Il nuovo decennio si apre all’insegna di una rinnovata tensione internazionale, con una situazione geopolitica instabile e in continua evoluzione, e di un confronto tra potenze economiche che sta ridisegnando le relazioni internazionali rispetto all’ultimo secolo. Tendenze che vanno definendosi sempre più nettamente, con il passare del tempo, e che sono state esaminate nel nuovo “Global Risks Report” pubblicato e presentato in occasione del World Economic Forum 2020 di Davos, in Svizzera, alla luce di una ritrovata centralità delle città sullo scacchiere globale.
Città vs Stati nazionali
L’evidenza maggiore, in termini di mondiali, è l’affermazione delle città rispetto agli stessi Stati nazione, sia in termini di crescita demografica, sia di crescita economica. Mentre gli Stati perdono progressivamente il contatto con i territori, con il polso sociale ed economico di intere regioni, non riuscendo più ad ascoltare cittadini ed imprese, non offrendo più valide soluzioni alle sfide del nuovo millennio, le città al contrario rappresentano un modello di sviluppo concreto ed alternativo, dove le criticità si affrontano e si tracciano percorsi da seguire per superarle.
Lo studio stima che le prime dieci economie metropolitane al mondo faranno assieme 13.500 miliardi di dollari di prodotto interno lordo (Pil). Le città in questo caso, più che centri urbani tradizionali, andranno considerate delle vere e proprie regioni o “mega regioni”, con un Pil in rapida crescita, molto più che quelli nazionali.
Solo per fare un esempio, le mega regioni urbane di New York, Los Angeles e Boston, potrebbero raggiungere nei prossimi 15 anni un Pil complessivo di circa 5.000 miliardi di dollari, un quarto dell’attuale intero Pil degli Stati Uniti (che è stato di 20.500 miliardi di dollari nel 2018, il 24% dell’intera economia globale).
Città che agiscono
Le amministrazioni delle megalopoli mondiali stanno iniziando a proporre soluzioni a problemi enormi che preoccupano i cittadini, come i cambiamenti climatici, il surriscaldamento globale e le periodiche crisi finanziarie globali che comunque impattano, con violenza, anche sulle economie reali locali.
I cittadini hanno bisogno di essere ascoltati e di trovare risposte (e risorse) alle crisi che di volta in volta si presentano su uno scenario planetario o di prossimità. Le città sembrano in grado di farlo, gli Stati nazione no, o comunque con grandi difficoltà.
I sindaci stanno prendendo provvedimenti per ridurre le emissioni climalteranti e di gas serra sul territorio urbano, per migliorare la qualità della vita dei cittadini, per promuovere imprese green e crescita sostenibile, mentre contemporaneamente si procede con le azioni per la decarbonizzazione del sistema economico.
In città si investe. Alcune megalopoli come New York, Tokyo, Londra, Shanghai e Pechino hanno sviluppato nel tempo un fortissimo potere attrattivo nei confronti degli investitori internazionali. In gran parte delle megalopoli asiatiche il tasso di crescita del Pil si attesta attorno al +5%, mentre in India si va dal +7% di Mumbai e Delhi al +8,5% di Bangalore.
Tra le prime dieci città classificate dal Report del WEF, quattro sono cinesi: Shanghai occupa la quinta posizione, con un Pil stimato attorno a 1.300 miliardi di dollari entro il 20235; Pechino segue al sesto posto, con 1.100 miliardi di Pil, poi Guangzhou e Shenzhen (900 miliardi di dollari di Pil entrambe) chiudono la classifica rispettivamente al nono e al decimo posto.
Il futuro delle mega regioni
Le megalopoli sono entrate ormai in concorrenza con gli Stati nazionali, in termini di influenza economica e diplomatica, di innovazione e di capacità di intessere relazioni internazionali sempre più strette ed ampie.
Negli Stati Uniti, ad esempio, 10 delle più grandi aree metropolitane del paese generano oggi oltre un terzo del Pil nazionale.
La sola area metropolitana di New York è in grado di generare un Pil maggiore rispetto al Canada. Al di fuori degli Stati Uniti, Seoul rappresenta oltre la metà di tutto il Pil della Corea del Sud, Tel Aviv poco meno della metà di quello di Israele, Londra, Parigi e Tokyo, infine, rappresentano un terzo del Pil dei propri Paesi.
Los Angeles, nel 2017, ha istituito un Ufficio per le
relazioni internazionali e oggi ha stretto accordi con oltre 100 Paesi nel
mondo. Ugualmente, dopo che il Governo degli Stati Uniti si è ritirato
dagli accordi sul clima di Parigi del 2016, New York ha firmato l’anno successivo
un trattato di rilievo globale per un maggiore impegno proprio in direzione del
raggiungimento degli obiettivi della COP21.
Un cambiamento così netto, nei rapporti di forza tra Stato nazione e città, che
il Congresso degli Stati Uniti ha deciso di introdurre nel 2019 una legislazione
che consente alle amministrazioni delle metropoli più grandi di partecipare
alle missioni diplomatiche e di dire la propria nei lavori dei summit
internazionali.