Microplastiche nei fertilizzanti che spargiamo sui nostri campi agricoli
Le microplastiche possono essere definite come minuscoli pezzettini di materiale plastico, particelle solitamente inferiori ai 5 millimetri. Sono così piccole che praticamente si infilano ovunque e le ritroviamo in ogni parte del mondo, anche sui fondali oceanici, sulle calotte artiche/antartiche, dalle spiagge ai ghiacciai alpini, negli animali, nei vegetali, nei fiumi, nei laghi e nel terreno.
In un articolo della BBC sono riportati diversi studi che quantificano il fenomeno e pongono serie preoccupazioni per la salute umana, animale e dell’ambiente in cui viviamo.
Nella fascia superficiale degli oceani e dei mari di tutto il mondo è stata stimata la presenza di quasi 25 trilioni di frammenti di microplastiche.
Nel 2022, un’analisi dell’Environmental Working Group, un’organizzazione ambientale senza scopo di lucro, ha rilevato che i fanghi di depurazione hanno contaminato quasi 20 milioni di acri (80.937 kmq) di terreno coltivato negli Stati Uniti, con sostanze perfluoroalchiliche o PFAS (acronimo inglese per PerFluorinated Alkylated Substances), che si trovano comunemente nei prodotti in plastica e non si decompongono in condizioni ambientali normali.
I fanghi di depurazione sono il sottoprodotto ottenuto dopo la riconversione delle acque reflue municipali. Poiché sono costosi da smaltire e ricchi di sostanze nutritive, i fanghi sono comunemente usati in agricoltura come fertilizzanti organici negli Stati Uniti e in Europa.
A causa di questo, i terreni agricoli europei potrebbero essere il più grande serbatoio globale di microplastiche. Secondo uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Cardiff, è possibile che nei campi coltivati del continente siano sversate ogni anno tra 31.000 e 42.000 tonnellate di microplastiche, o da 86 a 710 trilioni di microplastiche, che vanno poi a contaminare il nostro cibo.
Nella frutta, nella verdura e in ogni cosa che mangiamo e beviamo
Purtroppo sono state trovate anche nel nostro corpo, perché le microplastiche le ingeriamo con l’acqua che beviamo (o le più classiche bibite alcoliche e analcoliche) e con il cibo che mangiamo, sia di origine animale che vegetale.
Ricercatori britannici hanno scoperto che quotidianamente entravano negli impianti di trattamento delle acque reflue del Galles meridionale fino a 650 milioni di particelle di microplastica, di dimensioni comprese tra 1 mm e 5 mm (0,04 pollici-0,2 pollici).
Il passaggio successivo è proprio dal terreno alle piante e quindi gli animali. Un esperimento del 2020, condotto dall’agronomo Mary Beth Kirkham della Kansas University, ha permesso di scoprire che la plastica funge da vettore per l’assorbimento di sostanze chimiche tossiche da parte delle piante, come il cadmio.
Un altro studio pubblicato nello stesso anno, ma relativo proprio all’Italia, ha scoperto microplastiche e nanoplastiche nella frutta e verdura vendute da supermercati e produttori locali di Catania, in Sicilia. Le mele erano il frutto più contaminato e le carote avevano i più alti livelli di microplastica tra le verdure campionate.
Questo perché, come appurato da una ricerca condotta dal professor Willie Peijnenburg dell’Università di Leida nei Paesi Bassi, le colture assorbono particelle nanoplastiche (minuscoli frammenti di dimensioni comprese tra 1 e 100 nm, ovvero da 100 a 1000 volte più piccole di una cellula del sangue umano) direttamente dall’ambiente circostante, dall’acqua e dalla terra, attraverso minuscole fessure nelle loro radici.
Ecco perché per gli ortaggi a foglia come lattuga e cavolo, le concentrazioni di microplastiche potrebbero essere relativamente basse, mentre per gli ortaggi a radice come carote, ravanelli e rape, il rischio di accumulo è assolutamente maggiore.
Inquinamento che si muove
Tracce diffuse di microplastiche sono state ritrovate anche in campi agricoli trattati con questi fertilizzanti quasi 35 anni fa. Segno che le particelle resistono facilmente al passare del tempo. Spesso queste microplastiche arrivano anche dove non sono sparsi i fanghi attraverso l’aratura dei terreni e gli eventi atmosferici (siccità, vento, pioggia).
Uno studio condotto da ricercatori dell’Ontario, in Canada, ha rilevato infatti che il 99% delle microplastiche è stato trasportato lontano da dove il fango è stato inizialmente scaricato, proprio seguendo vento e pioggia, che di fatto riversano le microplastiche in fiumi, laghi, mari e oceani.
L’impatto sulla salute umana
Sebbene al momento non si hanno “prove certe” che ingerire microplastiche metta seriamente a repentaglio la nostra salute, esistono già alcune ricerche che ci mettono in gurdia sugli effetti di queste sostanze sul nostro organismo.
Gli studi dimostrano che le sostanze chimiche aggiunte durante la produzione di materie plastiche possono alterare il sistema endocrino e gli ormoni che regolano la nostra crescita e il nostro sviluppo.
Tali sostanze chimiche, inoltre, sono state collegate a una serie di altri problemi di salute, tra cui cancro, malattie cardiache e limitato sviluppo del feto. Alti livelli di microplastiche ingerite possono anche causare danni cellulari che potrebbero portare a infiammazioni e reazioni allergiche, secondo recenti studi dell’Università di Hill nel Regno Unito.
Di fatto, le microplastiche viaggiano nel corpo umano attraverso il sangue, per poi depositarsi nei nostri organi. Le tracce della presenza di questo materiale inquinante sono state rilevate nell’80% dei partecipanti a diversi studi condotti in Olanda.