Il dibattito europeo sul nuovo modello di regolamentazione “più leggera” (light touch regulation) da destinare ai network delle telco wholesale-only, a vantaggio degli operatori di Tlc non verticalmente integrati (come ad esempio Open Fiber in Italia e Siro in Irlanda) – sul quale il Trilogo Parlamento, Consiglio e Commissione Ue hanno raggiunto un accordo preliminare la scorsa settimana – entra nelle nostre vicende italiane di Tim, in particolare nel derby in atto fra Elliott e Vivendi per la governance dell’azienda. Il nuovo modello potrebbe infatti applicarsi anche alle società della rete, nate dallo spin off proprietario della rete degli incumbemt europei, fra cui Telecom Italia, British Telecom e Deutsche Telekom.
E’ quanto emerge da un report di Credit Suisse pubblicato oggi (“Bits and Bytes: Wholesale-only wins support in Brussels”), che ricostruisce il dibattito in corso a Bruxelles e ipotizza alcuni scenari futuri alla luce del via libera “politico” del Trilogo Ue all’articolo 77 del nuovo Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche, che vuole introdurre per la prima volta nuovi obblighi di prezzo “ragionevoli” (“fair and reasonable”) per gli operatori di rete wholesale-only. Criteri diversi quindi dai prezzi “orientati al costo” oggi in vigore per il mercato dell’accesso all’ingrosso.
Modello wholesale only e incumbent Ue
Il modello wholesale only è stato individuato dall’Unione Europea per spingere gli investimenti in nuove reti e semplificare il più possibile gli investimenti, allo scopo di evitare duplicazioni infrastrutturali, separando in modo netto i fornitori di capacità di banda dai fornitori di servizi retail nel mercato residenziale.
Una regolazione più leggera sugli obblighi di accesso ai network potrebbe, alla fine, riguardare anche le reti scorporate dagli incumbent europei (Telecom Italia, British Telecom, Deutsche Telekom ecc) che volessero convertire le loro reti al modello “wholesale only”. Un’ipotesi che è da tempo tornata al centro del dibattito italiano, dove lo scorporo proprietario della rete Tim, con la nascita di Netco e l’ingresso di nuovi azionisti, è considerata il primo passo in direzione della fusione con la rete di Open Fiber e la nascita di una società unica della rete sostenuta da più parti. Una rete neutra e aperta a tutti i fornitori di servizi Tlc attivi nel mercato retail.
Nuovo codice Ue delle comunicazioni elettroniche
Il nuovo Codice Europeo dovrebbe entrare in vigore entro il 2018 nell’ambito della revisione del quadro regolatorio continentale delle Tlc. Starebbe poi alle varie autorità nazionali di regolazione (Agcom da noi) declinare il nuovo regime regolatorio alla luce dell’introduzione del modello wholesale only, in linea con il nuovo orientamento della Ue.
C’è da dire che invece altri aspetti del dibattito in corso a Bruxelles sulle reti a banda ultralarga, in particolare il tema dei co-investimenti in nuove reti, sono ancora in alto mare. In questo contesto, gli obiettivi di copertura ultrabroadband fissati dalla Commissione Ue al 2025 sono lontanissimi. Secondo stime dell’Etno, ci vorrebbero investimenti privati per 660 miliardi di euro per raggiungere i target di copertura in fibra (Ftth) e 5G fissati dalla Commissione Juncker.
Un vantaggio per Elliott?
Ma tornando al dibattito sull’wholesale only, secondo Credit Suisse, la nuova regolazione “light touch” prevista per gli operatori wholesale only potrebbe applicarsi agli incumbent a patto che dopo lo spin off totale (fully spin off) della rete cambi anche la proprietà della Netco. Di conseguenza, visto che il modello di scorporo annunciato da Elliott prevede appunto la quotazione, l’ingresso di nuovi soci per accelerare un’eventuale fusione con Open Fiber, la proposta del fondo Usa sembra quindi uno step più avanti rispetto alla semplice separazione societaria della rete, al 100% proprietà di Telecom Italia, notificata due giorni fa all’Agcom dalla Tim a trazione Vivendi dell’ad Amos Genish.
Per questo, l’ipotesi di una regolazione più leggera in ottica “wholesale only” per la Netco, secondo Credit Suisse, “potrebbe giocare a favore” del progetto di spin off proposto dal fondo americano, previa cessione della proprietà da parte di Tim.
Modello wholesale only riservato agli SMP
Nel report si legge che la Commissione Ue ha confermato che l’accordo preliminare raggiunto sull’introduzione del nuovo modello di operatore wholesale only potrebbe riguardare “gli incumbent (gli SMP, operatori con un potere di mercato significativo o condiviso joint-SMP) che decidono di diventare “wholesale only”. “Per essere chiari, se una telco incumbent – come TI, BT, DT ecc – decidesse di scorporare la sua rete di accesso fissa (in modo tale che la proprietà fosse separata)” potrebbe beneficiare di questa deregolamentazione, “cambiando gli obblighi di accesso alla rete da criteri di prezzo orientati ai costi a criteri di accesso più ragionevoli (fair and reasonable)”.
Resta da capire cosa si intende per termini di accesso “ragionevoli” in termini di prezzi di accesso alla rete wholesale. Secondo il report di Credit Suisse, la regolazione è davvero “più leggera” soltanto “se porta a prezzi di accesso all’ingrosso più elevati (e a prezzi più elevati per gli utenti finali)”.
“Resta quindi da vedere”, aggiunge il report di Credit Suisse che non nasconde “un certo scetticismo”, se i governi e i regolatori nazionali vorranno realmente consentire “aumenti di prezzo in cambio di telco che non siano più verticalmente integrate”.
A questo punto, bisognerà attendere la rivalutazione degli obblighi di accesso alla rete a carico di Tim dopo la conclusione dell’analisi di mercato sull’accesso a rete fissa di Agcom. Rivalutazione che doveva concludersi entro il 31 luglio, ma i tempi saranno più lunghi, alla luce della notifica della separazione della rete da parte di Tim, per la quale ci vorrà almeno un anno e mezzo, secondo il Sole 24 Ore. Insomma, eventuali cambiamenti non sono dietro l’angolo.