Oggi si festeggiano anche in Italia i 30 anni di Internet. Ce ne siamo davvero accorti? E ha senso festeggiare?
Il mondo della materia è diventato un nervo enorme, vibrante per migliaia di miglia in un battibaleno […] il globo è una testa enorme, un cervello pervaso di intelligenza. Lo scriveva Nathaniel Hawthorne nel 1851 in una futuribile descrizione del mondo che si sarebbe creato dopo l’invenzione straordinaria dell’elettricità. Ma qualcuno si è mai sognato di festeggiare pomposamente il compleanno dell’elettricità? O della ruota? O del telefono? O del martello?
Tutti strumenti incredibilmente utili (quale più, quale meno), ma che in modo naturale e ovvio utilizziamo ogni giorno, senza che a nessuno sia mai venuto in mente di narrarne le potenziali funzionalità o di costruire addirittura una “Costituzione” pensata per questo “nuovo mondo pervaso di intelligenza”, quale indubbiamente la rete Internet sembrerebbe essere.
Se tutti gli storyteller di oggi, invece di sprecare così tante energie nel raccontare quanto è bella la rete Internet e quante potenzialità ha, si fossero sporcati di più le mani (magari di giallo…) per renderla usabile a tutti, accessibile sull’intero territorio nazionale, per garantire una reale interoperabilità tra database e archivi pubblici e per favorire lo sviluppo delle competenze, allora non avrei avuto quella sensazione spiacevole, mentre sfogliavo nella mia edicola di fiducia i tanti quotidiani del mattino, scoprendo che di Internet e del suo importantissimo compleanno, purtroppo, non c’era alcuna traccia. Del resto, perché dovrebbe interessare a qualcuno questo compleanno? E soprattutto perché continuiamo ad affannarci a parlare da nerd della Rete, a volerne insegnare in modo elitario l’utilizzo senza provare davvero a renderla utilizzabile? Il miglior modo per comunicare uno strumento non è scriverne un libretto di istruzioni o partecipare a un imbarazzante talk show con il Presidente del Consiglio sulla sua pagina Facebook (che ha sortito il solo effetto di farsi prendere inevitabilmente per i fondelli da Luca Bottura su Radio Capital!), ma favorirne la diffusione e soprattutto garantirne l’usabilità. E magari studiare e sviluppare le competenze necessarie per rendere possibile tutto questo.
Da troppo tempo in Italia accade un fenomeno strano che riguarda l’Agenda Digitale. Non so se ricordate il film Sliding Doors, nel quale si invitava lo spettatore a riflettere sulle possibili conseguenze di ogni azione e, quindi, sull’importanza di ogni scelta da fare nella vita. Ecco, in questo ambito mi sembra che ci stiamo da tempo impegnando a sbagliare ogni colpo, garantendo sempre una svolta… nella direzione sbagliata!
Di recente abbiamo visto la promulgazione di una nuova serie di provvedimenti normativi di settore in cui le esigenze dei cittadini e del mercato digitale sembrano, solo apparentemente, essere state prese in considerazione anche dal legislatore: penso a iniziative normative quali il FOIA, il nuovo Codice degli Appalti, il nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale, sino ad arrivare all’attuazione di SPID o alle ultime novità del processo amministrativo telematico, il cui contenuto purtroppo non risulta sempre soddisfare aspettative e reali bisogni, come a dire: la volontà, come al solito, sembrerebbe esserci, ma non sempre dà luogo a risultati validi e funzionali. Occorre dare atto che nella recente richiesta delle Commissioni parlamentari competenti di ascoltare le osservazioni di ANORC e di altre associazioni di categoria in merito sia alle modifiche del CAD e sia al FOIA (osservazioni, queste ultime, poi in buona parte assorbite nel loro parere finale) è da leggersi un segnale positivo del desiderio, da parte delle istituzioni centrali, di tenere in considerazione le opinioni di chi rappresenta le aziende e i professionisti che operano nel settore digitale, che hanno il polso della situazione e conoscono bene le difficoltà da sciogliere.
I problemi reali, purtroppo, rimangono tutti sul tappeto. Rimane un’Italia che invece di andare avanti retrocede in materia di digitale. I fatti purtroppo sono questi.
