Rapporti sempre più tesi tra le major americane e i siti di musica in streaming. Sarà per il boom di ascolti su Spotify (il rapper Kendrick Lamar ne ha totalizzati 9,6 milioni in 24 ore) o forse per il recente sorpasso dello streaming sulle vendite di CD, ma nelle ultime settimane le case discografiche hanno alzato i toni del confronto e cominciano a battere cassa.
Universal Music punta dritto a Spotify, la piattaforma svedese numero uno al mondo per la musica online con 15 milioni di abbonati paganti e 60 milioni di utenti.
Secondo il Financial Times, la major è al momento nel pieno delle trattative con Spotify per quanto riguarda i diritti del suo catalogo. Tra i due ci sarebbe un vero e proprio braccio di ferro perché Universal vorrebbe costringere il gruppo svedese a differenziare ulteriormente l’offerta gratuita da quella a pagamento per spingere maggiormente gli utenti ad abbonarsi.
La stessa cosa era successa nel 2010 con la francese Deezer prima di arrivare nel settembre 2011 a un accordo.
Secondo la rivista Rolling Stone, anche altre case discografiche si sarebbero mosse sul fronte dei diritti d’autore.
I provider di servizi streaming seguono un modello particolare: puntano sulle offerte free per attirare gli utenti e spingerli poi ad abbonarsi.
Cosa che però non sempre avviene.
Inoltre il mercato sta diventato sempre più competitivo con l’arrivo di nuovi player. Anche Google si è mossa e YouTube ha lanciato lo scorso novembre il proprio servizio Music Key.
Le major vorrebbero che le piattaforme di streaming limitassero maggiormente le offerte gratuite, perché negli USA i ricavi pubblicitari provenienti dallo streaming hanno generato 295 milioni di dollari nel 2014 per le case discografiche mentre gli abbonamenti hanno permesso di recuperare 800 milioni.
Anche Apple, che si prepara a lanciare per giugno il nuovo servizio di musica in streaming, è in già in trattative con le major.
Secondo indiscrezioni, i primi confronti non sarebbero stati così cordiali. Apple non intende prevedere servizi d’ascolto gratuiti. Ma il nodo dei negoziati sarebbe il prezzo del servizio a pagamento che il gruppo vorrebbe intorno ai 5 dollari al mese per poi farlo salire a 7,99 dollari. Le major premerebbero invece per 9,99 dollari e minacciano di far saltare l’accordo.
Al momento Spotify è accusata anche da alcuni popolari cantanti convinti che la società svedese non paghi abbastanza per i diritti d’autore.
Secondo le riviste di settore, le major sono convinte che il modello freemium potrebbe sparire entro la fine dell’anno.
Gary Stiffelmann, una grossa figura nel mondo della musica americana e avvocato di Michael Jackson e Lady Gaga, ha detto chiaramente che per avere maggiori compensi bisogna aumentare i prezzi dei servizi di streaming. Ma al momento Spotify, Pandora e Deezer fanno orecchie da mercante.