Questa edizione della rubrica “ilprincipenudo” è anomala, perché rilancia tesi emerse sulla stampa, anche se in tono minore ed in una rubrica delle lettere dal primo quotidiano nazionale per diffusione, qual è “la Repubblica”, e perché destruttura un comunicato ufficiale della Rai sulla nomina del Direttore Generale: si pone infatti come riflessione sulle contraddizioni tra “coreografia” mediale e la “sostanza” reale di alcune dinamiche, tra Mibact e Rai…
Venerdì scorso, 29 marzo 2019, un esercente cinematografico partenopeo (promotore di cinema d’essai), Natale Montillo, ha scritto a “la Repubblica” – ovvero alla rubrica “Le lettere di Corrado Augias” – lamentando che durante la trasmissione Rai 1 del “David di Donatello” (giovedì 27 marzo) nessuno abbia avuto la grazia di manifestare gratitudine agli esercenti, ovvero coloro che rischiano imprenditorialmente per assicurare all’opera cinematografica il suo sbocco naturale e – storicamente – primario. La sua lettera è stata intitolata: “David, chi ringrazia i piccoli esercenti?”. Ha indubbiamente ragione, e vanno condivise anche le sue osservazioni estetiche: “tutti sorridenti i partecipanti, con smoking e mise da gran soirée, a scimmiottare la notte degli Oscar”. Peraltro la trasmissione non ha registrato risultati di audience entusiasmanti (15 %, ma in una serata moscia) e le recensioni ovvero critiche televisive non sono state granché benevole (“il Giornale” ha scritto ironicamente “la serata è stata lunga e noiosa come un congresso del Partito democratico”): formula autoreferenziale, vecchia e rituale (con appendice istituzionale nella solita presentazione di fronte nientepopodimeno al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nella mattinata del 27 marzo al Quirinale), sicuramente inefficace rispetto all’esigenza di promuovere realmente la fruizione del cinema in sala. Ha sostenuto Fiorello, senza peli sulla lingua (vedi il suo videocommento): “ai funerali si vedono persone molto più allegre e serene di quelle viste in platea ai David di Donatello… spettacolo assente, non c’era lo show… ma non si tratta del modo di presentare, è il cinema italiano. Il pubblico non esiste, si fanno la loro bella festicciola e si premiano… Io francamente a parte ‘Dogman’, ‘Loro’, Guadagnino, gli altri film non li conoscevo. Un po’ se la cantano e se la suonano…”.
Se su queste colonne, abbiamo manifestato una argomentata critica alla campagna promozionale sostenuta dal Mibac per la fruizione del cinema in sala denominata “Moviement” (vedi “Key4biz” del 19 marzo 2019, “‘Moviement’, ennesima iniziativa per tamponare la crisi del cinema italiano”), così come alla serata che Rai1 ha dedicato quest’anno, per la seconda volta, alla premiazione del “David di Donatello” (vedi “Key4biz” del 19 febbraio 2019, “David di Donatello 2019, quanto fa bene il premio al cinema italiano?”), non possiamo non aver apprezzato due voci di operatori del settore che ci fanno sentire meno “vox clamans in deserto”.
