Un autunno veramente caldo per il mercato audiovisivo italiano. L’esplosione dello streaming rappresenta il nuovo asse portante del settore che sta sempre più rafforzando l’offerta online per rispondere alle nuove richieste dei consumatori, che vogliono poter avere l’accessibilità a contenuti on-demand anytime, anywhere e any device.
I dati del Censis confermano questa tendenza. Anche se la televisione resta la regina incontrastata dei salotti italiani – viene guardata dal 96,7% della popolazione – non si può non tenere conto della sfida innescata dalla digitalizzazione dei contenuti, supportata dall’esplosione delle connessioni mobili, dallo sviluppo della banda larga e ultralarga e dall’arrivo di molti player internazionali, Netflix in primis, che offrono contenuti on-demand in streaming.
In effetti, gli utenti di internet continuano ad aumentare (+7,4%), raggiungendo una penetrazione del 70,9% della popolazione italiana.
Le connessioni mobili mostrano una grande vitalità, con gli smartphone forti di una crescita a doppia cifra (+12,9%) che li porta oggi a essere impiegati regolarmente da oltre la metà degli italiani (il 52,8%), e i tablet praticamente raddoppiano la loro diffusione e diventano di uso comune per un italiano su quattro (26,6%).
Riforma del copyright
E mentre davanti all’avanzata dei nuovi fornitori online di contenuti, i broadcaster italiani continuano a chiedere un level playing field, la Ue ha rivoluzionato ancora di più il mercato presentando il 9 dicembre la proposta sulla portabilità dei contenuti dal 2017.
Contenuti digitali senza frontiere, quindi, anche se i nodi da sciogliere sono davvero tanti, specie se si guarda alla breccia nel principio di territorialità tanto caro ai broadcaster.
I provvedimenti sono però essenziali se si vuole davvero realizzare nei fatti il Mercato Unico Digitale.
La Rai alla prova dello streaming
E anche la Rai, con la riforma del canone e della governance, ha spinto il piede sull’acceleratore. Viale Mazzini starebbe infatti trattando con Telecom Italia per portare sulla piattaforma TimVision i contenuti della Tv pubblica.
I primi sentori di novità si erano avuti quando il Direttore generale Antonio Campo Dall’Orto, dopo la decisione di Mediaset di criptare i propri canali su Sky, ha deciso di posizionare Rai4 sul canale 104 della pay tv. Ma non solo. Interessante anche l’accordo con Netflix per la realizzazione della serie tv Suburra.
Primi passi verso il rinnovamento come trapelava dalle parole del Dg che, nell’annunciare l’intesa con la società americana, commentava: “La televisione si sta trasformando, dobbiamo essere costantemente all’avanguardia e ridefinire completamente la nostra offerta e il nostro ruolo di servizio pubblico”.
Netflix e la sfida dei contenuti originali
A segnare il passo è stato tra le altre cose l’arrivo di Netflix in Italia il 22 ottobre tra le polemiche sull’effettiva disponibilità di banda e la qualità dello streaming.
E mentre al momento non si registrano lamentele dagli utenti che hanno sperimentato il primo mese di prova gratuita, il gruppo pensa già a risolvere altre questioni.
Intanto la necessità di investire maggiormente nei contenuti originali, perché è proprio lì che si sposta la nuova sfida.
Netflix ha già comunicato che investirà 5 miliardi di dollari in produzioni proprie nel 2016 ma anche che saranno il doppio.
Il nodo delle licenze
Per il gruppo americano è proprio la tv everywhere, o la sua mancanza, che farà la differenza con gli altri content provider.
Secondo l’azienda il nodo sta nella concessione delle licenze a più distributori da parte delle compagnie che producono programmi televisivi e film. Sotto questo aspetto pensa che il mercato sia ancora ‘molto frammentato’ ed è difficile estendere i nuovi modelli a tutto l’ecosistema.
Questa è la vera preoccupazione.
I fornitori di contenuti come Time Warner – che possiede HBO, uno dei maggiori produttori di serie tv – hanno avuto almeno 7-8 anni per realizzare una tv everywhere ma non sono riusciti a mettere in piedi un sistema coeso e a entrare nelle abitudini televisive quotidiane, lasciando così la porta aperta a servizi come Netflix, Amazon e Hulu che hanno colmato questo gap.
Non è un caso allora che giusto qualche settimana fa il Ceo di Time Warner abbia comunicato agli investitori l’intenzione di porre un freno al numero di contenuti venduti a Netflix.
La decisione è stata presa dopo un grave calo degli abbonamenti alla tv via cavo, sempre meno preferita dagli utenti che passano ai servizi in streaming.
Le mosse di Sky
Sky ha anticipato la tendenza. Il mese scorso la pay tv di Murdoch si è infatti assicurata i diritti di distribuzione in esclusiva delle serie tv di successo targate HBO che saranno trasmesse in anteprima solo su Sky in Germania, Italia e Austria.
Il gruppo si sta muovendo velocemente e ha potenziato l’offerta online, annunciato una nuova espansione europea e ha anche l’accordo con O2 di Telefonica per lanciare un servizio mobile il prossimo anno.
Obiettivo? Competere meglio con i tradizionali competitor come BT e Virgin Media ma anche con gli Over-The-Top e gli operatori del web come Netflix.
Ma la vera partita si gioca tutta sui contenuti. Vince la sfida chi riuscirà a offrire programmi di pregio, seguiti dal pubblico, e a garantirsi quindi i diritti tanto ambiti quanto costosi.
L’altra novità è il lancio di Sky Q, un nuovo set-top box che permetterà la visione live e on-demand in 4K. Al momento disponibile sono nel Regno Unito e in Irlanda ma nel 2017 arriverà anche in Italia, Germania e Austria.
L’avanzata di Vivendi
In tutto questo resta al momento in disparte, sul mercato televisivo italiano, la media company francese Vivendi, molto attiva invece sul fronte tlc con l’ingresso in Telecom Italia.
Il presidente Vincent Bolloré non ha mai nascosto il progetto del gruppo di diventare il primo conglomerato a livello europeo e molto analisti, in particolare Mediobanca, spingono sui vantaggi di un matrimonio con Mediaset Premium.
Gli analisti di Piazzetta Cuccia spiegano anche perché: segue il trend del mercato audiovisivo che punta sempre più alla convergenza tra operatori tlc e società di media.
L’intesa tra Vivendi e Mediaset non sorprenderebbe quindi e avrebbe “molto senso dal punto di vista industriale”.
Bolloré però ancora non prende una decisione nonostante è già da un anno che i propri consulenti studiano i conti della pay tv del Biscione.
Mediaset spinge sul calcio
E cosa fa Mediaset? Per quanto riguarda Premium, la strategia per fidelizzare gli abbonati e raccoglierne nuovi è quella di puntare sulla Champions League. E mentre si parla del prossimo lancio di un decoder unico e dello sbarco sul satellite, la società resta sempre a partnership industriali e all’eventuale ingresso di soci stranieri che possono potenziare ulteriormente l’offerta e le capacità di investimento convinti che la naturale evoluzione del mercato pay tv porterà nei prossimi anni alla creazione di soggetti di dimensione transazionale che possano competere su più mercati e condividere contenuti, tecnologie e infrastrutture.