Il dibattito sulla net neutrality – tornato prepotentemente alla ribalta con le ultime dichiarazioni di Barack Obama, che hanno provocato reazioni forti anche in Europa – assume diverse sfaccettature in base al paese in cui viene affrontato: la definizione di neutralità (‘tutti i bit sono nati uguali’ è la più diffusa) e gli argomenti usati variano sensibilmente di paese in paese, così come differisce il concetto di violazione e le relative norme e sanzioni a esso associate.
Sono, insomma, molti i paradossi, le ipocrisie e i doppi standard legati alla dozzina di diverse definizioni di net neutrality in giro per il mondo ed è possibile identificare – lo ha fatto Strand Consult – diverse forme di ‘discriminazione’ legate a un ‘errore’ che spesso si insinua nel dibattito sulla net neutrality e che risiede nella convinzione che motori di ricerca, social network, sistemi operativi, dispositivi mobili siano ‘neutrali’ e che i ‘cattivi’ siano solo gli operatori tlc.
Le app mobili, ad esempio, realizzate per l’iPhone non sono compatibili con gli smartphone Android, e viceversa.
Ma anche Skype, spesso preso a esempio come ‘vittima’ degli oppositori della net neutrality, non consente di effettuare chiamate su altri sistemi VoIP, né di riceverne.
Secondo l’analista Roslyn Layton di Strand Consult il dibattito sulla net neutrality in Europa ha mancato di concentrarsi sul ‘diffuso e discreto’ filtraggio dei contenuti effettuato da Google, Apple e Microsoft attraverso i loro sistemi operativi mobili.
Partendo da questo assunto, Strand Consult ha cercato di dipanare la matassa esaminando la questione e il dibattito in diversi paesi e da diversi punti di vista. Un lavoro confluito nel rapporto ‘Understanding Net Neutrality and Stakeholders’ Arguments’, in cui – tra le altre cose – gli analisti sottolineano che una questione importante che sta emergendo nel dibattito è che “la net neutrality può essere un pericoloso qui pro quo sollevato minacciosamente contro gli operatori ma che allo stesso tempo darebbe ai governi facoltà di usare internet per invadere la privacy dei cittadini”.
Strand Consult evidenzia pertanto il suo sostegno a regole che impediscano la discriminazione, purché si applichino a tutti gli attori del mercato: “Creare un regime in cui solo le telco debbano aderire a determinate regole ma nel quale i fornitori di contenuti come Google, Facebook o Apple siano lasciati liberi di implementare pratiche di gestione del traffico non neutrali fa sì che ci sia una disparità di trattamento tale da prefigurare la creazione di un apartheid digitale”.
Un discorso che vale soprattutto in Europa, dove il Parlamento ha dato il suo benestare a un’interpretazione molto rigida della net neutrality, che se approvata in via definitiva potrebbe avere notevoli conseguenze sul business delle aziende tlc. Se infatti richiamare le telco a non discriminare i contenuti di aziende come Netflix o i servizi di Skype, è un principio importante e giusto, altra cosa è vietare anche la possibilità di dare priorità ad alcuni tipi di traffico perché questo nega una realtà consolidatasi nel corso degli anni: e cioè che le telco hanno sempre usato sistemi di gestione del traffico per far funzionare internet nel migliore dei modi, sfruttando al meglio la limitata capacità delle infrastrutture fisiche di internet, che per la maggior parte sono di loro proprietà.
Il nuovo commissario Ue per il digitale, Gunther Oettinger, dal canto suo, è intervenuto nel merito della questione, affermando di non essere ‘categoricamente contrario’ agli accordi tra telco e OTT per consentire a chi paga una sorta di corsia preferenziale per i suoi contenuti. Ha però spiegato che bisogna fare molta attenzione: “se si creano troppe categorie di servizi, si corre il rischio di degradare e rendere meno affidabile il servizio internet disponibile a tutti. Non deve insomma trasformarsi in uno svantaggio sociale”.
A tenersi fuori da dibattito, osservano ancora Strand Consult, sono stati invece le autorità antitrust: “si sono tenuti ai margini – osservano gli analisti – mentre i politici e i regolatori europei in nome della concorrenza hanno reso l’Europa meno competitiva”.
Lo dimostra il fatto che 10 anni fa sei tra i principali produttori di telefonini erano europei e producevano la metà dei dispositivi venduti nel mondo. queste aziende sono ora quasi scomparse e gli investimenti nel settore che un tempo erano un terzo del totale mondiale oggi sono scesi a meno di un quinto. 15 delle 25 maggiori web company sono americane, solo una è europea.
In una cosa la Ue è riuscita a raggiungere il suo obiettivo, conclude Strand Consult: “nel creare una concorrenza statica: 28 mercati nazionali con dozzine di operatori. È ora che politici e regolatori europei dichiarino conclusa la loro missione. I mercati sono ora abbastanza competitivi e si può passare da normative specifiche del settore a regole antitrust valide per tutti gli attori della catena”.