L’indomani, sabato 30 marzo 2019, un altro esercente, il torinese Lorenzo Ventavoli (anch’egli attivista del cinema d’essai) ha colto al balzo le osservazioni del collega, ed ha affrontato un’altra questione (correlata), ovvero la campagna triennale sostenuta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, denominata incomprensibilmente “Moviement”, ed attribuendo a questa assurda scelta anglofona la vera verità dell’operazione, ovvero una funzione di apripista all’ulteriore dominio del cinema “made in Usa”… ovvero “blockbuster” anche d’estate! Corrado Augias ha così titolato la lettera “Il cinema d’estate ma solo americano”. Scrive Ventavoli: “la figlia di 9 anni di un mio amico, vedendo, prima di un film, uno spot per la promozione del cinema d’estate, ha esclamato: ‘Ma papà, sono tutti film americani!’. Ciò che è evidente ad una bambina non lo è per la Sottosegretaria leghista con delega per il Cinema, Lucia Borgonzoni, che ho ascoltato presentare il progetto speciale ‘Moviement’, con il quale, per l’ennesima volta, si cerca di prolungare d’estate la stagione cinematografica italiana”. Affonda oltre, Ventavoli: “se la Sottosegretaria crede che sia la prima volta per un tale progetto, è evidente che lo ha promosso senza sapere perché sono falliti i precedenti”. Ed attribuisce alle “majors” Usa una precisa responsabilità: “d’altra parte il nome del progetto stesso fa capire che è a sostegno del cinema americano e dei suoi multiplex, preoccupati perché nel 2018 hanno perso in Italia il 6 % degli spettatori (avevano il 66 %) e il 14 % di incassi”. Ha indubbiamente ragione anche Ventavoli. D’altronde, proprio in occasione della conferenza stampa del 19 febbraio 2019 (vedi qui la videoregistrazione dell’evento, dal sito web dell’Anica), Carlo Bernaschi, il Presidente dell’Anem (l’associazione dei gestori dei multiplex), ha con candore ricordato che il progetto è nato nel giugno 2018 a Barcellona, in occasione di un incontro europeo con i boss delle “majors” Usa, ed è stato presto accolto dal Ministero…
E ci si domanda se è vero che il Mibac abbia assegnato a questo ennesimo “progetto speciale” Moviement – Al cinema tutto l’anno una dotazione di oltre 4 milioni di euro (nei 3 anni?!): come vengono spesi, come vengono pianificati?!
Nessuna traccia in occasione della conferenza stampa, nessuna traccia sulle testate specializzate in cinema, ma curiosamente su alcune qualificate newsletter del settore pubblicitario si rintraccia una curiosa notizia, datata 15 marzo, secondo la quale l’agenzia di comunicazione Ninetynine srl ha vinto la gara “Progetto cinema industry 2019-2021” (???). Scrive la newsletter “Engage” che “l’agenzia guidata da Simone Mazzarelli seguirà strategia, creatività, media, coordinamento di tutti i partner e le attività dell’iniziativa promossa da Anec, Anem e Anica, con il sostegno del Mibac”. E precisa: “Con questo scopo, ad agosto scorso, è stata avviata una gara per identificare un’agenzia capace di realizzare una strategia articolata e di ideare la campagna per il lancio di questa iniziativa. La scelta è ricaduta su Ninetynine, agenzia di creatività e action marketing, che per ‘Progetto cinema industry 2019-2021’ seguirà strategia, creatività, media, coordinamento di tutti i partner e le attività. Il piano avrà una durata di tre anni e coinvolgerà tutti i player di mercato: dalle istituzioni alle associazioni, dai distributori fino agli esercenti e ai talent”. Abbiamo cercato su web traccia di questa gara (promossa da chi, dal Mibac forse? con quale budget assegnato?!), che sarebbe stata bandita nell’agosto 2018, ma non abbiamo trovato nulla su web (cercando anche nel database delle agenzie stampa). Arcane dinamiche.
Ci limitiamo a segnalare che esiste già un sito web del progetto “Moviement”, che però sembra in verità in versione “beta” (si chiama, per la precisione “Movie-ment”), curato giustappunto dalla succitata Ninetynine…
Trasparenza zero, ancora una volta, nella gestione della “res publica” culturale in Italia.
In occasione della presentazione, la Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni ha fatto riferimento ad “un contributo fino al 40 per cento sulla distribuzione, che può salire al 70 per cento per film in più di 200 schermi, che prevedano un piano lancio di oltre 500mila euro…”, con particolare attenzione ai film “made in Italy”: in sostanza, i film italiani in uscita con oltre 200 copie ed un investimento di lancio superiore ai 500mila euro arriveranno, tra tax credit e nuovo incentivo, a un recupero del 70 % dell’ investimento… Il tutto appare ancora – anche a molti operatori del settore – discretamente confuso, e comunque finora “i film d’estate” annunciati sono tutti americani, a parte 1 o 2, su un totale che dovrebbe essere – per la campagna estiva – di 60 titoli: “Il signor Diavolo” di Pupi Avati ed “Il grande spirito” di Sergio Rubini. Insomma, assai poco “moviement” per il cinema italiano, insomma.
