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Lettera ANESTI: L’Italia oltre la crisi solo con tecnologie e innovazione. La recessione e le nuove leadership

Italia


Iniziamo oggi una nuova collaborazione con Eutimio Tiliacos, pubblicando la “Lettera ANESTI” per i lettori di Key4biz. Eutimio Tiliacos è un analista di grande esperienza internazionale che conosce molto bene l’Italia e con lui cercheremo di maneggiare di volta in volta le migliori chiavi di lettura per comprendere meglio le dinamiche che stanno riformulando i ranking internazionali tra economia, finanza, manifatturiero, conoscenze e istituzioni internazionali. 

 

 

 

L’opinione pubblica dopo essersi familiarizzata negli scorsi anni con il termine “spread” dovrà presto imparare a conoscere un altro termine del lessico finanziario inglese: la “great rotation“, che sta a indicare la migrazione degli investitori dal mercato obbligazionario a quello azionario e in generale verso impieghi alternativi alle obbligazioni a reddito fisso, indotta dalla convinzione che le banche centrali hanno abbandonato la politica di contenimento dell’inflazione a favore di una strategia -sempre in tema di inflazione- molto più permissiva che avrebbe  l’obiettivo  duplice: a) di rimettere in moto l’economia mondiale (!!!) e b) di ridurre in termini reali gli ammontari di debito contratti in questi anni a seguito della crisi che ci ha investito dall’Agosto 2007 (???) .

Si veda al riguardo quanto riportato sul  supplemento al Financial Times del 4 Marzo scorso: “The “great rotation” sounds like a dance craze; sadly it describes a more mundane movement – investors forsaking fixed income in favour of equities.….The cue would be the expectation, or actual arrival, of rising bond yields (and falling bond prices) and a sustained rise in share prices, as economic growth revives and central banks move away from the ultra loose monetary policies they have employed to fight deflation.”  ( ref: FTfm 4 March 2013 “What goes around comes around”).

 

Nel numero di Gennaio 2013 di Lettera ANESTI avevamo riferito dell’ammissione di un clamoroso errore di sottovalutazione degli effetti della politica fiscale emerso dallo studio appena allora pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale a firma del suo capo economista Olivier Blanchard da cui era emerso che, contrariamente ai calcoli econometrici effettuati prima del 2007/2008 i quali indicavano che per ogni 1% di maggiore prelievo fiscale l’effetto indotto di rallentamento sulla economia sarebbe stato dello 0,50% , l’effetto reale, a crisi esplosa, era stato ben maggiore dell’ordine cioè dell’1,65% (“a joint 1 percent of GDP fiscal consolidation by the domestic economy and by its partners (weighted by the share of exports in GDP) would lead to a domestic output loss of 1.652 percent, relative to forecast“, © 2013 International Monetary Fund WP/13/1 http://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2013/wp1301.pdf).

E’ successo cioè in economia quanto succede nel mondo scientifico quando si passa dalle teorie molecolari a quelle quantistiche e le leggi della fisica cambiano in maniera sinora non completamente spiegabile e non applicabile al mondo visibile.

 

Falliti i tentativi di rivitalizzare la precaria economia mondiale iniettando doviziosamente liquidità nel sistema e tenendo bassi i tassi di interesse quali presupposti di una ipotetica spontanea ripresa degli investimenti e della economia, un maleficio si sta ora impossessando delle principali banche centrali mondiali (Giappone, Usa, Inghilterra) ossia la convinzione che quanto non possibile sinora con gli strumenti applicati possa essere rimediato con un aumento controllato della inflazione. Si potrebbero citare molti documenti ufficiali al riguardo ma quello più rivelatore è il discorso del Governatore della Banca di Inghilterra Mervyn King agli industriali nord-irlandesi del 22 Gennaio scorso quando ha affermato esplicitamente che la politica del basso tasso di inflazione non è consistente con una ripresa sostenuta della attività economica ed è quindi necessario un ritorno a livelli di tasso di interesse definiti “normali” ossia stabilmente più alti degli attuali. Un bel turn around ossia: the great rotation sembra cominciata “Real interest rates (that is, returns adjusted for expected inflation) on government bonds are negative out to a horizon of 25 years. That is not consistent with a sustainable economic recovery and a return to more normal levels of interest rates. A long period of exceptionally low interest rates may also encourage excessive risk-taking, leading to vulnerabilities in important financial institutions. So if we cannot rely on monetary stimulus alone, what additional policies should we consider? The right prescription now is a programme that complements monetary stimulus with measures to promote the necessary long-run rebalancing of the economy, enabling us to return eventually to more normal levels of interest rates.…… The euro area illustrates a major problem for the world economy as a whole – the need to rebalance domestic demand away from countries with trade deficits to those with trade surpluses. Without that, an increasing number of countries are coming to the view that only a lower real exchange rate will provide the stimulus to demand that their economies require.………CPI inflation has been above the 2% target for a long period. Should the MPC have taken action to bring inflation down? To do that would have meant driving down wages by creating a deeper recession, even higher unemployment and lasting damage to the job prospects of many young people. I know of no-one who has argued that the problem with the UK economy is that it has not had a sufficiently deep recession. Inflation rose to over 5% but has now come down to 2.7%, and the Committee believes that it is likely to come back to the target over the next two years. In effect the MPC has allowed a longer inflation overshoot than usual in order to avoid pushing up unemployment” http://www.bankofengland.co.uk/publications/Documents/speeches/2013/speech631.pdf   Speech given by Mervyn King, Governor of the Bank of England The CBI Northern Ireland Mid-Winter Dinner, Belfast 22 January 2013.

