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Rubrica settimanale #cosedanoncredere, curata da Massimiliano Dona, Segretario Generale Unione Nazionale Consumatori (www.consumatori.it), per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.
Il 15 marzo 1962 al Congresso americano, l’allora Presidente John F. Kennedy formulò per la prima volta i quattro diritti fondamentali dei consumatori: il diritto alla sicurezza dei prodotti, a una completa informazione, a una libera scelta e quello a essere ascoltati. Per questo motivo, in questa data, ricorre la Giornata Europea del Consumatore: a cinquant’anni da quel lungimirante discorso, sicuramente, si sono fatti degli importanti passi avanti, ma, purtroppo, molti di quei diritti auspicati da Kennedy rimangono ancora sulla carta.
Nell’ultimo periodo, in particolare, sentiamo molto parlare di Responsabilità Sociale d’Impresa (Corporate Social Responsibility, CSR), intesa come la responsabilità delle aziende per il loro impatto sulla società. Dal punto di vista dei consumatori, non possiamo nascondere che, appena proviamo a calarci nella vita concreta e quindi nelle scelte d’acquisto che i cittadini compiono quotidianamente, la CSR sembra sfuggire sullo sfondo, quasi dimenticandosi della sua vera funzione.
Prendiamo un esempio concreto: quando facciamo la spesa ci troviamo davanti ad una grande varietà di articoli di ogni genere che utilizziamo per le nostre esigenze fondamentali come l’igiene personale, la cura casa e, più di ogni altro, la nostra alimentazione. L’eterogeneità di questa offerta ci fa apprezzare i benefici della globalizzazione e, più concretamente, l’ampiezza delle nostre possibilità di scelta. Insomma, molti di noi ritengono di essere davvero autonomi nelle decisioni di acquisto: se acquistiamo un dentifricio o una bibita crediamo di farlo sulla base di una nostra libera scelta.
A ben vedere, però, la realtà è molto diversa perché la maggior parte degli articoli di uso comune fanno capo a pochi potenti gruppi industriali che così, di fatto, hanno il monopolio del mercato: una stessa azienda riesce a produrre sotto diversi marchi i prodotti più svariati (li chiamano “referenze”) che vanno dal pannolino al dentifricio, dal caffè all’acqua minerale.
Guardando l’immagine qui sotto che raffigura l’organizzazione dei grandi gruppi internazionali con i marchi che a loro fanno capo, avremo delle sorprese.
Scopriamo, dunque, che molti brand che consideriamo autenticamente italiani (anche perché comunicano abilmente negli spot questo senso di appartenenza) in realtà non lo sono: soltanto alcuni di questi grandi gruppi ritengono di comunicare al consumatore cosa si nasconde dietro il nome di un produttore che magari non è più gestito dall’azienda locale di cui porta ancora il nome ma da una multinazionale che ha sede chissà dove.
E’ solo un esempio per affermare che i consumatori desidererebbero maggiore trasparenza.
Insomma, c’è da sperare che i grandi players mondiali, quelli che tirano i fili della grande commedia del mercato, facciano qualcosa di concreto per riempire finalmente di contenuto la loro missione, rendendosi consapevoli del fatto che la Responsabilità Sociale d’Impresa (quella “CSR” di cui sono pieni i manuali teorici e ancor poco i comportamenti delle imprese) dovrebbe avere una primaria funzione: quella di rendere più autentico, sicuro e consapevole l’atto di consumo.
Di questo e molto altro si parlerà venerdì, in occasione della Giornata europea del consumatore, al “Forum consumatore e responsabilità sociale d’impresa” (Roma, 15 marzo, ore 9,30, Spazio Europa, via IV Novembre 149)
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