Questi due piccoli ma significativi segnali di dissenso – rispetto al coro mediale incredibilmente appiattito sulla presunta grandiosità dei “David di Donatello” su Rai 1 e finanche sulla innovatività dell’iniziativa “Moviement” – dovrebbero provocare una riflessione nel Ministro grillino Alberto Bonisoli, nel neo Direttore Generale Cinema Mario Turetta, e finanche nella Sottosegretaria Lucia Borgonzoni. Quest’ultima dovrebbe forse moderare un po’ il suo entusiasmo passionale, che è apprezzabile in sé come energia politica, ma che corre il rischio di essere contraddetto brutalmente, nei prossimi mesi, dalla verosimile (non) risposta da parte del “box office”. Il rischio di una rinnovata desertificazione del cinema in sala, tra luglio ed agosto, ci appare assai concreto.
E la micro-campagna “CinemaDays” (inglobata nella logica del progetto triennale “Moviement”) da lunedì 1° aprile a giovedì 4 aprile, col biglietto a 3 euro, può determinare effetti deleteri, con la sua sostanziale svalutazione del “valore” simbolico del cinema in sala.
La sempre caustica e spesso controcorrente Mariarosa Mancuso, su “il Foglio”, ha scritto, a proposito di “Moviement”: “Un piano triennale. Il più gran cambiamento di sempre. Non sono parole che rassicurano. Vuoi per la somiglianza con i disastrosi piani quinquennali sovietici. Vuoi per gli esiti del tanto sbandierato cambiamento politico”.
Abbiamo già segnalato come sia indispensabile attrezzare il “sistema cinema” italiano di un dataset adeguato alla miglior conoscenza dello stesso: senza questo dataset (ad oggi indisponibile), si continuerà a procedere in modo velleitario ed approssimativo, disperdendo le risorse pubbliche. In tutte le fasi della filiera: produzione, distribuzione, esercizio, formazione, promozione…
Una seria campagna multimediale di promozione nazionale del cinema in sala richiede decine e decine di milioni di euro, da gestire anche attraverso una gara pubblica alla quale vengano invitate le migliori agenzie pubblicitarie del Paese, costruendo una campagna media che sia robusta ed efficace, coinvolgendo in modo pro-attivo la Rai, etc. etc. etc..
Altrimenti, ancora una volta – come denuncia Lorenzo Ventavoli – avremo a che fare con un tentativo che corre il concreto rischio di rivelarsi debole, fragile, velleitario.
Il caso Rai e il Direttore Generale
Passiamo dal “fronte” Mibac al fronte Rai, ed anche qui dobbiamo osservare la contraddizione tra la “narrazione” ed i “fatti”: crediamo di aver scoperto che paradossalmente Viale Mazzini ha prodotto un “notiziode” che può essere annoverato nella categoria sempre più affollata delle “fake news”.
L’oggetto della nostra attenzione si concentra sulla creazione dell’inedito ruolo del “Direttore Generale” (sull’argomento, vedi “Key4biz” del 29 marzo, “Alla Rai serve davvero il Direttore Generale?“).
In effetti, alle ore 17.04 di mercoledì della scorsa settimana, 27 marzo, l’Ufficio Stampa Rai (che dipende dal Direttore della Comunicazione Giovanni Parapini) ha diramato il seguente comunicato: titolo: “Cda approva nuovo assetto organizzativo”; testo: “Il Consiglio d’amministrazione della Rai, sotto la presidenza di Marcello Foa e alla presenza dell’Amministratore delegato Fabrizio Salini, ha approvato il progetto di assetto macro-strutturale proposto dall’Ad, che prevede anche l’introduzione della figura del Direttore generale Corporate, in coerenza con le linee del piano industriale approvato il 6 marzo.”
