Unione Europea
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Un importante passo in avanti è stato fatto sul tema del regime giuridico della responsabilità dell’Internet Service Provider (ISP) con la pubblicazione delle conclusioni dell’avvocato generale Pedro Cruz Villalòn nella causa C-314/12 (UPC Telekabel Wien GmbH contro Constantin Film Verleih GmbH e Wega Filmproduktionsgesellshaft GmbH).
Quello espresso dall’avvocato Villalòn è un parere sulla questione giuridica avente contenuto anticipatorio della sentenza, il cui orientamento non è tuttavia vincolante per la Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Il parere tuttavia dà l’idea delle questioni e degli argomenti in gioco nel caso discusso davanti alla Corte.
Numerosi sono i nuovi spunti forniti al dibattito sulla natura e sui limiti della responsabilità dall’ISP, intermediario necessario per la pubblicazione di contenuti protetti dal diritto d’autore in rete.
I presupposti delle conclusioni in oggetto si ritrovano nella causa C-557/07 (LSG-Gesellschaft zur Wahrnehmung von leistungsschutzrechten contro Tele2 Telecommunication GmbH) proposta dinanzi alla Corte di Giustizia Europea dall’Oberster Gerichtshof ― Austria per la definizione del ruolo di intermediario dell’ISP e degli obblighi di comunicazione nei confronti dei privati nascenti in capo allo stesso, nella quale si è affermato il principio in base al quale l’ISP, quale fornitore di accesso che si limita a procurare agli utenti l’accesso a Internet, senza proporre altri servizi, deve essere considerato un “intermediario” ai sensi dell’art. 8, n. 3, della direttiva 2001/29/CE.
Conferma di tale inquadramento si è avuta nella causa C-70/10 (Scarlet Extended contro SABAM), instaurata dalla Corte d’Appello di Bruxelles nella quale la Corte di Giustizia Europea afferma che i titolari dei diritti di proprietà intellettuale possono chiedere un provvedimento inibitorio nei confronti degli intermediari, tra i quali ricomprende i fornitori di accesso, che contribuisca sia a porre fine alle violazioni già poste in essere sia a prevenirne di nuove, seppur entro i limiti del generale esonero dall’obbligo di sorveglianza generalizzato sui contenuti veicolati.
Nonostante le diverse pronunce della Corte Europea sul tema della responsabilità del provider, il dibattito rimane ancora aperto, seppur incentrato su un nuovo interrogativo: può il provider dell’utente che effettua l’accesso ai contenuti pubblicati in assenza dell’autorizzazione del titolare dei diritti essere considerato quale intermediario i cui servizi sono utilizzati da terzi per violare un diritto d’autore o diritti connessi sensi dell’art. 8, par. 3, della Direttiva 2001/29?
La risposta sembra essere affermativa, in quanto, pur in assenza di un rapporto contrattuale diretto tra il provider dell’utente e il soggetto che viola il diritto d’autore, appare innegabile che i servizi offerti dal provider del soggetto che accede ad un contenuto illegalmente pubblicato siano utilizzati per porre in essere la violazione.
L’art. 8, n. 3, della direttiva 2001/29/CE, infatti, stabilisce che: “Gli Stati membri si assicurano che i titolari dei diritti possano chiedere un provvedimento inibitorio nei confronti degli intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare un diritto d’autore o diritti connessi”.
Tale norma non fa alcun riferimento al vincolo contrattuale sottostante al rapporto di intermediazione ma solo all’utilizzo che un terzo può fare dei servizi offerti per violare il diritto d’autore. Tale utilizzo si realizzerebbe, secondo l’avvocato generale, attraverso la messa a disposizione del contenuto, che assume rilevanza solo grazie alla possibilità di accesso degli utenti.
Da ciò si ricava che i servizi offerti dal fornitore di accesso dell’utente vengono necessariamente utilizzati dall’autore della violazione per portala a compimento, seppur in mancanza di un rapporto contrattuale diretto del soggetto che ha immesso i contenuti in rete con quel determinato ISP.
La questione appare, però, più complessa e viene affrontata nella terza questione pregiudiziale rimessa alla Corte Europea, avente ad oggetto il c.d. divieto di risultato.
Il giudice di rinvio chiede alla Corte se il divieto generale di accesso a un determinato sito Internet sul quale sono pubblicati prevalentemente contenuti in violazione delle norme sulla tutela del diritto d’autore sia compatibile con il diritto dell’Unione Europea ed in particolare con i principi fondamentali dell’ordinamento sovranazionale. Tale questione apparentemente di carattere generale ha un importante risvolto processuale, poiché il fornitore di accesso, al quale non siano state imposte misure specifiche di intervento, potrebbe evitare sanzioni semplicemente fornendo la prova di aver adottato tutte le misure ragionevoli per evitare l’accesso al sito segnalato.
