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Mia e Festival del Cinema: servono davvero allo sviluppo del sistema audiovisivo nazionale?

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L’Associazione Produttori Audiovisivi ha presentato il suo 4° Rapporto, ma nessuno sembra voler affrontare le criticità del sistema con un sano approccio strategico, organico, critico. Domina l’inerzia.

È iniziata giovedì 13 ottobre 2022 ieri l’edizione n° 17 della Festa del Cinema di Roma (che si sviluppa fino al 23) e si conclude domani sabato 15 la edizione n° 8 del Mercato Audiovisivo Internazionale (Mia): ancora una volta, ci si domanda “cui prodest?”, perché il rischio di prevalente autoreferenzialità di queste iniziative è alto, in perdurante totale assenza di valutazioni di impatto.

Va anche segnalato che si tratta di iniziative che sono sostenute prevalentemente dalla mano pubblica (e con notevoli risorse, anche se la trasparenza sui budget è inesistente), e quindi ancora più importante, opportuno, delicato sarebbe un processo di valutazione dell’efficacia (e finanche dell’efficienza) di queste kermesse, per comprendere se esse contribuiscono realmente (non a parole) al rafforzamento del tessuto strutturale del sistema audiovisivo, sia dal punto di vista economico-imprenditoriale sia dal punto di vista autoriale-creativo.

I problemi veri del sistema audiovisivo sembrano rimossi da queste kermesse, che sono macchine promozionali autoreferenziali…

Lo scenario del sistema della comunicazione ha subito e sta subendo radicali modificazioni (tra digitalizzazione e globalizzazioni imperanti), anche in Italia, ma di queste dinamiche si ha poca traccia in occasione di queste kermesse, per quanto affollate di convegni e di seminari…

Si nutre l’impressione che alcune di queste kermesse siano soprattutto delle “macchine culturali” che alimentano coloro che le promuovono, ovvero apparati di intellettuali ed organizzatori sicuramente appassionati ed in buona fede, ma che non si pongono minimamente quesiti strategici sul “senso” complessivo delle iniziative…

Il consumo di cinema in sala, in Italia, versa in condizioni gravi, anzi gravissime, ma nessuno pare voglia assumersi responsabilità precise rispetto alla continua deriva: confidiamo che il Ministro che verrà sappia e voglia affrontare a muso duro la situazione, anzitutto a partire dal lancio di una campagna promozionale multimediale che sia potente e originale e innovativa ed anche dotata del budget necessario (almeno alcune decine di milioni di euro l’anno, e non i pochi spiccioli finora allocati per campagne che un pubblicitario definirebbe effimere se non “invisibili”)…

Il Ministero della Cultura, grazie allo sforzo di Dario Franceschini, sta iniettando nel sistema audiovisivo risorse ormai veramente consistenti, nell’ordine di 750 milioni di euro l’anno, ma la gran parte dei tanti (troppi?!) titoli prodotti non vede la luce (il buio) di una sala cinematografica, e talvolta non soltanto non viene acquistato dalle emittenti televisive, ma non viene acquisito nemmeno dalle piattaforme… La gran parte dei titoli resta un’opera nota a produttori ed autori… parenti ed amici. Incredibile, ma vero.

Abbiamo segnalato tante volte, anche su queste colonne, il rischio di “inflazione produttiva”: molti (troppi) titoli non hanno alcuna circolazione, e trovano una pseudo-salvezza, rispetto all’essere del tutto sconosciuti, nel circuito dei festival, ma rivolgendosi nella quasi totalità dei casi ad un pubblico di nicchia, di cinefili appassionati… Ed anche rispetto alla quantità crescente di festival – soprattutto di cinema – che nascono nel nostro Paese, sarebbe opportuno porsi qualche quesito “di senso” (ed utilità). Ma, anche dei festival, non esiste una mappatura accurata o nemmeno una qualche valutazione di impatto…