Ci ha colpito – da giornalisti ma soprattutto da ricercatori – quella formula: “in coerenza con le linee del piano industriale approvato il 6 marzo”.
Ci siamo domandati: “coerenza… ma siamo proprio sicuri?!”. Ed abbiamo voluto mettere in atto un “fact checking”.
Essendo tra i privilegiati (…) che hanno avuto chance di acquisire copia della documentazione (le quasi 600 pagine del “piano”, tra testo base ed allegati), abbiamo cercato se la questione fosse affrontata. E non lo è.
Nel “piano industriale” Rai per il triennio 2019-2021 non è previsto, in nessuna delle quasi 600 pagine, la figura del Direttore Generale, e quindi ci si domanda dove questa novità possa essere identificata “in coerenza” con le linee del piano industriale approvato ad inizio marzo.
Alla luce dei fatti (oggettivi) e dei testi (di riferimento: carta canta…), viene da pensare che l’estensore del comunicato abbia – come dire?! – cercato di forzare la mano, in una sorta di involontaria “excusatio non petita”: a fronte delle critiche che prevedibilmente sarebbero arrivate ovvero le perplessità rispetto alla creazione di un ruolo non previsto dalla legge di riforma della Rai (che ha giustappunto voluto accentrare il potere aziendale nell’Amministratore Delegato), ci si arrampica sugli specchi, facendo riferimento ad una presunta – ma inesistente – “coerenza”. Tutto questo è normale, o non si tratta piuttosto di una manipolazione informativa non esattamente degna di un’azienda pubblica come la Rai?! Qualcuno dei membri del Consiglio di Amministrazione Rai non si è sentito un po’ preso per il naso?!
In argomento, ci piacerebbe ascoltare il parere dell’Ad Fabrizio Salini, del Direttore della Comunicazione Giovanni Parapini, e della sua collaboratrice Claudia Mazzola nella sua veste (da fine dicembre 2018) di Responsabile Media Office (e vai – anche in questo caso – con l’amor per l’anglofonia) ovvero più semplicemente Capo Ufficio Stampa Rai.
Fonti attendibili ci segnalano in anteprima che non dovrebbe essere destinata a saltare la terza convocazione dell’Ad Salini in Commissione Vigilanza (presieduta dal forzista Alberto Barachini), dopo le due riunioni del 19 e 26 marzo che sono state annullate: la nuova data è martedì 9 aprile. Chissà se qualcuno dei parlamentari di Camera e Senato che compongono la bicamerale porrà qualcuna di queste domande…
Il comunicato stampa Rai precisa: “Il Direttore generale avrà tra l’altro il compito di dare esecuzione alla strategia dell’Amministratore delegato rispetto alle strutture operative, e di ottimizzare i meccanismi aziendali.”. La funzione è ben chiara, ma non è nemmeno lontanamente prevista nel “piano industriale” del 6 marzo. Con buona pace della “coerenza” simpaticamente richiamata.
E, ancora: “Il progetto contempla poi il riassetto dell’area Comunicazione e Relazioni Esterne, rendendo autonome le Direzioni per le Relazioni istituzionali e per le Relazioni internazionali.”.
E qui non si comprende proprio quale sia il senso logico (lasciamo da parte quello… strategico). Ed è naturale che il Direttore della Comunicazione – ovvero, formalmente, delle Relazioni Esterne, Internazionali, Istituzionali – Giovanni Parapini possa essersi infastidito (c’è chi sostiene che – a causa di un qual certo cortocircuito con l’Amministratore Delegato Fabrizio Salini – le sue dimissioni siano imminenti, così come il suo rientro nella potente società di relazioni pubbliche dalla quale proviene, Hdrà, di cui era socio), dato che la sua direzione viene smembrata, per ragioni imperscrutabili.