Secondo l’avvocato Villalòn, è necessario indicare all’ISP le concrete misure da adottare per impedire l’accesso ai contenuti illegali al fine di soddisfare i requisiti indicati dall’art. 8, n. 3, della direttiva 2001/29/CE e spetta alla normativa nazionale definire i requisiti dei provvedimenti da adottare sempre entro i limiti imposti dalle direttive 2001/29 e 2004/48, dai diritti fondamentali di cui all’art. 51, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dall’art. 6 TUE.
Il rispetto di tali principi è richiesto al fine di contemperare la tutela dei diritti dell’ISP (in particolare, la libertà di impresa e la libertà di espressione e di informazione) con il diritto della proprietà intellettuale ed in mancanza di una specificazione delle misure da adottare tale equilibrio non può dirsi raggiunto, in quanto ove l’ISP opti per una misura meno incisiva a favore della libertà di informazione, potrebbe essere soggetto a sanzioni durante la procedura esecutiva e nel caso in cui adotti una misura più severa si esporrebbe al dissenso dei propri clienti.
Accertata la necessità di definire le misure concrete di blocco a cui il provider deve ricorrere, si pone un ulteriore interrogativo: la prescrizione di misure concrete di blocco in capo all’ISP soddisfa il suddetto bilanciamento di interessi contrapposti?
La risposta potrebbe essere “forse”. Spetta, secondo l’avvocato Villalòn, ai giudici nazionali operare tale bilanciamento disponendo l’adozione di una misura necessaria e adeguata per il conseguimento dell’obiettivo, tenendo presente l’assunto in base al quale “una concreta misura di blocco non è, in linea di principio, sproporzionata, per il solo fatto che comporti un impiego di mezzi non trascurabile e che possa essere aggirata senza particolari conoscenze tecniche” (punto V-3).
È evidente sul punto, il cambiamento di rotta rispetto alla già citata sentenza Scarlet Extended contro Sabam, nella quale la Corte afferma che l’ingiunzione ad un provider volta a predisporre un sistema di filtraggio per il controllo dei dati complesso, costoso, permanente e unicamente a sue spese rappresenta sempre ed in ogni caso una grave violazione della libertà d’impresa del provider.
Concludendo, si osserva come non mancano all’interno del documento osservazioni di carattere generale su temi chiave della responsabilità dell’ISP, quali il generale obbligo di non sorveglianza dei provider di sui all’art. 15 della direttiva 2000/21/CE e la parallela ricomprensione del diritto di accesso all’interno del più generale principio della libertà di espressione e di informazione.
Già nella formulazione dei quesiti rimessi alla Corte, infatti, il ricorrente sottolinea che l’adozione di misure di blocco rimane subordinata alla notifica da parte del titolare dei diritti d’autore della presunta violazione, così sottolineando che il provider non è tenuto ad un generale obbligo di analisi dei contenuti, ma che può intervenire solo in presenza di una segnalazione del titolare dei diritti (punto 12).
Infine, proprio in tema di bilanciamento di interessi e di necessità ed adeguatezza delle misure di blocco, l’avvocato generale fa un breve cenno alla Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) emessa il 18 dicembre 2012 nella causa Yildirim contro Turchia, instaurata da un cittadino turco a seguito del blocco di Google Sites, a causa dell’accusa di aver pubblicato materiale offensivo contro Atatürk, primo Presidente della Repubblica turca.
In questa pronuncia, la CEDU afferma che l’accesso ad Internet è ricompreso nella libertà fondamentale di espressione e di informazione, garantita dall’art. 10 CEDU.
Le conclusioni dell’avvocato generale sembrano affermare, pertanto, il principio in base al quale in materia di enforcement del diritto d’autore non è possibile vietare in modo generale a un provider l’accesso a un determinato sito Internet, ma occorre un attento bilanciamento degli interessi contrapposti da parte dei giudici nazionali, i quali dovranno individuare caso per caso il provvedimento inibitorio più idoneo al contemperamento dei diritti sorgenti in capo alle parti in causa e, in particolare, tra la libertà di impresa degli operatori economici (art. 16 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), la libertà d’espressione e di informazione (art. 11 Carta) e la tutela dei diritti di proprietà intellettuale.