Questa mattina, come avevamo segnalato su queste colonne (vedi “Key4biz” del 9 aprile 2021, “ItsArt, la ‘Netflix italiana della cultura’ rimanda il lancio a fine aprile (e forse riapriranno i cinema)”), si è tenuta la attesa conferenza stampa della “collecting” Artisti 7607 (organismo di gestione collettiva dei diritti connessi al diritto d’autore), che ha denunciato, in modo documentato, come, all’aumento esponenziale in “streaming”della diffusione di opere protette, non corrisponda il dovuto riconoscimento dei diritti di chi le interpreta.
Oltre 60 partecipanti, dibattito aperto e libero, e non poche stimolanti domande dai giornalisti intervenuti.
L’iniziativa è stata coordinata da Cinzia Mascoli e Neri Marcorè, ed e stata caratterizzata da un approccio improntato alla voglia di conoscere, come ben dimostrato dalla relazione di Paolo Calabresi: sembra banale ed ovvio, ma così non è, in un Paese nel quale il dibattito – anche sindacale e partitico – è spesso basato più sulla “teoria” che sui “dati”.
Sul banco degli imputati, anzitutto Netflix e più in generale “le piattaforme” tutte, che operano – sostanzialmente indisturbate – nel mercato dei media e specificamente dell’audiovisivo, adottando logiche tipiche del capitalismo digitale globale (l’Italia conta tra l’1 ed il 2% nell’economia complessiva del mercato planetario), e guardando ai singoli Paesi sì come mercati nazionali, ma, di fatto, come… province dell’impero, piccoli segmenti di un grande “business plan”.
I “diritti connessi” spettano a artisti e interpreti quando vengono utilizzati in film e fiction tv
Il “core business” di una “collecting” come Artisti7607 è rappresentato, ovviamente, dai “diritti connessi”: si tratta del diritto all’equo compenso che spetta agli artisti e interpreti quando vengono utilizzati un film, una fiction o una serie televisiva.
L’equo compenso è un “diritto patrimoniale”, che spetta all’artista interprete di un’opera audiovisiva.
Dopo decenni di gestione del ex-monopolista “Istituto Mutualistico per la Tutela degli Artisti Interpreti ed Esecutori” alias Imaie – ritenuta da molti fallimentare, e con giurisprudenza comunque controversa – nel 2014 si è completata la liberalizzazione del mercato dei diritti connessi, fortemente voluta da Artisti 7607, ed ogni artista ha potuto scegliere a chi affidare la gestione di tali diritti.
Artisti7607 rivendica di essere stato il primo promotore dello scardinamento del “monopolio Imaie”, e di aver quindi aperto la via ad un processo di sana liberalizzazione del sistema, considerato fino ad allora troppo autoreferenziale, burocratico, statico.
Con la liberalizzazione, per una volta l’Italia ha anticipato quanto previsto dalle direttive europee e oggi, a distanza di circa sette anni, lo scenario è senza dubbio migliorato.
Gli artisti sono informati e ricevono dalla “collecting” Artisti 7607 i compensi in tempi rapidi, usufruiscono di servizi diversi, hanno gratuita copertura assicurativa, assistenza legale e fiscale, frequentano gratuitamente corsi di formazione, workshop e “masterclass…
La conferenza è stata molto accurata, anche grazie al contributo tecnico, preciso ma divulgativo, della avvocatessa Matilde Cascone, consulente legale di Artisti 7607.
Sono stati portati dati – in verità, pochi, frammentari, disomogenei… ma sono gli unici finora disponibili! – su una delle (tante) asimmetrie del sistema audiovisivo italiano.
Lo sfruttamento di contenuti audiovisivi e la fruizione di film e serie tv crescono quasi esponenzialmente nel web, anche grazie all’aumento della velocità e dell’ampiezza di banda, che consentono un rapido download e un’ottima qualità di visione.
La quasi totalità delle piattaforme “streaming”, però, non corrisponde i diritti connessi degli artisti, ovvero, quando li corrisponde, propone compensi gravemente insufficienti, ai limiti del ridicolo – come ha segnalato, con amara ironia, sulla base della propria esperienza personale con Netflix, Massimo Bitossi – non fornendo peraltro i dati degli utilizzi, e quindi non ottemperando alle normative europee e nazionali (in particolare il Decreto Legislativo n. 35 del 15 marzo 2017).
