Arriveranno le dimissioni prima che ci debba pensare Renzi con una telefonata? Oppure si può sperare ancora in un atto di redenzione?
Il nostro Cantastorie nazionale del digitale sembra essere sulla via del tramonto lungo un – finora poco esaltante – percorso istituzionale come Digital Champion (ma siamo certi che troverà la sua strada in altri contesti) e in questi giorni prova ancora, con gli ultimi colpi di coda, a raccontare una realtà che non esiste, distorcendola così tanto da rendere la sua ultima, vibrante narrazione un’opera tragicomica.
Se è vero, come diceva Victor Hugo, che la libertà comincia dall’ironia, il Cantastorie ha ancora parecchia strada da fare.
Dalle praterie del far web al saloon di Venaria
Era partito bene il nostro Cantastorie (come ama definirlo con innegabile affetto il Gruppo scurrile e rosicone degli “Italian Digital Minions”). Senza sbagliare un colpo e non guardandosi mai indietro ha cavalcato sicuro lungo le praterie del Far Web, accompagnato da luccicanti e twittanti cowboy. Scelti con attenzione i primi cento, ha poi selezionato il suo esercito festante e inarrestabile che gli ha consentito di procedere da un paesino all’altro indisturbato, perché nessuno ha osato sfidarlo in singolar, verbal tenzone.
Troppo baccano veniva garantito dai colpi di pistola perché un’altra timida narrazione potesse contraddire il suo Verbo.
E dopo viaggi filogovernativi raccontati con ineffabile fantasia, dove tutto ciò che c’era intorno è stato reso falsamente verybello, finalmente è arrivata la meritata sosta nel più luccicante dei saloon, Venaria. Lì ci è parso proprio che a colpi di tag si sia bevuto troppo e, a furia di esaltare ogni sbadiglio governativo, qualcosa ha iniziato a incepparsi negli ingranaggi dell’euforica narrazione del nostro Eroe.
Da Venaria in poi ha iniziato, purtroppo, a franare tutto. Ne siamo sinceramente dispiaciuti, è ovvio, per l’Italia digitale in primo luogo.
Non sappiamo se oggi siano in atto i postumi di una sbornia o se si tratti di traveggole, ma qualcosa ormai va storto nella comunicazione del nostro Storyteller nazionale. E se proprio la comunicazione si inceppa, allora sembrerebbe davvero tempo di dimissioni e sarebbe forse opportuno avere il coraggio e la dignità di comprenderlo, prima che sia qualcun altro a ordinarlo.
Ma procediamo con un minimo di ordine e con metodo scientifico: quali sono i sintomi di una sbronza di autoreferenzialità? Comportamenti disinibiti, euforia, diminuzione delle capacità cognitive, confusione, deliri paranoici e logorrea. Se abbiamo la pazienza (e ce ne vuole davvero tanta) di leggere gli ultimi articoli e di osservare con attenzione i singoli, recenti comportamenti del nostro Cantastorie nazionale, purtroppo questi sintomi li riscontreremo tutti e non possiamo non esserne seriamente preoccupati. Perché in questo stato di stanchezza l’unico rimedio è un meritato riposo. E sarebbe un bene per l’Italia, oggettivamente.
I sintomi. Logorrea
La sintesi è poesia e viceversa, affermava Luigi Pintor. Questo assunto dovrebbe valere ancor di più nel mondo digitale.
Su Internet non si scrive come sulla carta stampata. Un comunicatore non può non saperlo. Nell’ultimo pezzo pubblicato sulle pagine dell’Huffington Post, in risposta alle tante critiche ricevute per le sue incredibili considerazioni sul rapporto Censis – da lui definito “impressionante” -, il nostro Menestrello nazionale del digitale ha sviluppato – come rilevato nel Gruppo dei Digital Minions da Sergio Pillon, un medico che di digitale sa tanto – uno sproloquio di 6 pagine e 21.000 caratteri (senza un’illustrazione, senza un video, senza un emoticon… neppure un moderno De Amicis avrebbe osato tanto).