Il punto debole di tutti questi interventi legislativi tende a essere sempre la mancanza di coordinamento e di omogeneità tra le norme, come se a prevalere fosse la solita tendenza a considerare ogni singolo testo normativo come un’entità indipendente e non come la parte di un complesso insieme in cui esso deve confluire senza conflitti, nel pieno rispetto, innanzitutto, della normativa primaria. E infatti, ancora oggi, si leggono testi normativi che sembrano abbozzati piuttosto che definitivi e invece di richiamarsi l’un l’altro in modo sistematico, magari affidando i principi generali relativi ai processi di firma, ai modelli di comunicazione e ai sistemi di gestione documentale a un unico Corpus (quello che dovrebbe essere il Codice dell’amministrazione digitale), continuano a ribadire l’ovvietà, ma corredandola di eccezioni. Un atteggiamento schizofrenico, quello del legislatore, che si ripete da anni e non accenna a terminare, anzi, nella foga di comunicare il digitale, se possibile, peggiora.
Così è accaduto con il processo civile e amministrativo telematico o con il recente Codice degli appalti: si continua a legiferare, facendo finta che il Codice dell’amministrazione non sia mai entrato in vigore o ignorandone le relative regole tecniche. Ma di peggio sta accadendo con il FOIA. Come è noto il Freedom of Information Act è la legge sulla libertà di informazione, emanata negli Stati Uniti il 4 luglio 1966 durante il mandato del presidente Lyndon B. Johnson. Un istituto giuridico quindi piuttosto vecchiotto e importante della common law americana. Ha davvero senso chiederne l’introduzione in Italia, dove abbiamo una tradizione giuridica profondamente diversa e soprattutto normative sulla trasparenza da poco entrate in vigore e finalmente in fase di applicazione reale?
Questo FOIA italiano che a gran voce si vuole introdurre nel nostro ordinamento con un maldestro “copia incolla” non mi piace (e non può piacere): l’Italia meritava invece un rafforzamento della trasparenza già contenuta nel D. Lgs. 33/2013. Di fatto con questa nuova normativa si sta burocratizzando la trasparenza e si finirà, purtroppo, per limitarla.
Il parere (non vincolante) della Commissione Affari Costituzionali – che pur ha recepito gran parte dei suggerimenti forniti dai tanti enti e associazioni coinvolti, ammesso che sia totalmente preso in considerazione dal Governo – è solo una toppa non in grado di coprire i troppi buchi che emergeranno nel sistema giuridico nazionale con l’introduzione di questo istituto inutile per il nostro ordinamento, proprio perché derivato dalla common law.
Se davvero chiediamo trasparenza garantita tramite Internet, dobbiamo proprio evitare che i cittadini debbano effettuare una richiesta specifica di trasparenza, rimanendo “infoiati” nei meandri di una nuova burocrazia telematica. Occorreva invece concentrarsi sulla trasparenza on line, quella già prevista in Italia sui siti istituzionali della PA, già garantita, quindi, dal D. Lgs. 33/2013. Sarebbe stato molto più opportuno ampliare ulteriormente la trasparenza presente nel nostro ordinamento, favorendone una maggiore concretizzazione attraverso una precipua attenzione ai processi di digitalizzazione della PA.
Non c’è, infatti, trasparenza reale senza serie e affidabili politiche di digitalizzazione. E non può esserci digitalizzazione senza attenzione alla sicurezza informatica e alle competenze adeguate a disegnarne i modelli e presidiarne i processi.
Sono tutti argomenti tra loro intrecciati, che per come vengono portati avanti, rischiano di tradursi, invece, nell’ennesima occasione mancata per l’Italia Digitale.
Non Internet Day, quindi, ma #internetEVERYday come proposto dalle associazioni ANORC, Stati Generali dell’Innovazione Digitale, IWA e Cittadinanza Attiva in una lettera in cui si chiede al Presidente Renzi, proprio in questa importante giornata, un impegno ad avviare iniziative con obiettivi chiari e misurabili e risorse adeguate, prima di tutto sulle aree che vengono ritenute prioritarie: cultura e competenze digitali, innovazione delle PMI, innovazione del territorio, crescita digitale, trasformazione della PA.
C’è tanto da fare ma si deve davvero invertire la rotta: forse siamo ancora in tempo. Ne parleremo anche l’11 maggio a Milano durante il convegno di ANORC DIG.Eat: Digital Wars -la Vendetta dei Bit.
Vi vediamo a Milano allora, per l’evento più minion dell’anno!