 

Si dà però il caso che mentre gli effetti genericamente stimolanti della inflazione sulle economie siano tutti da valutare e provare, una cosa per certo può essere affermata sin da ora ossia il fatto che il tentativo di ridurre in termini reali il fardello del debito lasciando correre l’inflazione, se applicato al debito pubblico di Francia e Germania (rapporto Debito/PIL rispettivamente 86,9% e 79,4%) potrebbe forse funzionare per tali paesi ma non funzionerebbe certamente nel caso dell’Italia che ha un rapporto Debito/PIL superiore al 120%. I vantaggi che, infatti, conseguirebbero da una compressione del debito in termini reali, ossia la svalutazione che si determinerebbe sullo stock di debito che grava sullo stato a danno degli attuali risparmiatori/investitori, sarebbero più che offuscati dall’aumento dei tassi sui futuri collocamenti del debito a vantaggio dei nuovi sottoscrittori. E’ per questo che le banche italiane che hanno in pancia una fetta preponderante del debito pubblico sin qui emesso dalla Repubblica Italiana continuano a perdere di valore a velocità e per ammontari ben più consistenti delle altre imprese presenti nel listino azionario italiano. L’ipotesi che l’inflazione eroda chi detiene titoli già emessi del debito pubblico a tutto vantaggio dei nuovi sottoscrittori, oltre ad aggravare nel caso specifico italiano il saldo negativo, colpirebbe le istituzioni di credito e le banche da esse controllate in modo durissimo e le esporrebbe al rischio di future scalate ostili dall’estero e di vendite di parti di esse a prezzi di saldo.

 

L’unica via di uscita – a nostro avviso – per l’Italia è un riposizionamento nella scala dei rapporti commerciali internazionali, nell’ottica dei vantaggi competitivi che privilegi quelle attività cosiddette knowledge intensive ossia ad alta specializzazione e innovazione condotte avendo riguardo massimo al fattore organizzativo interno ed esterno. Uno studio del Fondo Monetario pubblicato in queste ore (©2011 International Monetary Fund WP/13/62 IMF Working Paper Export Performance in Europe: “The Role of Vertical Supply Links” Prepared by Jesmin Rahman and Tianli Zhao March 2013) ci dice che, prendendo a riferimento Germania e Cina, e indicando come vantaggi competitivi quelli calcolati su una scala con valori superiori ad 1 (mentre gli svantaggi sono indicati al di sotto dell’unità) ne risulta che in Cina dal 1995 al 2008 le attività knowledge intensive sono passate da uno svantaggio competitivo dello 0,64 ad un vantaggio dell’ 1,28.

 

E’ curioso vedere come, sempre in Cina, attività ad alta intensità di manodopera nello stesso arco di anni vedano l’indice del vantaggio competitivo -pur rimanendo esso positivo- declinare in modo consistente da un indice 3,55 a 2,61 nonostante i bassi livelli salariali del paese. Anche la Germania ha accresciuto, seppure in misura più contenuta della Cina, i propri vantaggi competitivi nel campo knowledge intensive, portandoli nello stesso arco di tempo dall’1,48 all’1,61. Per quanto il balzo in avanti tedesco sia stato di entità, come detto, inferiore alla Cina la Germania ha ancora tuttavia un vantaggio tecnologico (1,61) sulla Cina (1,28) e ciò spiega anche la forza tedesca (e della Bundesbank) nel contesto dell’Euro.