Il comunicato stampa non precisa, ma chi ha avuto il privilegio (…) di vedere il nuovo funzionigramma, sottoposto al voto del Consiglio di Amministrazione Rai il 27 marzo (5 voti a favore, 2 astenuti), ha notato che la funzione “Relazione istituzionali” continua a dipendere dall’Amministratore Delegato (come nell’assetto precedente), mentre quella “Relazioni internazionali” viene fatta dipendere anche dal Presidente. La sensibilità del Presidente Rai Marcello Foa sulle tematiche internazionali è nota, e quindi, facendo “2+2=…”, si potrebbe banalmente ipotizzare che la “scissione” sia stata determinata da una logica di… spartizione politica, piuttosto di… razionalizzazione organizzativa.
Si legge ancora: “Sono inoltre stati istituiti l’Ufficio Studi e la funzione Transformation Office, mentre la Direzione Pubblica Utilità è stata scorporata dall’Area Digital quale segno di maggiore attenzione agli obblighi imposti dal Contratto di servizio”.
È qui – grazie agli dèi – non c’è contraddizione tra le decisioni assunte dal Cda il 27 marzo e quanto previsto dal “piano industriale” del 6 marzo, che prevede effettivamente l’istituzione dell’Ufficio Studi, così come del Transformation Office (sempre in onore al dominio della lingua inglese), sebbene dedicasse poche righe al primo ed una grande attenzione al secondo. Queste le funzioni assegnate al Transformation Office: “Gestione operativa dei cantieri di trasformazione previsti del Piano. Focus su miglioramento continuo dei modelli operativi dell’azienda. Creazione cultura del continuous-improvement”. Tra le attività previste: “comunicare il cambiamento, disegnare le nuove strutture organizzative / nuovi ruoli, definire i nuovi processi”. Si legge tra le righe: proporre le candidature per le nuove funzioni dirigenziali. In italiano corrente: nomine!
Che, infine, il “piano industriale” dedichi però “maggiore attenzione” (!!!) agli obblighi imposti dal Contratto di Servizio tra Mise e Rai… scorporando la Direzione Pubblica Utilità (intesa come accessibilità, interattività, mobilità, meteo) dall’Area Digital (oh, perbacco!), sembra proprio una presa in giro, dato che da una lettura attenta del “piano industriale” e degli allegati emerge inequivocabilmente come Rai abbia interpretato il “contratto di servizio”: ancora una volta, nonostante le innovazioni della nuova edizione del contratto, esso viene trattato da Viale Mazzini come un simpatico testo evanescente, un grazioso enunciato di buone intenzioni.
E della annunciata “maggiore attenzione” verso il contratto di servizio non v’è appunto – al di là delle belle dichiarazioni retoriche – nessuna traccia concreta.
Nel nuovo funzionigramma, per esempio, non emerge alcun rafforzamento della funzione che dovrebbe avere un ruolo centrale e fondamentale in Rai, qual è la Direzione Responsabilità Sociale (erede del killerato Segretariato Sociale Rai). Assente. Anche in questo caso, incredibile ma vero.
Tra il dire ed il fare…
Chissà cosa ne pensa l’avvocato Marco Bellezza ovvero il Consigliere giuridico del Vice Presidente del Consiglio dei Ministri Luigi Di Maio nonché Consigliere giuridico per le Comunicazioni e l’Innovazione Digitale del Ministro dello Sviluppo Economico (ovvero sempre Di Maio): è infatti lui l’interlocutore ministeriale (nella sua veste di Capo Delegazione) che può chiedere alla Rai, seriamente, il miglior rispetto dello spirito innovativo del nuovo “contratto di servizio”…
[ Nota… (“di trasparenza”?): la bambina di 9 anni citata da Ventavoli è la figlia dell’autore di questo articolo. ]
Clicca qui, per leggere le “lettere dei lettori” Natale Montillo e Lorenzo Ventavoli al quotidiano “la Repubblica” del 29 e 30 marzo 2019
Clicca qui, per leggere il comunicato stampa Rai che rende nota l’approvazione da parte del Cda del nuovo assetto organizzativo, inclusa l’introduzione del Dg, il 27 marzo 2019