Il prossimo arrivo di Netflix in Italia non sembra aver suscitato alcun interesse da parte del governo, in questo momento alle prese con problemi importanti riguardanti il Piano nazionale per la banda ultralarga e il Decreto Comunicazioni che attende ancora il passaggio in CDM col rischio di slittare ulteriormente a dopo l’estate.
In sospeso anche la riforma Rai che procede al ralenti.
E così, mentre Renzi e i suoi appaiono affaccendati in altre questioni, lo sbarco a ottobre di Netflix passa in sordina, almeno a Palazzo Chigi.
Non è stato così in Francia dove prima dell’arrivo del servizio di video streaming lo scorso settembre ci furono all’Eliseo una serie di incontri con i vertici dell’azienda americana per mettere da subito le cose in chiaro, specie sul fronte fiscale.
Il tutto accompagnato da importanti prese di posizione dei broadcaster d’oltralpe che chiesero precisi impegni al governo nella gestione del ‘caso Netflix’.
In Italia no. Nessun commento. Sul fronte politico tutto tace.
Netflix e fisco
Eppure, tutti sono consapevoli del fatto che l’arrivo dell’operatore americano in Italia determinerà profondi sconvolgimenti sul mercato dell’audiovisivo.
E se da un lato restano aperti i problemi sulla capacità di banda tale da supportare l’esplosione la fruizione dei servizi di streaming, dall’altro ci sono altri aspetti che meritano approfondimenti e sono quelli citati ieri dal presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, a margine della presentazione dell’indagine Agcom su informazione e internet.
Confalonieri ha ribadito ancora una volta la diversità di trattamento riservata ai cosiddetti Over-The-Top che godono di una condizione di quasi ‘intoccabilità’ sul mercato audiovisivo. Non è la prima volta che il presidente del Biscione punta il dito contro la condotta delle multinazionali della rete, specie contro i loro sistemi per pagare le tasse al minimo traghettando i profitti nei paradisi fiscali.
In Italia, infatti, Renzi dopo aver fatto una battaglia personale contro la Web Tax, non ha mantenuto la promessa fatta, vale a dire di risolvere il nodo durante il semestre di presidenza italiana della Ue.
La Commissione europea si sta muovendo, ma in Italia anche questo aspetto resta irrisolto.
Il problema è stato indicato in modo molto chiaro da Confalonieri, che ha osservato: “Con Infinity, che è il nostro Netflix in piccolo, paghiamo il 22% di Iva. Ora arriva il vero Netflix che paga il 4%”.
Cosa fare, allora?
Per il presidente di Mediaset la risposta è semplice: “Occorre uguaglianza fiscale, è necessario un livello di tassazione uguale per tutti per garantire la concorrenza. Noi siamo sottoposti a molte regole e su Internet ognuno fa come vuole. Manca un vero level playing field”.
Pronta la replica di Netflix che in una nota ha fatto sapere: “Con riferimento a quanto riportato da alcuni mezzi di informazione, circa il presunto trattamento Iva cui sarà soggetta l’attività di Netflix in Italia, la società precisa che il regime fiscale applicato sarà del 22%, anziché del 4%, come erroneamente riportato. Netflix inoltre conferma l’interesse per il mercato italiano e l’inizio delle attività nel nostro Paese a ottobre 2015”.
I vincoli della produzione audiovisiva
I broadcaster italiani sono infatti tenuti al rispetto di rigide regole che riguardano il finanziamento del mercato audiovisivo con precisi vincoli anche di produzione.
Sky, per esempio, in 11 anni ha investito 16 miliardi di euro nel sistema economico italiano, come ha ricordato l’amministratore delegato Andrea Zappia, sottolineando: “Vi sono già una dozzina di Over-The-Top operanti in Italia, tra cui Sky online, Infinity e TimVision. Quando arriverà Netflix sarà quindi l’ultimo della lista e troverà una concorrenza agguerrita in un mercato sovraffollato di Tv gratuita e in un ciclo economico avverso”.
La sede ad Amsterdam
Ma il punto è forse proprio questo. Il mercato italiano televisivo soffre ancora la crisi economica, Netflix che non è tenuto a pagare le stesse tasse dei player italiani godrà di innegabili vantaggi, fin da subito.
Si torna quindi a quel ben noto level playing field citato da Confalonieri che in Italia. Come altrove, non esiste quando si parla di OTT.
Netflix ha spostato recentemente la sua sede europea da Lussemburgo ad Amsterdam e i Paesi Bassi, come sappiamo, garantiscono un generoso regime fiscale alle multinazionali.
Altro vantaggio per Netflix sarà il prezzo dell’abbonamento mensile, intorno ai 7,99 euro, che gli permetterà di essere ancora più concorrenziale.
Intanto l’azienda sta già pianificando il prossimo sbarco in Italia. Secondo alcune indiscrezioni il gruppo aprirà i propri uffici a Milano, in zona Navigli, ed è già al lavoro sulla library che offrirà ai clienti italiani.
Ma non si sa ancora nulla però riguardo ai finanziamenti al settore creativo.
Netflix produrrà anche in Italia una serie tv ad hoc come ha fatto in Francia con ‘Marseille’?
Quante opere italiane entreranno nel catalogo di Netflix?
E mentre si attende di avere risposte a riguardo, alcuni numeri ci possono dare la dimensione e la portata di questo operatore che si appresta a entrare sul mercato italiano dell’audiovisivo.
Gli investimenti nella produzione originale
Secondo un recente Rapporto di IHS, in Europa Netflix porterà i suoi abbonati da 3 milioni del 2013 a 21 milioni nel 2019.
Il servizio, evidenzia IHS, sta crescendo il doppio rispetto alla pay tv tradizionale nel Vecchio Continente e tre volte di più negli Stati Uniti.
Netflix, inoltre, sta investendo pesantemente nel piano di espansione internazionale e, per sbaragliare la concorrenza, in produzioni originali (circa 5 miliardi di dollari).
Secondo le stime di IHS, la spesa del gruppo per contenuti ha superato quella di BBC, ITV, HBO, Discovery e Amazon.
Netflix spende in contenuti anche di più di Sky Europe senza considerare ovviamente i costi per i diritti sportivi.