“Noi siamo principi liberi e abbiamo altrettanta autorità di fare guerra al mondo intero quanto coloro che hanno cento navi in mare” (Samuel Bellamy).
La burocrazia è senz’altro “un gigantesco meccanismo azionato da pigmei”, come sosteneva Honoré de Balzac. E in particolare quella italiana trova uno dei suoi esempi migliori nella gestione apicale dei processi IT del Paese.
Gentili signore e signori, ecco a voi l’indigesto minestrone della governance digitale italiana: un mirabile comunicatore come Riccardo Luna è (a quanto pare ancora) Digital Champion nazionale (incarico a titolo gratuito); un ottimo conoscitore delle “cose digitali” come Paolo Barberis è Consigliere per l’innovazione a Palazzo Chigi (incarico a titolo gratuito); un robusto manager IT come Antonio Samaritani è alla direzione dell’AgID; a tutto questo si aggiunga il Tavolo di indirizzo di AgID, il Tavolo permanente per l’innovazione e l’agenda digitale italiana, il Tavolo di coordinamento dell’Agenda digitale fra le Regioni (e sicuramente ho dimenticato qualche altro pezzo dell’intricatissimo ingranaggio).
E quando già tutti gli ingredienti sembrano sufficientemente confusi, dal cilindro del nostro fantasioso Presidente del Consiglio spunta anche il Commissario di governo per il digitale e l’innovazione, Diego Piacentini (incarico anche questo a titolo gratuito).
Nulla da eccepire: siamo indubbiamente bravissimi a individuare nomi apparentemente perfetti per il ruolo che ricoprono, da utilizzare però come specchietto per le allodole, mentre nella foga di annunciare presunte “novità” la polvere resta ben nascosta sotto il tappeto.
Il problema, infatti, non è nelle persone scelte per questi incarichi – tutte altamente qualificate e perfettamente calzanti nel ruolo per esse stabilito -, il problema è che ad oggi mancano del tutto sia la definizione puntuale delle responsabilità, sia una robusta strategia a lungo termine per la governance nei processi di digitalizzazione del nostro Paese (vogliamo comprenderlo una buona volta?).
E invece la maggioranza dei commentatori tecnici (e della scodinzolante stampa di regime) è pronta ad applaudire l’indubbiamente bravo Piacentini, come si applaudì a suo tempo la scelta di Riccardo Luna, di Paolo Barberis e così via.
Tutti adattissimi, ripeto, ma lasciati allo sbaraglio con incarichi da volontariato parrocchiale.
E i risultati desolanti che questa politica ha avuto per il nostro Paese sono visibili a tutti. Vogliamo abbozzare, timidamente, un (sicuramente non esaustivo) elenco di ciò che non va? Fa male, ma è necessario squarciare impietosamente questo velo di fuliggine se vogliamo provare davvero a voltare pagina.
Quindi iniziamo l’elenco.
Partiamo dal Codice dell’amministrazione digitale. È stata (come al solito) annunciata una rivoluzione normativa e invece abbiamo tutti letto un ulteriore arretramento di un decreto già tristemente inattuato (che l’Italia ha in pancia dal 2005!). Di sanzioni per le PA inadempienti ovviamente neppure l’ombra.
E che dire del FOIA (Freedom of Information Act) che ha riempito giornali e riviste di settore con comunicati stampa e annunci pieni zeppi di mirabili prospettive verso una PA finalmente digitale e trasparente… salvo poi rivelarsi un bluff per ridimensionare quel poco di trasparenza già garantita dal Decreto Legislativo 33/2013. Ovviamente, anche qui, di sanzioni non c’è traccia!
E ancora, cosa riferire del pluriannunciato Spid? Che fine hanno fatto i gestori dell’identità digitale che dovevano essere già oggi disponibili a garantire la vera svolta verso l’amministrazione digitale? Se ne continua a parlare e adesso in verità un po’ si inizia anche a criticare un progetto che appare monco già prima di partire (come è già capitato alla ormai cancellata Cec Pac…).
