Paperless

Minions4Italy. La carta è morta! Lunga vita alla carta!

di Andrea Lisi, presidente di ANORC Professioni e Segretario Generale di ANORC (Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione digitale dei documenti) |

In Italia la digitalizzazione dei processi non sta portando alla dematerializzazione. Arrivare ad una società paperless costa e non consente tagli alla spesa IT nella PA

Rubrica controcorrente sul digitale in Italia a cura di Andrea Lisi, Presidente  di ANORC Professioni e Segretario Generale di ANORC (Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione digitale dei documenti), Segretario Generale AIFAG (Associazione Italiana Firma elettronica avanzata biometrica e Grafometrica) e Coordinatore del Digital & Law Department dello Studio Legale Lisi. È Docente presso la Document Management Academy e la MIS Academy della SDA Bocconi e Direttore del Master Universitario Unitelma Sapienza: I professionisti della digitalizzazione documentale e della privacy. E’ inoltre il fondatore del movimento Italian Digital Minions che conta attualmente un gruppo Facebook di oltre 3000 aderenti. Per leggere tutti gli articoli clicca qui.

 

 

 

Noi siamo principi liberi e abbiamo altrettanta autorità di fare guerra al mondo intero quanto coloro che hanno cento navi in mare” (Samuel Bellamy).

 

Nel corso di un recente evento bolognese a cui ho partecipato, è stata riportata da uno dei relatori la notizia che, secondo un’indagine su fatturazione elettronica e dematerializzazione, sono 45 miliardi i documenti stampati in Italia ogni anno, pari a 600 miliardi di fogli di carta. Nel 2018 si stima che si arriverà a più di 800 miliardi di fogli di carta stampati: altro che paperless, insomma!

Effettivamente, almeno in Italia, la digitalizzazione dei processi non sta portando alla tanto agognata “dematerializzazione”, e qualcuno già sostiene che sia meglio così, perché comunque nel 2020 dovremo affrontare un’eruzione solare che, come riporta il Washington Post, potrebbe mettere in ginocchio la civiltà così come la conosciamo. Un brillamento solare talmente intenso da disabilitare per mesi rete elettrica, cellulari e Internet. Quindi, si ritornerà alle tavolette d’argilla per garantire la memoria delle nostre informazioni.

Ma davvero vogliamo morire ibridi, in una scomodissima promiscuità di archivi cartacei e digitali? Duplicando ogni giorno informazioni e alternando con incostanza l’uso di uno o dell’altro supporto nell’ostinata paura di abbandonare per sempre la carta (o almeno di quella divenuta inutile perché sostituita da documenti informatici validi e rilevanti ex lege)? Purtroppo è questo che sta succedendo nelle PA e nelle imprese italiane, anche se facciamo finta di non accorgercene, blaterando di aziende che viaggiano sui binari del web 4.0 (ormai siamo arrivati a questo numero per descrivere ciò che accade nel web…) e di PA totalmente open che vincono premi in insignificanti eventi organizzati ad hoc.

Attualmente a livello statale abbiamo in piedi progetti che hanno poco senso dal punto di vista giuridico-informatico e di certo non consentono di abbandonare davvero la carta. L’indagine su fatturazione elettronica e dematerializzazione ben rappresenta la desolante realtà che stiamo vivendo e ci sono anche ragioni giuridiche che la spiegano. Infatti non si può abbandonare la carta se non si è organizzato con serietà un sistema di gestione e conservazione a norma di documenti informatici: non è l’Italia a dirlo ma l’Europa. Infatti, secondo il Regolamento n. 910/2014 del 23 luglio 2014 (in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE) può essere considerato documento elettronico solo e soltanto un “contenuto conservato in forma elettronica, in particolare testo o registrazione sonora, visiva o audiovisiva”. L’oggetto informatico che non si conserva a norma di legge, quindi, rischia di non avere alcun valore giuridico e documentale e di dover essere, appunto, stampato.

E questo paradosso lo ritroviamo in tutti i progetti relativi al Processo Civile Telematico (il quale come più volte abbiamo sottolineato, non è ancora garantito – incredibilmente – da un sistema di conservazione a norma); ai certificati medici online o le prescrizioni mediche elettroniche, che sono lasciati galleggiare in stati embrionali dal punto di vista giuridico-informatico; alla digitalizzazione del Certificato di Proprietà,-  per il quale quanto meno c’è l’impegno di ACI a fare meglio in futuro; alla fatturazione elettronica tra privati, la cui normativa sembrerebbe prevedere in capo a un unico fornitore (peraltro non accreditato presso AgID!) il compito di gestire e conservare le fatture PA di tutti coloro che si interfaccino con il sistema di interscambio. Sembra addirittura che si stia prefigurando – sull’onda della semplificazione – il disegno governativo di un unico gestore che conservi i documenti informatici di tutti i privati che abbiano rapporti con la PA, ribaltando così principi generali del diritto che prevedono sempre un bilanciamento degli interessi in gioco (e qui c’è da tenere in considerazione anche l’interesse del privato cittadino, che vorrebbe magari ancora “possedere” il proprio documento, a maggior ragione in caso di contenzioso, e non doverne invece richiedere l’esibizione proprio alla propria controparte nel processo, se è essa – come potrebbe verificarsi – a conservarlo per lui). Speriamo che quest’ultima possibilità si riveli essere solo una barzelletta che si sente raccontare in giro nelle stanze dei bottoni.

Per sviluppare davvero progetti paperless occorrerebbe non sminuirne la difficoltà, ma partire dal presupposto che per una PA (e per un’impresa) digitalizzare i propri processi rimane davvero costoso in termini di risorse umane, hardware e software (altro che digitalizzazione a costo zero!) e complesso, anche se poi il “front-office” verso il cittadino/utente fruitore del servizio deve essere sviluppato nel modo più semplice e immediato.
Per lo sviluppo di processi paperless i passi da compiere, ineludibili, sono questi:

  • L’utilizzo di modelli pensati e sviluppati solo per documenti nativi digitali, che partano quindi dal portale web per favorire una reale interazione con gli utenti;
  • L’adeguamento alle regole tecniche sulla formazione del documento informatico (DPCM 13 novembre 2014), sul protocollo informatico e sulla conservazione (DPCM 3 dicembre 2013);
  • La definizione di tutte le professionalità necessarie a sviluppare e presidiare questi processi.

Se non si procede così, si rischia solo di continuare ad ammalarsi a livello governativo della pericolosa sindrome dell’annuncite, il cui sintomo principale consiste nel comunicare rivoluzioni digitali, ma poi continuare nelle PA (e nelle imprese) a stampare carta (magari anche più di prima). In verità, occorre ribadirlo con forza, agire in modo corretto per arrivare davvero a una PA o una società paperless costa e non consente tagli alla spesa IT, se non altro non all’inizio del processo di digitalizzazione, il quale, solo dopo che sarà ultimato e ben avviato, consentirà di godere di benefici in termini di efficienza, efficacia e risparmio.

In Italia, invece, si continua a procedere al contrario e si prevede il taglio del  50% della spesa IT, di cui tanto si discute in questi giorni. E da ultimo si sente persino raccontare in giro che il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID) comporterà un costo per il cittadino che si vorrà rapportare online con la PA per essere identificato in modo corretto dai vari provider privati che svilupperanno questo servizio. E già ci si immagina il povero pensionato Rocco Balbetta che vuole interrogare il suo Fascicolo Sanitario Elettronico e per farlo dovrà saldare il conto con un provider accreditato…
Ma questa è un’altra brutta storia che di certo non potrà mai avverarsi.

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