Alcune società di produzione leader acquistate da gruppi stranieri

Nel mentre, alcune delle più attive società di produzione audiovisiva vengono acquistate da gruppi stranieri… e nessuno sembra preoccuparsi di un fenomeno così grave, che ricorda paradossalmente la “fuga di cervelli” all’estero: notoriamente il livello medio di preparazione fornito dalle università italiana è alto, e non a caso molti neo-laureati emigrano perché trovano in altri Paesi migliori condizioni di lavoro. Lo Stato italiano investe in educazione (comunque poco e male, ma questo è un altro discorso), a beneficio del sistema lavorativo di altri Paesi… Nel sistema audiovisivo, lo Stato contribuisce al rafforzamento strutturale di alcune imprese leader e queste cedono le quote di maggioranza a gruppi stranieri… Non si tratta forse, in questo caso, di una “fuga di talenti”, ma oggettivamente lo Stato nazionale finisce per lavorare per la concorrenza internazionale!

La Rai sopravvive a stessa, incerta anche soltanto a livello di risorse (dal 2023 scomparirà il canone in bolletta)

Il servizio pubblico radiotelevisivo italiano sopravvive a sé stesso, con modesta capacità di innovazione, senza una visione strategica chiara del proprio ruolo nel nuovo sistema mediale digitale e globale.

Ed addirittura c’è chi esulta perché nel bouquet Sky ora è possibile fruire dei canali della Rai, senza comprendere che l’offerta a pagamento, così come le piattaforme, hanno il massimo interesse a far emigrare sempre più gli spettatori della televisione tradizionale verso le loro offerte…

Netflix e le sue vampirizzazioni…

E c’è addirittura chi vede bene operazioni di vampirazzazione come quelle messe in atto da Netflix, allorquando “concede” la grazia di propri titoli di punta per una distribuzione “theatrical”… Su questo specifico tema – sintomatico del deficit di “vision” complessiva da parte di molti operatori (ed istituzioni) – segnaliamo uno stimolante intervento di un esperto del livello di Robert Bernocchi, perché merita veramente la lettura (vedi l’articolo del 10 ottobre 2022 sul sito specializzato Cineguru, “Netflix e i cinema: una relazione superficiale”). Riproduciamo il gustoso passaggio di apertura: “Per quanto i fatti dimostrino il contrario, ci si ostina ancora a credere che le uscite Netflix nei cinema siano una rivoluzione e una svolta per il settore… Riassumerei così la notizia dell’uscita di un film Netflix (“Glass Onion – Knives Out”, il sequel di “Cena con delitto”) in circa 600 sale americane, tra cui, per la prima volta, le tre principali catene (Amc Theatres, Cinemark Theatres e Regal Cinemas). È l’equivalente di una persona che non mangia da una settimana e a cui viene dato un cracker. Magari a quella persona sembrerà un lauto pasto, ma sempre di un cracker si tratta. Ecco, la situazione è questa: celebrare un cracker come se fosse un enorme pollo arrosto. E non riguarda solo gli esercenti (che sono ovviamente in grossa difficoltà e a cui va tutto il mio rispetto, perché capisco che qualsiasi prodotto arrivi e a qualsiasi condizione, non può essere rifiutato), ma anche chiunque sia caduto nell’equivoco”, E precisa Bernocchi: “in realtà, Netflix fa semplicemente quello che fa sempre, ossia utilizzare i cinema come vetrina promozionale e mai come mezzo economico per ampliare i possibili sfruttamenti di un loro prodotto (…)”.

Anche il mirabolante modello Neftlix, peraltro, esaltato dalla gran parte degli osservatori ed operatori, comincia a mostrare criticità strutturali nel proprio attuale modello di business, come dimostra inequivocabilmente la prospettata offerta, tra qualche mese, di pacchetti a prezzo più basso, ma alimentati dalla pubblicità…

Insomma, il quesito che emerge naturale è: a cosa servono operazioni come il Festival del Cinema di Roma e come il Mia, se non sono anche occasioni di (serio) confronto dialettico, di analisi critica (spietata) delle dinamiche reali del sistema audiovisivo nazionale nel contesto della globalizzazione planetaria?!

Simpatiche passerelle autopromozionali? Ed Apa chiede più sostegni (danari) al Governo che verrà

Queste kermesse finiscono per divenire veramente soltanto delle simpatiche passerelle con funzioni autopromozionali per coloro che le promuovono.