Vogliamo parlare del rivoluzionario Processo Civile Telematico? Inutile ricordare le tante difficoltà, incertezze e involuzioni che caratterizzano questo sistema, nato vecchio dopo una decina di anni di parcheggio normativo. Nell’economia di questo breve articolo, mi limito a segnalare quanto è successo un paio di giorni fa, quando nello scoramento generale tutti gli avvocati italiani – me compreso ovviamente 🙂 – hanno ricevuto dall’Ufficio Stampa del CNF una comunicazione incredibile nella sua laconicità, secondo la quale “per impreviste attività di manutenzione sul Portale dei servizi telematici, la Direzione generale dei sistemi informativi del Ministero della Giustizia informa che non è possibile al momento effettuare depositi telematici e che verrà data successiva comunicazione non appena i servizi saranno ripresi”. E purtroppo non è la prima volta che ciò accade.
E con la sanità digitale le cose procedono forse meglio? Tra refertazioni online in tilt e sistemi basati sul riconoscimento con tessera sanitaria che non accettano l’invio dei dati 2015 per il 730 precompilato (come segnalato dal dott. Giancarmine Russo, Segretario Generale della Società Italiana di Telemedicina), mi sembra che anche qui si navighi a vista.
Ma basta aggirarsi, per questioni professionali o come semplici cittadini, nei meandri della PA italiana (amministrazioni locali, scuole, università e così via) per rendersi conto che c’è uno smarrimento generale e che le norme sull’amministrazione digitale sono totalmente disapplicate (scuole lasciate al palo con il protocollo informatico, comuni che interpretano la pubblicità legale online in modo piuttosto singolare e così via…).
E non sempre le amministrazioni centrali riescono a dare il buon esempio, anzi, vengono costantemente denunciate situazioni paradossali in un dialogo per nulla informatico fatto di circolari inoltrate via telefax e richieste di documenti da compilare in formati proprietari.
Eppure esistono casi di eccellenza. Abbiamo, solo per fare un esempio, sia la Corte dei Conti e sia INAIL che grazie a una direzione autorevole dei sistemi informativi e della governance digitale (affidata a persone come Luca Attias e Stefano Tomasini) hanno avviato efficaci azioni verso una digitalizzazione consapevole. Forse si dovrebbe avere la pazienza di osservare con attenzione come si stanno muovendo queste pubbliche amministrazioni prima di avventurarsi in ulteriori nomine a titolo gratuito nel drammatico tentativo di nascondere tutto ciò che non va (e con la speranza che possa essere sufficiente una sola persona a salvarci dall’ecatombe digitale in cui da tempo versiamo).
In verità, dovrebbe essere ovvio che non potrà mai bastare un pur ottimo Piacentini a salvare l’Italia da questa disordinata paralisi digitale. Prima di tutto dobbiamo chiederci se sia giusto che un manager di indubbio livello, rimanendo evidentemente legato a una multinazionale come Amazon, svolga gratuitamente un incarico così delicato. Qui il problema non è se un qualsiasi libero professionista sia strumentalizzabile o condizionabile. In questo caso ci stiamo affidando a un “commissario” (quindi l’Italia digitale merita di essere commissariata?), il quale dovrebbe svolgere da terza parte affidabile un lavoro nell’interesse esclusivo del suo Paese. Tutto questo può farlo una persona – lo ripetiamo, pur molto capace e competente, e nessuno lo mette in discussione – che rimanga irrimediabilmente legata alla multinazionale che (giustamente) continua a considerarlo un proprio dipendente, mentre il Governo italiano non ha, di contro, alcuna intenzione di retribuirlo come meriterebbe (come se proprio il fatto di “non spendere un euro” per garantirsi una professionalità di questo livello fosse una grande conquista)?
Il Sistema Paese può permettersi, nella situazione in cui versa, di far svolgere a titolo gratuito incarichi così delicati?
Non è questo un ulteriore svilimento delle politiche digitali del Paese?
Queste non sono mere questioni di principio, ma costituiscono invece i presupposti fondamentali della separazione dei poteri, della convivenza sociale, del diritto e della terzietà nel momento in cui si sviluppano incarichi di questa natura.