 

Tutti i principali paesi che vogliano mantenere posizioni di leadership internazionale si stanno muovendo cercando di presidiare il campo delle alte tecnologie. Ad esempio nei soli Stati Uniti il business dei velivoli comandati (quelli senza pilota) per usi civili (impiegabili ad esempio in agricoltura per disinfestazioni o per interventi di soccorso in zone impervie o ancora nella ricerca di dispersi) è previsto a due cifre e a livello mondiale è stimato addirittura in quasi 90 miliardi di $ nei prossimi 10 anni “In 2012 the agency predicted in its Annual Aerospace Forecast that there would be” roughly 10,000 active commercial UASs in five years” based upon “the expected regulatory climate” — the same number and condition the agency forecast in 2011. In this year’s 1forecast, however, released just a week before the AUVSI report, FAA noted the regulatory hurdles involved and cut its estimate by 25 %……. The world market for UAS is substantial, just over $89 billion in direct spending on UAS over the next 10 years, according to an estimate by the Teal Group, a defence and aerospace market analysis firm headquartered near Washington, D.C. Teal expects just under $5 billion to be spent on UAS R&D and procurement in the United States this year, with roughly another $2 billion in spending in the rest of the world. Two-thirds of that international spending would be on procurement, and the rest R&D, according to a chart in their 2012 report” (ref: “Study Predicts $81 Billion U.S. Market for UAS” Inside GNSS March 20, 2013).

 

Per quanto attiene il settore militare almeno tre sono invece i progetti di velivoli da combattimento ad alto tasso innovativo che avranno estese ricadute tecnologiche ed economiche sui comparti che più di altri possono procurare vantaggi competitivi estesi di natura economica oltre che a quelli affini anche ad altri comparti manifatturieri e di servizi: a fianco del progetto degli F35 (JSF)  in cui sono coinvolti gli Stati Uniti e alcuni paesi europei,  progetti similari vengono attualmente portati avanti in Russia (T-50) e Cina (J-20)   (“Per i prossimi decenni si dovrà essere in grado di reggere il confronto con la nuova generazione di caccia invisibili russi (T-50) e cinesi (J-20) che a breve invaderanno il mercato dell’export e saranno disponibili per molti paesi critici” Il capro espiatorio degli F 35, Michele Nones Affari Internazionali, 05/03/2013).

 

Va, infatti, osservato che il clima strategico internazionale sta progressivamente peggiorando e influenzerà in modo sostanziale il futuro interscambio mondiale di manufatti e servizi con una componente strategico-tecnologica in crescita e non eliminabile come dimostra la situazione che si sta determinando nell’area del Pacifico fra Stati Uniti e Corea (che ha imposto agli Usa l’abbandono della fase 4 in Europa) e Stati Uniti e Cina e come attesta nel mondo l’ascesa della Cina come quinto esportatore mondiale di armi dalla cui posizione ha scalzato la Gran Bretagna “The Obama administration had recently announced plans to deploy ballistic-missile defenses in the state of Alaska. At the same time, though, it cancelled a key component of its European-based missile-defense system. The Obama plan calls for stationing 14 missile interceptors in Alaska to protect the US west coast from North Korea, which is seen as a threat due to its advances in nuclear and missile technology. It also calls for the deployment of a radar system in Japan.   On the European side, the US administration has been involved since 2009 in a four-stage program that uses sea-based, as well as land-based, ballistic-missile interceptors.  Experts said it is a much more flexible plan than the one advocated by former President George W. Bush. Now the US government has decided to forgo the last stage of the European missile defense project, known as “phase four.” In announcing the cancelation of ‘phase four’ of the European missile defense system, the Obama administration cited budgetary constraints” Intelligence Brief 25 March 2013……. The United States accounts for around 30 percent of the world’s arms exports, followed by Russia with 26 percent, according to the Stockholm International Peace Research Institute. Germany and France are in third and fourth place, with China having replaced Britain as No. 5………China has become the world’s fifth-largest arms exporter, a respected Sweden-based think-tank said on Monday, its highest ranking since the Cold War, with Pakistan the main recipient. China’s volume of weapons exports between 2008 and 2012 rose 162% compared with the previous five-year period, with its share of the global arms trade rising from 2% to 5%. China replaced Britain in the top five arms-dealing countries between 2008 and 2012, a group dominated by the United States and Russia, which accounted for 30 percent and 26 percent of weapons exports respectively. The shift, outlined in SIPRI’s Trends in International Arms Transfers report, marks China’s first time as a top-five arms exporter since the think-tank’s 1986-1990 data period” Intelligence Brief 20 March 2013

In memoria di Elefteri Voiazakos (Hydra, Kalymnos)

             Eutimio Tiliacos

 

 

 

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