Lo stallo dell’AGID blocca anche le Regioni virtuose

di di Paolo Colli Franzone (NetSquare - Osservatorio Netics) |

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Paolo Colli Franzone

#PAdigitale è una rubrica settimanale a cura di Paolo Colli Franzone promossa da Key4biz e NetSquare – Osservatorio Netics.  Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

 

Mentre perdura la situazione di stallo a livello nazionale, con l’Agenzia per l’Italia Digitale ancora senza statuto e in assenza di segnali evidenti di una volontà di sbloccare la situazione, qualcosa – nonostante tutto – si muove. E si muove a livello locale, dove alcune (non tutte) Regioni e parecchi Comuni stanno definendo le loro agende digitali locali, allocando (pochi, ma sempre meglio di niente) fondi e definendo le loro strategie di utilizzo dei fondi strutturali della nuova programmazione 2014-2020.

 

Il quadro che emerge leggendo i dati dell’Osservatorio ICT PA e Sanità di Assinform (che saranno presentati il 20 novembre a Roma) evidenzia un mercato ICT specifico per il public sector complessivamente in affanno ma caratterizzato da rilevanti differenze tra i vari territori, al netto del calo “obbligato” derivante dai tagli targati “spending review”.

L’immediato futuro (il biennio 2014-15) porta con sé alcuni segnali incoraggianti: continuano a decrescere i budget stanziati per l’ICT (salvo qualche Regione del Sud che li incrementa significativamente, soprattutto per quanto riguarda la Sanità), ma cominciano finalmente ad affacciarsi i primi “coraggiosi” tentativi di procurement innovativo a partire da alcune iniziative di pre-commercial procurement e da qualche progetto di project financing che sembra arrivare finalmente in porto.

 

Nel frattempo, a livello centrale c’è calma pressoché piatta: la gara SPC non ha ancora visto la luce, e in tutti gli enti “big spender” si naviga a vista. Le vicende legate all’AGID rischiano di ritardare anche il famoso “piano data center“, che potrebbe rappresentare il punto di svolta per un mercato ICT che da troppi anni ha dimenticato numeri positivi a rappresentarne la dinamica.

 

Il rischio del perdurare di questo stallo (che ormai è tale da più di due anni, dopo i tentennamenti e la governance “confusa” introdotta dal Governo Monti e il “valzer dello statuto” che ha caratterizzato questo 2013 da dimenticare) è tutto quanto insito nella quantità di tempo che ancora si perderà prima di arrivare a una sintesi tra le strategie nazionali (ammesso che ve ne siano) e quelle espresse da alcuni contesti territoriali particolarmente avanti nella definizione delle loro strategie digitali.

Col pericolo che si ritorni al “grande errore” di inizio secolo, quello sciagurato “piano nazionale di e-government” che non seppe interpretare sé stesso diventando il mostro delle mille sperimentazioni, delle cento “riscoperte dell’acqua calda”, delle decine di progetti finanziati sulla base di logiche corporative (un tanto alle Regioni, un tanto alle Province, un tanto ai Comuni, e non dimentichiamoci le Comunità Montane) e di bilancini politici (un tanto a destra, un tanto a sinistra).

 

Ciò di cui si sente fortemente il bisogno è una sorta di “piano regolatore digitale nazionale”: qualcosa che superi la connotazione declaratoria che caratterizza il (poco) lavoro sinora fatto per l’Agenda Digitale, diventando un vero e proprio Master Plan.

Definendo, oltre agli obiettivi, i ruoli e le responsabilità: chi deve fare cosa, quando, come, con quali risorse.

Evitando le sovrapposizioni, quelle situazioni dove – ad esempio – ciascuno si inventa un suo sistema di autenticazione e identità digitale salvo poi diventare matti per rendere interoperabili soluzioni più disparate.

 

Un piano regolatore “top down” o “bottom up”?

Nessuno dei due, probabilmente. Sarebbe forse il caso di realizzarlo mettendo sin da subito insieme tutti i maggiori portatori di interesse “interni” (gli enti della PA) ed “esterni” (i fornitori e – soprattutto – i “fruitori” dei servizi di amministrazione digitale).

Anche perché, teniamone conto, qualsiasi serio tentativo di digitalizzare una volta per tutte la PA e la Sanità italiana passa esclusivamente attraverso operazioni di partenariato pubblico-privato.

Tanto vale, pertanto, dar vita a progetti sostenibili sia sotto il profilo tecnologico che – soprattutto – sotto quello economico-finanziario.

Un piano regolatore, quindi, destinato a diventare il prologo di una serie di piani industriali “settoriali” (sanità, giustizia, istruzione, trasporti, ecc.) da costruire in modalità “trilaterale”: la PA, i fornitori ICT, i finanziatori dei singoli progetti.

 

Non è poi così tanto difficile, se ci si pensa bene.

Può diventare difficilissimo, persino irrealizzabile, se continuiamo a ballare il valzer dello statuto e la tarantella della contrapposizione Stato-Regioni-Autonomie Locali.

Urgono decisioni, da parte di chi deve decidere.

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