Da avvocato posso dirvi che solitamente per i ricorsi in Cassazione viene raccomandata la brevità, per avere la certezza che uno dei massimi organi italiani giudicanti possa leggerli con pazienza e attenzione.
Figuriamoci quale dovrebbe essere il giusto consiglio per un articolo di questo tipo!
Inoltre, in questa valanga di parole speravamo di trovare almeno qualche cortese risposta alle 12 domande poste alla sua attenzione tempo fa e che sono rimaste inevase, come nessuna effettiva risposta è stata data all’articolo del direttore Raffaele Barberio su queste stesse pagine.
I sintomi. Comportamenti disinibiti e confusione
Ultimamente i comportamenti del nostro Digital Champion appaiono poco coerenti, non solo con il suo ruolo istituzionale, ma anche con quello – lo si ripete – di un abile comunicatore.
Prima decide di tessere le lodi della sua associazione, a cui peraltro ha dato un nome equivoco, con un post sulla sua pagina Facebook in cui cita i dati del Censis e, avendo inevitabilmente ricevuto copiose e pepate critiche da parte di chi quei dati li aveva letti con attenzione e li aveva trovati poco lusinghieri per l’Italia digitale, sceglie poi di rendere il post inaccessibile ai “detrattori”. Sì, proprio così.
Se qualcuno osa, come il sottoscritto, criticarlo pubblicamente (magari proponendogli 12 domande piuttosto semplici e ovvie), invece di rispondere (e dovrebbe essere un suo dovere istituzionale) decide, come un bimbo capriccioso, di eliminare quel qualcuno dagli amici che lo seguono sui social. E ancora, finalmente reimposta la sua associazione e considera chiuso non il suo incarico governativo annuale (come forse sarebbe stato più coerente), ma il ruolo di tutti Digital Champion locali, i cui nomi sono ancora presenti sul sito dell’associazione ma non i profili, eliminati da un giorno all’altro e senza particolari spiegazioni.
Possiamo dire che ultimamente qualcosa proprio non va nell’uso del linguaggio digitale del nostro Digital Champion?
E cosa dire poi dell’utilizzo ossessivo-compulsivo degli anglicismi nel suo ultimo commento al Censis? Un minestrone indigesto e informe di co-working, car-sharing, crowdfunding, fablab, maker, startupper, storytelling, sharing economy e digital manufacturing… E poi, in un fritto misto, anche qualche cenno all’identità digitale, alla digitalizzazione, all’Anagrafe Unica e ai pagamenti online della Pubblica Amministrazione. Tutto va bene, tutto è storia, purtroppo con poco senso e senza un minimo di tensione a un progetto reale. L’importante sembra essere parlare e raccontare, occupare lo spazio… di cosa si parli, ormai, ha poco rilievo.
I sintomi. Delirio paranoico
Chi osa criticare è considerato dal nostro Digital Champion un nemico, o peggio, un criticone appartenente al M5S o alla Lega. E cosa sono per lui i malsani ambienti social che non si schierano al suo fianco (e che costituiscono in realtà il vero cuore pulsante della Rete)? Pericolosi saloon digitali dove si riuniscono individui avvezzi a bere troppo.
Ormai qualsiasi borbottio si alzi da questi “saloon” contro l’azione del Governo in campo digitale, pur provenendo da professionisti che si occupano di queste materie da un bel po’ di anni, viene avvertito come una spiacevole sinfonia di rutti e scorregge da osteria, piuttosto che posizioni con cui confrontarsi.
I sintomi. Stato di euforia costante e diminuzione della percezione reale
Già durante i fuochi d’artificio di Venaria è stato imbarazzante osservare come si osannava quella passerella di progetti altrui e soprattutto di politici che raccontavano, in una comica distorsione, un’Italia che non c’è.
