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Netflix, perché la stretta sulle password ha dato i suoi frutti

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Netflix ha recentemente annunciato un incremento record di 9,3 milioni di nuovi abbonati nel primo trimestre del 2024, che la stessa azienda attribuisce in buona parte alla sua stretta sulle condivisioni della password.

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui..

È successo di colpo. Fino a qualche tempo fa, condividere le proprie credenziali Netflix con amici e/o parenti non presentava particolari difficoltà; era sufficiente comunicare login e password e poi il gioco era fatto. Nel 2023 è arrivata la stretta da parte della società, e sugli schermi sono cominciate ad apparire scritte che chiedevano informazioni sulla reale composizione del nucleo familiare, dando il via a un’interminabile serie di controlli incrociati dell’identità attraverso SMS e mail, autenticazioni a più fattori e altre scomodità.

C’è chi (violando, sia chiaro, il contratto con Netflix) ha provato a resistere per un po’, ma la complessità della procedura di conferma, unita alla comparsa di un pacchetto utente aggiuntivo a 4,99 euro al mese (ma 7,99 dollari in USA), ha fatto desistere uno dopo l’altro anche i più refrattari; e i numeri, a quanto sembra, hanno dato ragione a Reed Hastings e alla sua azienda. Oddio, non che fosse così impossibile da preventivare; sì, certo, chi condivideva il proprio account ha smesso di farlo, ma di certo non l’ha cancellato – semmai si è limitato a comunicare al cognato che non era più possibile vedere a scrocco tutte le stagioni della Casa di carta, e fargli capire tra le righe che una decina di euro ogni mese poteva pure tirarli fuori, se era così interessato – mentre chi accedeva a sbafo non era comunque registrato da Netflix come utente singolo.

Per questo, per il colosso dello streaming non è, di fatto, cambiato assolutamente nulla, a parte i ricavi dei nuovi pacchetti sottoscritti da chi ha deciso di non rinunciare al catalogo della tv, pur senza registrarsi con un account autonomo (a questo proposito, per chi vuole conoscere le offerte più aggiornate nell’ambito dello streaming basta consultare il comparatore di offerte di SOSTariffe.it).

Disney e Hulu pronti a seguire

In questa situazione, Netflix ha recentemente annunciato un incremento record di 9,3 milioni di nuovi abbonati nel primo trimestre del 2024, che la stessa azienda attribuisce in buona parte alla sua stretta sulle condivisioni della password. La strategia si è dunque dimostrata efficace nel convertire gli utenti che in passato utilizzavano le credenziali di qualcun altro in abbonati paganti, contribuendo così all’incremento dei profitti dell’azienda. Naturalmente, non tutto è merito di questa severità: non sfugge a nessuno, ad esempio, che Netflix abbia diversificato le sue fonti di entrata, introducendo la pubblicità in alcune delle sue offerte, con tier a basso costo con intervalli promozionali che sembrano essere stati un ottimo antidoto alla cancellazione dell’abbonamento.

I competitori, che già avevano una mezza idea di proporre soluzioni del genere ma erano tutti molto sollevati dal poter vedere come sarebbe andata per Netflix, si sono quindi convinti che sì, la strategia del blocco al password sharingfunziona, eccome. Per questo Disney ha già annunciato che a sua volta renderà molto più difficile condividere le proprie credenziali.

La posta in gioco è alta. Secondo un rapporto di Bloomberg Intelligence, circa 40% dei 50 milioni di utenti che attualmente condividono tra di loro le password di Disney+ potrebbero essere convertiti in clienti paganti nei prossimi 18 mesi, generando potenzialmente fino a 4 miliardi di dollari di entrate entro il 2026, con una stima di profitto di 2,5 miliardi di dollari.

Per incoraggiare ulteriormente le persone a creare nuovi account o sottoscrivere abbonamenti condivisi (ma a pagamento), Disney punta su contenuti di grande richiamo, in particolare sequel di film popolari che hanno già dimostrato un’attrattiva commerciale. Il prossimo film Deadpool 3, con Ryan Reynolds e Hugh Jackman, in primo luogo, ma anche l’ennesimo Planet of the Apes, Moana 2 e Inside Out 2. Bob Iger, il CEO di Disney, non ha nemmeno provato a camuffare la mancanza di contenuti originali che ormai da tempo affligge le piattaforme di streaming, sottolineando che i sequel sono vantaggiosi poiché godono di un pubblico già consolidato, richiedendo quindi un minor investimento in marketing. Insomma: vi era piaciuto questo? Eccone un altro (sicuramente più comodo che cercare di spiegare in poche parole di che cosa parla Baby Reindeer, ad esempio). Più comodo ancora degli algoritmi.

Ad Apple ed Amazon lo sharing non interessa

A seguire Disney sarà, ovviamente, Hulu, che a Disney appartiene, e che ha già avvertito i suoi utenti dallo scorso marzo del cambiamento di politica. Ma c’è anche chi dice no, perché può permetterselo e perché non ricava la maggior parte delle proprie entrate dalla televisione a pagamento, come Apple TV+, che peraltro prevede attraverso Apple Family la possibilità di condividere l’accesso ai suoi moltissimi abbonamenti (Music, Fitness, News negli USA, Arcade e appunto TV+, tramite Apple One). Lo stesso vale per le piattaforme di streaming di lancio più recente, come Peacock, che sembra non voler seguire la strada di Disney per non crearsi problemi da sola prima di aver raggiunto uno zoccolo duro di utenti. Ma c’è anche chi non perde l’occasione per una frecciatina alla concorrenza.

Nientemeno, in questo caso, che Amazon, che a quanto sembra non nutre particolari preoccupazioni sulla condivisione delle password dei propri abbonati a Prime Video, anche perché è una specialità della casa: da sempre ci si rivolge a chi ha l’abbonamento Prime per le consegne gratuite dei prodotti che si desiderano. Così, velenosamente, l’account X di Prime Video UK e Irlanda ha ripreso un vecchio tweet del 2017 di Netflix, effettivamente invecchiato molto male (“Love is sharing a password”, l’amore è condividere una password) con una grafica di diversi profili di accesso alla propria piattaforma streaming i cui nomi compongono la risposta alla domanda in cima, “Who’s watching”: “Everyone who has our password”, chiunque abbia la nostra password.

E anche chi non se la passa proprio benissimo, come Blockbuster – nome anni Novanta quant’altri mai, ormai ridotto ad avere un solo negozio per il noleggio di DVD dopo aver dichiarato bancarotta nel 2010 – cerca di affondare il colpo, con un tono tra il risentito e il nostalgico: “Vi ricordiamo che quando noleggiavate i film da noi, non ci interessava con chi li condivideste… l’importante era che li riconsegnaste in tempo». Magra consolazione, ma pur sempre una consolazione.

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