Cresce lo sfruttamento complessivo di opere cinematografiche e assimilate sia nello “streaming” sia attraverso modalità tradizionali, e gli artisti interpreti dell’audiovisivo giustamente denunciano la situazione di “deficit informativo” e difendono i loro diritti.
Hanno preso parte alla conferenza anche Urbano Barberini, Chiara Colizzi, Giobbe Covatta, Augusto Fornari, Carmen Giardina, Georgia Lepore, Vinicio Marchioni, Valerio Mastandrea, Alberto Molinari, Francesco Montanari, Paco Reconti, Alessandro Riceci, Michele Riondino, Paolo Sassanelli, Davis Tagliaferro, Salvo Traina, Daniela Virgilio, seguiti dal sostegno a distanza di Diego Abatantuono, Ambra Angiolini, Corrado Guzzanti, Claudio Santamaria, Kasia Smutniak e Elio Germano. Interessanti interventi dei colleghi Emilia Costantini, Alessia De Antoniis, Gabriele Nola,Glauco Benigni.
È stata resa nota una “lettera aperta” della società cooperativa Artisti7607, indirizzata oggi al titolare del Ministero della Cultura, Dario Franceschini, con la quale si chiede che, nell’economia dell’imminente recepimento della Direttiva Europea n. 219/790/Ue (la cosiddetta “copyright”), venga prestata adeguata attenzione specificamente ai diritti connessi al diritto d’autore, al fine del rispetto delle regole e del diritto a ricevere una “remunerazione adeguata e proporzionata” per lo sfruttamento delle opere.
Come è noto, il recepimento della Direttiva è in fase di definitiva approvazione nell’ambito della Legge di Delegazione Europea.
Da soli, Netflix e Amazon hanno quasi il 50 % del mercato “svod” in Italia
La presentazione proposta da Paolo Calabresi ha offerto un set di dati che evidenziano la crescita veramente quasi “esponenziale” della diffusione delle piattaforme e delle loro dimensioni di business, utilizzando varie fonti (dall’European Audiovisual Observatory ad Ampere Analysis).
Citando una fonte giornalistica (“Milano Finanza” del 27 febbraio 2021, un articolo dal titolo “Streaming senza sosta”, che si basa su stime E&Y), sono state ricordate le (presunte) “quote” di mercato delle piattaforme di tipo “svod” (acronimo per “subscription video on demand”) in Italia: Netflix 29 %, AmazonPrime 18 %, TimVision 15 %, Dazn 12 %, Infinity 10 %, Apple Tv 8 % e Disney 8 %.
E&Y evidenzia come prosegua in Italia la crescita delle piattaforme video “ott”, con una stima pari ad 11 milioni di fruitori, raddoppiati nell’arco di tre anni.
Gli “abbonati” a Netflix sarebbero (a fine 2020), ben 3,8 milioni, a fronte dei 2,3 milioni di Amazon Prime Video e dei 2 milioni di Tim: dati – si ribadisce – tutti da validare, e quindi da prendere con cautela.
La Direttiva Europea: “gli autori hanno bisogno di informazioni per quantificare il valore economico dei loro diritti”
Mancano dati… eppure il “Considerando 74” della Direttiva Ue 2019/790 sul Diritto d’Autore e sui Diritti Connessi nel Mercato Unico Digitale recita che “gli autori e gli artisti (interpreti o esecutori) hanno bisogno di informazioni per poter quantificare il valore economico dei loro diritti che sono armonizzati a norma del diritto dell’Unione”.
E l’articolo 19 della Direttiva recita esplicitamente: “Gli Stati membri provvedono a che gli autori e gli artisti (interpreti o esecutori) ricevano, almeno una volta all’anno e tenendo conto delle specificità di ciascun settore, informazioni aggiornate, pertinenti e complete sullo sfruttamento delle loro opere ed esecuzioni da parte di coloro ai quali hanno concesso in licenza o trasferito i diritti oppure da parte degli aventi causa, in particolare per quanto riguarda le modalità di sfruttamento, tutti i proventi generati e la remunerazione dovuta”.
Chi redige queste noterelle è intervenuto nel dibattito, segnalando come la battaglia di Artisti 7607 sia sacrosanta, ma debba essere considerata un “tassello” di un “mosaico” ben più ampio, e che sarebbe opportuno contestualizzare queste giuste rivendicazioni nell’economia di una revisione complessiva delle disastrate politiche mediali e culturali del nostro Paese.
Basti ricordare le tante inadempienze, per esempio in materia di obblighi di legge dei “broadcaster” televisivi rispetto agli investimenti in produzione, a fronte di una deficitaria (e comunque non trasparente) attività di verifica da parte delle istituzioni preposte (in primis, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni – Agcom).
Nel silenzio dei più, va segnalato che ieri l’altro, martedì 13 aprile, sul sito web della Direzione Cinema e Audiovivo del Mic è stata data notizia dell’avvenuta pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale di giovedì 8 aprile del “Regolamento in materia di definizione delle opere audiovisive, ovunque prodotte, di espressione originale italiana di cui all’articolo 44-sexies del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, recante «Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici»”.
La definizione di “opera audiovisiva di espressione originale italiana” è questione essenziale al fine della promozione del “made in Italy” e della cultura nazionale.
Il dispositivo entrerà in vigore a decorrere dal 23 aprile 2021, mentre, ai sensi dell’art. 6 del citato decreto, le relative istanze per richiedere la qualifica di “espressione originale italiana” potranno essere presentate a far data dal prossimo 7 giugno (su un apposito modello che verrà predisposto dalla Dg Cinema e Audiovisivo).
Gli autori (Anac): alzare la quota di investimenti obbligatori di tv e ott nella produzione nazionale
In argomento, si ricordi anche la presa di posizione assunta un mese fa dall’Associazione Nazionale Autori Cinematografici (Anac). L’Anac invocava quote più alte d’investimento per tv e piattaforme per la produzione nazionale di audiovisivo: nel nuovo quadro di sistema delineatosi in questi mesi di pandemia sarebbe “indispensabile innalzare la quota di investimenti nella produzione di cinema e audiovisivo nazionali che la legge impone ai broadcast e alle piattaforme, quota attualmente limitata al 50 %”. Ricordava l’associazione presieduta da Francesco Ranieri Martinotti che “il provvedimento, tra i più importanti previsti dalla Legge Cinema e teso a favorire le produzioni nazionali ed europee, nella sua stesura iniziale prevedeva l’obbligo di investimenti pari al 25 % degli utili degli operatori, è stato successivamente ridotto al 12,5 %. Attraverso un decreto, è stato deciso anche che solo la metà di queste risorse siano destinate esclusivamente alla produzione di cinema e fiction italiani. Proprio in queste settimane è in corso una trattativa tra le tv, le ott e i produttori italiani al tavolo voluto dal Ministero della Cultura (MiC) per un aggiornamento dell’accordo”.
Gli autori cinematografici – “che inspiegabilmente non sono stati invitati a partecipare a quel tavolo” – richiedono che la percentuale degli investimenti venga riportata ai livelli previsti originariamente dalla legge (25 %) e in ogni caso la quota di produzione di audiovisivo nazionale da sostenersi non può essere inferiore al 75 % del totale.
Tematiche delicate, sulle quali torneremo presto su queste colonne. Tematiche strategiche, per il sistema culturale nazionale.
Tematiche sulle quali il dibattito non è esattamente pubblico: la bozza del decreto circola assai poco, al di fuori delle ovattate stanze del Collegio Romano e di Santa Croce in Gerusalemme (le sedi del Mic e specificamente della Direzione Cinema e Audiovisivo).
Quanto peseranno le pressioni delle televisioni e degli “over-the-top”? Quanto quelle dei produttori (tra Anica ed Apa)? Quanto quelle del tessuto creativo della filiera?! Ogni lobby agisce nell’ombra, alla faccia della trasparenza…
Ribadendo in ogni caso che, in assenza di dati certi e trasparenti, si corre il rischio della solita dinamica italica dell’“aumm aumm”: tanto, se nessuno controlla, valida, certifica… assai poco servono “quote” più o meno alte!
Conclusivamente, va segnalato comunque che, anche in relazione allo specifico tema “copia privata” (e quindi “diritti connessi”), esiste ancora in Italia un inquietante (altro) deficit di trasparenza: ennesima riprova di come “l’informazione” sia preziosa, anche per l’economia politica del sistema e per l’elaborazione di lungimiranti politiche culturali.
Spesso, purtroppo, chi ha queste informazioni adotta un criterio ritentivo, nella coscienza (egoistica e partigiana) che “meno si sa, meglio è”, a fronte degli interessi degli altri operatori (e della comunità tutta): un approccio lontano da una sana logica di libera concorrenza e di sana trasparenza.
Per approfondire
Clicca qui, per la presentazione di Artisti 7607 “Non è equo questo compenso”, tenutasi a Roma il 15 aprile 2021