L’apoteosi è stato proprio il commento su FB (poi ripreso su Twitter) in merito al 49° Rapporto del Censis.
Lo riportiamo testualmente per ricordarlo insieme: “I dati del Censis sull’Italia sono impressionanti e sono un nostro successo, di tutti noi. È l’Italia che cambia. #digitalchampion”.
Di impressionante, in realtà, c’è stata solo la lunghezza dell’articolo pubblicato sull’Huffington per cercare di motivare queste inverosimili affermazioni.
Dimissioni dovute?
L’attuale progetto degli Italian Digital Champions, con le sue storture e i tanti dubbi che ha generato (e che abbiamo riportato anche nelle pagine digitali di questa nostra rubrica), ha provocato evidenti divisioni nel mondo digitale.
Nel suo ultimo articolo, più volte citato, il Digital Champion nazionale ha voluto concludere con un mieloso “volemose bene”, fingendo di dimenticare che con le sue azioni ha da tempo contribuito a causare un’insanabile frattura con gran parte del mondo digitale e che non ha neppure adombrato un passo indietro rispetto al suo modus operandi.
Anzi, continua, in modo altezzoso e beffardo, a definire chi osa criticare un elettore del M5S o della Lega (ma questa associazione nazionale di DC non si era definita super partes e apartitica nel suo Statuto?) oppure un “rosicone”.
In realtà, le critiche, anche quelle più forti e sarcastiche, dovrebbero essere tenute da chi governa nella dovuta attenzione, considerate uno stimolo a far meglio, e non solo etichettate come discussioni da Bar Sport (con tutto il rispetto per il libro di Stefano Benni, un punto di riferimento per chi prova con l’ironia a difendersi da questo mondo).
Viene quindi spontaneo chiedersi: chi con i suoi comportamenti oggi divide il popolo digitale, anziché unirlo, può continuare a essere considerato il Digital Champion nazionale?
O ricominciamo da capo, senza fare errori?
Ma noi Minion concediamo sempre una seconda, terza, quarta e persino quinta chance a tutti.
Se davvero si vuole andare oltre il manicheo storytelling e provare a cambiare il Paese con una strategia di crescita digitale occorrerebbe davvero mettersi in discussione e “cambiare verso” (per citare uno slogan che tira molto).
Secondo Joseph Joubert, coloro che non cambiano mai le proprie opinioni si amano più di quanto amano la verità: che sia questo il caso del nostro Digital Champion?
Io spero di no, e spero che il margine per un cambiamento di rotta ci sia ancora.
Se si vuole davvero “cambiare verso”, allora, prima di tutto, bisognerebbe smetterla di circondarsi (solo) di giovanottoni twittanti, e sviluppare invece una seria azione per sostenere lo sviluppo di competenze e professionalità necessarie a incrementare un reale cambiamento digitale.
Questo Paese ha bisogno di competenze per crescere, non (solo) di plaudenti narratori e plaudenti ascoltatori e sono indispensabili strategie e nuovi modelli organizzativi.
Chi ci sta lavorando?
Se si crede nel lavoro condiviso e multidisciplinare, allora si dovrebbero chiamare a raccolta davvero tutte le forze in campo (professionisti e stakeholder) su un progetto di Paese digitale e non selezionare a casaccio e per “raccomandazione” chi sta dentro e chi rimane fuori.
Infine, ci si dovrebbe mettere in discussione ogni giorno, non dando credito solo a chi osanna e magari bannando chi osa criticare.
Se si vuole cambiare davvero, occorre partire da se stessi, a maggior ragione se si riveste un ruolo a livello nazionale.
Allora, caro il nostro Digital Champion, cosa vuoi essere davvero: un ormai svogliato e ripetitivo cantastorie o un concreto e visionario traghettatore verso il cambiamento?
I fatti di questi ultimi giorni sinceramente non fanno ben sperare.
Come dice Nanni Moretti le parole sono importanti: