Dopo quasi due decenni di costante declino, il mercato mondiale della musica torna a crescere. Nel 2015, il fatturato si è attestato a 15 miliardi di dollari (13 miliardi di euro), il 3,2% in più rispetto al 2014. Ma la vera notizia è un’altra: per la prima volta, infatti, le vendite digitali hanno superato quelle ‘fisiche’, arrivando a rappresentare il 45% del totale, contro il 39% derivato dal comparto fisico (i Cd e i classici vinili).
I ricavi digitali sono in crescita del 10.2% a 6.7 miliardi di dollari e a trainare la crescita – con un aumento del 45.2% – è stato senza dubbio lo streaming.
Trainati anche dal boom degli smartphone, servizi come Spotify, Apple Music, TIMmusic, Google Play e Deezer hanno generato nel 2015 in tutto il mondo ricavi per 2,9 miliardi di dollari (quadruplicati in 5 anni) e rappresentano ormai il 43% dei ricavi digitali complessivi (il 19% di quelli totali).
A un passo ormai il sorpasso sul download che si è attestato al 45% dei ricavi digitali (il 20% dei ricavi complessivi) ma ha registrato un calo del 10,5%.
In alcuni paesi, come gli Usa, dove è cresciuto del 93%, lo streaming è diventato la prima fonte di ricavi davanti al download e alla vendita su supporti fisici. In altri, come il Messico e la Cina ha aperto le porte al consumo legale di musica digitale.
Il Global Music Report 2016 di IFPI, presentato oggi a Londra, sancisce insomma la consacrazione del digitale come prima fonte di ricavi per l’industria discografica. Una vera e propria svolta per un comparto, quello della musica digitale, additato come principale causa della crisi del settore.
I dati dell’Italia
Il mercato discografico italiano, ci comunica FIMI, è cresciuto del 21% con un fatturato di 148 milioni di Euro al sell in. Anche nel nostro paese il digitale supera la soglia del 40%, attestandosi al 41% del mercato, con lo streaming in crescita del 63% (calano invece del 5% i download).
In controtendenza rispetto ad altri mercati, da segnalare nel nostro Paese la decisa ripresa delle vendite di Cd, che hanno generato ricavi per oltre 88 milioni di euro e una crescita del 17%.
Il problema del ‘value gap’
15 anni fa, nel pieno del boom dei CD, l’industria mondiale registrava ricavi per 27 miliardi di dollari. Una crisi, insomma, c’è stata ma sembra ormai superata, con un settore che spera ora in una nuova rinascita: per John Rees di Warner Music, “lo streaming può ricreare un’età d’oro per la musica, con diversi player a comporre un paesaggio digitale a vantaggio degli artisti, dei consumatori e dell’industria”.
Ma restano molte le incognite che si celano dietro il boom del digitale.
Prima fra queste, sottolinea l’IFPI, la distorsione generata dal cosiddetto ‘value gap’, ossia una iniqua ridistribuzione dei ricavi.
Secondo l’associazione che rappresenta le maggiori imprese produttrici e distributrici del settore discografico mondiale, permane ancora, insomma, una discrepanza tra i consumi record e la remunerazione di artisti e produttori che non riescono ancora, secondo d ottenere il giusto compenso per il proprio lavoro.
Insomma, come ha sottolineato Frances Moore, Ceo di IFPI, “La ripresa è incoraggiante, ma poggia su basi fragili”.
400 piattaforme per la musica in streaming nel mondo
La società californiana ha lanciato Apple Music un anno fa. Il servizio di musica in streaming e on-demand, nato per contrastare competitor come YouTube, Spotify, Deezer o Pandora, costa 9,99 euro al mese e a nove mesi dal debutto aveva già conquistato 10 milioni di abbonati. Il leader del mercato, la svedese Spotify rivendica 30 milioni di abbonati.
Al di là dei nomi più blasonati, IFPI ha contato oltre 400 piattaforme di musica digitale in giro per il mondo, ma sono ancora molti quelli per cui musica online equivale a musica gratuita.
Che poi – ha sottolineato Stéphane Le Tavernier di Sony – bisogna distinguere tra gratuito ‘buono’ e gratuito ‘cattivo’: nella prima categoria rientrano ad esempio le offerte di ‘prova’ di Spotify o Apple o quelle scaturite da accordi con gli operatori telefonici, mentre nella seconda rientra la musica finanziata dalla pubblicità – da YouTube, per esempio – che non remunera adeguatamente artisti e produttori.
Secondo l’IFPi, i 900 milioni di utenti che consumano musica finanziata dalla pubblicità hanno portato ricavi per 634 milioni di dollari, contro i 2 miliardi generati dai 68 milioni di abbonati ai servizi a pagamento.