Questa mattina al Mia è stata presentata l’edizione n° 4 del “Rapporto annuale” realizzato dalla Associazione Produttori Audiovisivi – Apa (ex Apt – Associazione Produttori Televisivi), guidata dall’ex dirigente apicale della Rai Giancarlo Leone. Sulla base di dati elaborati da qualificati centri di ricerca (e-Media, Osservatorio Fiction Italiana – Ofi, Certa), il Presidente dell’Apa ha rivendicato una volta ancora un ruolo di maggiore centralità dei produttori onde evitare la sudditanza dai broadcaster e dalle piattaforme. Dal report presentato, comunque, non emerge con chiarezza quanta sia la reale capacità di auto-finanziamento da parte dei produttori italiani, “al netto” del tanto decantato “tax credit” e degli investimenti di broadcaster e piattaforme. La battuta, per quanto volgare, sui “prenditori” italiani piuttosto che “imprenditori” resta sempre valida…

L’impressione che si abbia ancora a che fare con un sistema fortemente assistito da più fronti (lo Stato, in primis, i broadcaster e le piattaforme) emerge evidente, e ci si domanda cosa accadrebbe se, per un sortilegio malvagio, la mano pubblica si ritraesse e decidesse di investire diversamente le proprie risorse…

Ha sostenuto Leone questa mattina (in un evento peraltro “a porte chiuse”, ovvero cui si era ammessi esclusivamente “per invito”: un paradosso veramente, in termini di trasparenza e dialettica), rivolgendosi al Governo che verrà: “garantire una pianificazione stabile ed equa al credito di imposta per i produttori di audiovisivo, per evitare casi come quello di quest’anno, dove il tax credit già stanziato per il 2022 non sia stato ancora reso disponibile alle imprese di produzioni, con ricadute negative per l’intera filiera di serie, film documentari, animazione”. Al prossimo Governo, è stata chiesta anche una rapida “definizione dei regolamenti di competenza del Mic e del Mise, per l’attuazione dei provvedimenti sugli obblighi di investimento dei fornitori di servizi media per i produttori indipendenti” e “risorse adeguate al servizio pubblico radiotelevisivo, affinché Rai possa investire maggiormente nella produzione audiovisiva, per tornare ad essere il volano del sistema, anche attraverso misure quali l’abolizione della tassa sulla concessione”.

In sostanza, Leone chiede ancora più sostegni pubblici al Mic (come se quelli attuali fossero poche!) e più risorse anche per la Rai (ovviamente affinché possa incrementare il sostegno ai produttori), ma non sembra porsi dubbi di sorta sull’assetto attuale del sistema audiovisivo. Rispetto a Viale Mazzini, come è noto, pesa come una tremenda spada di Damocle il problema dell’eliminazione della riscossione del canone dalla bolletta elettrica, dal 2023, e nessuno (tanto meno il Governo uscente) ha ancora trovato una soluzione…

Manca una visione strategica ed organica del sistema: prevale inerzia e conservazione

Manca, ancora una volta, una visione strategica ed organica del sistema culturale italiano. Prevale una visione inerziale, di fatto conservatrice.

Le carenze vanno attribuite sia alle istituzioni sia agli operatori stessi. Totale assenza di coscienza autocritica. Su entrambi i lati, prevale infatti un vischioso approccio conservativo, di breve periodo, che finisce per mantenere lo status quo, senza il coraggio di affrontare in modo serio (e doloroso) le criticità in essere.

Confidiamo in un Ministro coraggioso, che sappia affermare le ragioni di un sano “sovranismo culturale” nazionale (vanno posti limiti allo strapotere delle piattaforme e non soltanto nello specifico dell’audiovisivo) ed al contempo stimolare uno sviluppo ben temperato del sistema audiovisivo (superando l’overdose di assistenzialismo ed estendendo lo spettro del pluralismo espressivo ed imprenditoriale).

Clicca qui, per leggere il “4° Rapporto sulla Produzione Audiovisiva”, realizzato dall’Associazione Produttori Audiovisivi, (Apa), presentato il 14 ottobre 2022 durante il Mia – Mercato Audiovisivo Internazionale, Roma.

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