento comunitario proposto nel settembre 2013 dalla Commissaria Kroes (c.d. Single Market) in discussione in questi giorni al Parlamento Europeo (art. 21 e ss.). Perciò il legislatore comunitario sembra voler anticipare nel settore delle comunicazioni, come già accaduto nel passato, un sostanziale ampliamento del ruolo delle Autorità di settore, dalla regolazione ex ante del mercato in una prospettiva procompetitiva ad un ruolo di garante della trasparenza e della correttezza dell’interazione commerciale operatore/utente.

 

Una proposta di buon senso che potrebbe risolvere la complessa e delicata sovrapposizione di competenze che le direttive comunitarie attribuiscono alle due Autorità per tutelare i consumatori potrebbe essere l’assegnazione ad AGCOM, in via legislativa, del potere di applicare non solo le proprie competenze settoriali, ma anche la normativa in materia di pratiche commerciali scorrette di cui agli artt. 20 e ss. del Codice del Consumo, limitatamente al settore delle comunicazioni elettroniche (o, se si ritiene, dei media e dell’editoria).

 

Tale attribuzione ad AGCOM non sminuirebbe lo standard di tutela del consumatore poiché le norme sostanziali sarebbero le stesse applicate negli altri settori dall’AGCM. Inoltre, fino ad oggi l’AGCOM ha dimostrato di non avere certamente remore a intervenire nei confronti degli operatori utilizzando ripetutamente anche lo strumento della sanzione.

 

Se il legislatore comunitario ha chiaramente indicato le caratteristiche ed i poteri delle Autorità nazionali di regolamentazione come un unicum istituzionale, titolari di poteri settoriali di regolazione anche per le tematiche di tutela del consumatore e ne ha rafforzato l’indipendenza organizzativa e finanziaria anche nei confronti dei Governi nazionali (anche tramite l’istituzione con il Regolamento 1211/2009 di un organismo sovranazionale di coordinamento, il BEREC), lo stesso non si può dire per l’applicazione della Direttiva 2005/29/CE.

 

Infatti non vi sono ostacoli comunitari all’allocazione delle competenze in materia di pratiche commerciali scorrette in capo a diverse autorità poiché la citata direttiva prevede che ciascuno Stato membro attribuisca il compito e gli strumenti di “combattere le pratiche commerciali sleali” ad un organo amministrativo oppure giurisdizionale, ma lo possa fare secondo i propri modelli istituzionali (come accade in Germania, dove vi è un sistema misto che prevede l’intervento del giudice, dei comitati di conciliazione e dell’autorità amministrativa). E nella Direttiva 2005/29/CE non appare esserci un vincolo alla libertà costituzionale del legislatore nazionale che imponga l’attribuzione ad un’unica autorità amministrativa; al contrario, il legislatore comunitario si limita a qualificare la natura amministrativa o giurisdizionale degli organismi che possono essere incaricati di “combattere le pratiche commerciali sleali” e non la necessità di doverlo attribuire ad un’unica istituzione nazionale. Anzi un modello “policentrico” differenziato sulla base delle caratteristiche istituzionali nazionali è espressamente disciplinato nel Regolamento CE 2006/2004 sulla cooperazione per la tutela dei consumatori che si limita a prevedere che, in ciascuno Stato membro, accanto alla coesistenza di una pluralità di organismi pubblici che possano “combattere le pratiche commerciali sleali” anche su base locale, debba soltanto esserci un “ufficio unico di collegamento” a livello nazionale, che in virtù dell’esperienza maturata, potrebbe essere attribuita ad AGCM.

 

Non vi sarebbe alcun onere ulteriore per la pubblica amministrazione poiché le risorse umane e finanziarie attualmente dedicate al settore potrebbero essere trasferite a parità di condizioni da AGCM ad AGCOM e organizzativamente potrebbe essere costituita in AGCOM una nuova direzione che affronti a tutto tondo, con la pienezza delle competenze, la regolamentazione, la vigilanza e il presidio sanzionatorio a tutela dei consumatori. Questa direzione sarebbe in grado di comprendere e disciplinare tempestivamente, grazie ad una equilibrata gestione di regolamentazione ex ante e di procedimenti sanzionatori, un mercato caratterizzato da una incessante evoluzione delle tecnologie, dei servizi, delle esigenze della domanda e dell’offerta e sarebbe in questo modo dotata di tutti gli strumenti per adeguatamente e tempestivamente presidiare gli interessi dei consumatori (anzi della più ampia categoria degli utenti) in tutte le fasi della relazione tra utenti ed imprese.

 

L’efficacia di questa soluzione (nonché i rischi di “cattura del regolatore” da taluni palesati) potrebbero essere monitorati con un obbligo di pareristica da richiedere ad AGCM, reciproco a quello attualmente previsto per i settori regolati da AGCOM ai sensi dell’art. 1, comma 6, lett. c, Legge 249/1997. L’obbligo di richiedere un parere non vincolante nell’ambito del procedimento sanzionatorio esercitato da AGCOM ai sensi del Codice del Consumo potrebbe rappresentare uno strumento che consenta di condividere tra le due istituzioni anche le preziose esperienze maturate dall’AGCM in altri settori, nonché un importante punto di riferimento per il giudice amministrativo, sempre competente a valutare la legittimità delle attività delle Autorità. Inoltre AGCOM ha un obbligo – previsto dalla sua legge istitutiva all’art. 1, comma 6, lett. c), n. 12 – di relazionare dettagliatamente al Parlamento in merito alla propria azione, nonché può essere stimolato dalla quotidiana attenzione degli stakeholder, in primis le associazioni consumeristiche,  i cui strumenti di impulso e di intervento già esistenti potrebbero essere ulteriormente rafforzati.

 

E dopo un opportuno periodo di applicazione di questo nuovo modello istituzionale, possiamo immaginare 3/5 anni, il legislatore potrà prevedere l’obbligo di un approfondito e ragionato bilancio sull’efficacia, l’efficienza e la proporzionalità dell’azione di AGCOM anche nell’applicazione delle norme del Codice del Consumo ed eventualmente adottare nuove soluzioni istituzionali.

 

Oppure il Parlamento potrebbe valutare se non sia ipotizzabile una più ampia applicazione di questo modello, che responsabilizzi ulteriormente le Autorità e le amministrazioni competenti a regolare specifici mercati in merito alle molteplici implicazioni, anche concorrenziali, della definizione di ecosistemi settoriali che garantisca pienamente la fruizione consapevole degli utenti/consumatori e consentano di focalizzare le risorse dell’AGCM nei confronti di settori finora meno presidiati.

 

In altri termini passare da una prima fase, nella quale AGCM ha svolto in modo autorevole ed efficace un ruolo di presidio a livello trasversale della tutela del consumatore imponendo standard crescenti di “contegno esigibile dal professionista diligente”, ad una seconda fase nella quale tutte le Autorità e le amministrazioni che regolano e vigilano specifici mercati contemplino la tutela dei consumatori come una modalità essenziale di corretta e compiuta regolazione dei mercati.

 

Perciò, esaminando la proposta all’esame del Parlamento – che poi dovrà essere definitivamente deliberata dal Consiglio dei Ministeri – alla luce della complessiva architettura comunitaria e del principio costituzionale di buona amministrazione, speriamo che, per una volta, prevalga il buon senso e non le consuete logiche di potere.

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