Se vogliamo davvero uscire dal guado, occorre innanzitutto prendere atto dello stato di disorientamento generale, nel quale i principi generali che dovrebbero indirizzare le nostre azioni sono costantemente calpestati, forse anche perché la stessa normativa, affidata da tempo a uno schizofrenico legislatore, ha perso irrimediabilmente l’autorevolezza che dovrebbe caratterizzarla. Da tempo chiediamo, senza essere ascoltati, ordine, sistematicità e anche una pausa di riflessione in questo manicomio di regole e leggine che caratterizza l’Italia Digitale.
C’è una tale scelleratezza di fondo nella legiferazione su queste delicate materie da far ormai pensare che l’unica strategia esistente sia proprio quella di continuare a procedere in questo modo, in maniera confusa e inadeguata, perché – diciamocelo una buona volta – la digitalizzazione fa dannatamente paura, per il suo essere un’arma efficace contro la corruzione, e noi siamo ormai in una situazione di emergenza digitale nazionale.
Se davvero c’è ancora voglia di far crescere l’Italia attraverso una seria cultura digitale e senza continuare a fare altro inutile e insopportabile storytelling, proviamo a tracciare sinteticamente alcune delle direzioni da intraprendere, le uniche possibili se davvero vogliamo garantire una efficace azione istituzionale orientata verso la digitalizzazione:
- Abbiamo bisogno di strategie affidate a una governance autorevole, con responsabilità definite, separando le scelte strategiche dalle attuazioni tecniche. Andrebbe anche bene commissariare, ma affidandoci a manager che svolgano solo e soltanto questa funzione, in modo affidabile e da terza parte fidata. E soprattutto a questi manager dobbiamo garantire reali poteri per disegnare queste benedette strategie e tradurle in norme cogenti che non siano sistematicamente messe in discussione di anno in anno. Il maestro Ezio Bosso, che ha suonato magistralmente incantando Sanremo, ha saggiamente affermato che la musica, come la vita, si fa solo insieme: questo vale anche per l’Italia digitale, ma ci vorrebbe un vero pianista. Chi lo è oggi in mezzo a consiglieri, campioni digitali e commissari?
- La digitalizzazione a costo zero è una barzelletta da superare al più presto. Ci sono spese da preventivare con attenzione, in modo da evitare il tanto di superfluo e sbagliato che ancora caratterizza le forniture IT del nostro Paese. Va benissimo costituire un patto forte e lungimirante tra domanda e offerta IT in modo da razionalizzare la spesa, ma “essa non può e non deve essere semplicemente un taglio di investimenti, ma una rimodulazione, uno spostamento da business as usual a progetti innovativi, coerenti e coordinati”, come ha recentemente dichiarato Alfonso Fuggetta.
- Per poter razionalizzare le spese IT e sviluppare strategie efficaci nei processi di digitalizzazione ci vogliono scelte forti e ragionate a livello centrale e locale ma senza formazione e una precisa definizione di nuove professionalità necessarie per questo cambiamento continueremo a procedere alla rinfusa.
- Abbiamo, inoltre, estrema necessità di una razionalizzazione e semplificazione anche a livello normativo. Non c’è bisogno di nuove norme che si sommino a quelle precedenti, ma di un’azione senza precedenti di tagli legislativi. I veri “tagli” che ci servono davvero sono solo questi.
- Infine se vogliamo sbloccare l’immobilismo in cui versa la nostra pubblica amministrazione, vanno necessariamente previste azioni legislative che alternino premialità (per chi fa bene) e sanzioni reali (per chi si ostina a fare orecchie da mercante). E chi premia e commina sanzioni deve essere un’autorevole parte terza al potere amministrativo. La tecnica del bastone e della carota ha sempre funzionato in Italia. Applichiamola, ma in modo serio!
Non possiamo più permetterci di aspettare oltre.
Time is gone, the song is over, Thought I’d something more to say
(Pink Floyd, Time da The Dark Side of the moon)
Vi lascio con questo, meglio riderci su: