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Net-war

Per la prima volta, le armi con cui viene condotta la guerra coincidono con le infrastrutture digitali dell’informazione: siti web, smartphone, droni, sistemi di geolocalizzazione, piattaforme social hanno costituito il principale arsenale del confronto fra invasori e invasi, permettendo ai secondi di localizzare e colpire con estrema precisione le forze nemiche, anche grazie al supporto diretto della popolazione che rimaneva connessa, persino sotto i bombardamenti.

Le azioni militari vengono strategicamente studiate e messe in atto proprio pensando al loro effetto comunicativo, perché il modo in cui verranno raccontate determinerà la percezione del conflitto e, in ultima analisi, il suo esito. Se non è una novità che la comunicazione della guerra sia un terreno cruciale e delicato, oggi essa è diventata l’oggetto del contendere.

Tutto questo porta a un cambiamento epocale nel giornalismo, dove a mutare radicalmente è il rapporto tra la redazione e le fonti: le notizie sono alluvionali testimonianze civili, che affiorano in abbondanza dalla rete e devono essere validate e contestualizzate più che rintracciate. In questo gorgo il giornalista si misura innanzitutto con la sua autonomia da saperi e competenze tecnologiche che tendono a soverchiarlo, trasformandolo in un funzionario del sistema di calcolo che si afferma mediante «interferenza nelle psicologie altrui». La Net-war è dunque «mediamorfosi» che trasforma guerra e giornalismo in una contesa matematica.

Michele Mezza è stato giornalista per quarant’anni in rai. ha ideato e sviluppato il progetto rainews24. Insegna all’Università Federico ii di Napoli. È autore di numerose pubblicazioni, fra cui, per i tipi della Donzelli, Avevamo la luna (2013), Algoritmi di libertà (2018) e Il contagio dell’algoritmo (2020).

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