Nel nostro precedente articolo, abbiamo sottolineato come l’avvento del metaverso e degli NFT abbia fatto emergere un’atmosfera di ‘attenzione estrema’, di richiamo al ‘chi va là’ nel proteggere la dimensione fisica del patrimonio culturale contro i pericoli o le illusioni del metaverso. Tutto questo si basa sull’idea che abbia senso razionale far riferimento ad una dicotomia tra la dimensione ‘materiale’ e quella ‘immateriale’ – per estremo, quella digitale – del patrimonio culturale. Ma la materialità del mondo culturale è fatta di elementi unici, rari o scarsi. Proprio la loro ‘unicità’ o ‘scarsità’ impone la necessità di tutelarne e valorizzarne le caratteristiche. Il dipinto ‘La Perla di Modena’ di Raffaello identifica un tratto essenziale dell’identità storica del nostro paese. Di nuovo, si tratta di un’opera insostituibile ed unica nelle sue caratteristiche costitutive.
In questo articolo, ci poniamo la seguente domanda: il metaverso può entrare in competizione con le espressioni del patrimonio culturale a cui siamo abituati nel mondo reale? Siamo davvero destinati ad uno scontro tra mondi diversi? L’uso degli NFT può scalfire o inficiare la portata dell’unicità di opere d’arte materiali?
Un tributo all’onestà intellettuale
Partiamo da una premessa chiara: la supposta dicotomia tra il patrimonio culturale materiale e quello immateriale ha già fatto il suo corso. Tutti i principali attori del mondo culturale italiano sostengono che valorizzare i luoghi della cultura è importante tanto quanto il valorizzare gli oggetti della cultura: si tratta dell’idea di patrimonio culturale ‘materiale’. Ma un ‘bene’ culturale è vivo nella socialità che gli permette di esprimere il proprio significato di aggregazione di persone. Per questo motivo, vi è accettazione unanime dell’idea per cui ha senso pensare ad un patrimonio culturale ‘immateriale’ che consta di saperi, rappresentazioni ed espressioni. Nello spirito dell’UNESCO, non vi può non essere complementarietà tra gli elementi materiali e quelli immateriali del patrimonio culturale di un paese. Se il metaverso introduce nuove forme di espressione culturale, non ha senso pensare a queste come a fattori di competizione con gli altri elementi del patrimonio culturale.
Metaverso: la nota (poco) dolente dell’unicità delle opere d’arte
Le opere digitali sono permeate da un contorno di ‘unicità’ che è profondamente diverso rispetto a quelle che caratterizza le opere materiali. Nel mondo reale, un quadro attribuito a Leonardo è unico. La materialità dell’opera è fonte di unicità, la quale è definita da uno spazio fisico, chiaramente delimitato. Ogni opera al di fuori dei ‘bordi’ o ‘confini’ di quello spazio è diversa. Allo stesso tempo, l’unicità viene definita anche in senso ‘negativo’: tutto ciò che non costituisce quell’opera identifica la fonte di unicità. Questo ha un’implicazione importante, per la discussione della quale dobbiamo caratterizzare due dimensioni. Distinguiamo tra la titolarità della proprietà e la titolarità della gestione di un bene. Nel caso di un’opera d’arte del mondo reale, il confine tra l’esercizio della proprietà e l’esercizio della gestione può essere facilmente ‘annullato’. Per esempio, quando il proprietario dell’opera di Leonardo permette ad un museo di ospitarla – anche in via temporanea -, può consentire al museo stesso di fare tutto ciò che è necessario per conservare l’opera nello stato originario, dunque di realizzare tutte le azioni necessarie affinché l’opera non si deteriori nel tempo. Nel momento in cui il proprietario decide di spostare l’opera in un luogo di cui esso controlla l’accesso, la proprietà e la gestione dello stato dell’opera ritornano in mano allo stesso soggetto.
Oltre al ‘bello’ che diventa esclusivo (per il proprietario), perché vi è attenzione sull’unicità? La risposta è ovvia: l’unicità è importante in senso economico perché diviene fonte di ‘valore’ negli scambi di mercato. Se esiste soltanto un dipinto della Gioconda, l’eventuale venditore – cioè il proprietario – è ‘monopolista’ nel segmento di mercato che tratta quell’opera specifica. E i monopolisti godono di ‘potere di mercato’: possono – e finiscono per – ottenere un prezzo di mercato più alto rispetto a quello che verrebbe pattuito per la vendita di un dipinto prodotto in serie – anche se limitata. Perdere potere di mercato significa perdere una fonte di vantaggio economico. E “la scarsità” di un oggetto alimenta “l’abbondanza” del suo valore di mercato.
L’unicità nel metaverso: un’altro tipo di questione
Nel metaverso, l’idea di ‘unicità’ che prevale nel mondo reale non ha più senso. L’immaterialità che caratterizza – cioè la mancanza di uno spazio fisico che delimita – un’opera nata nel digitale fa sì che questa possa essere copiata e distribuita talvolta in modo quasi ‘banale’, potenzialmente incontrollato ed indipendente dalla volontà dell’autore. Anzi, nell’arte digitale, una copia ha letteralmente lo stesso contenuto artistico – visivo, sonoro, etc. – del file ‘primitivo’, cioè dell’originale creato dall’artista.
Gestire o controllare la diffusione di un’opera digitale nativa è complicato. In fin dei conti, un’opera digitale è fatta di dati informatici, i quali sono un mero guscio che contiene ‘informazione pura’. Secondo questa prospettiva, non possiamo non conoscere il tipo di problema che ne emerge: quante volte abbiamo generato informazioni cercando qualcosa su Google Search, ignorando il fatto che proprio i dati così creati finiscono per essere gestiti – rielaborati, utilizzati e magari venduti – da Google stessa? La distinzione tra proprietà e controllo dei dati è insita nella natura commerciale di chiunque fornisce servizi tramite Internet.
Se il concetto di unicità che ha senso compiuto nel mondo reale diviene irrilevante nel metaverso, le implicazioni sono dirompenti. Punto primo: come abbiamo già spiegato, il confine che separa l’esercizio della ‘proprietà’ dall’esercizio della ‘gestione’ dell’opera digitale è molto più ampio rispetto al caso di un’opera del mondo ‘materiale’. Punto secondo: i meccanismi per cui l’unicità diviene fonte di valore economico per le opere digitali sono differenti rispetto a ciò che caratterizza le opere del mondo reale.
L’economia dell’unicità in un mondo senza frizioni
Nel metaverso, “l’abbondanza” della diffusione di un oggetto digitale può amplificare “l’unicità” delle proprie caratteristiche, generando un ‘effetto scarsità’. Supponiamo che un’opera digitale venga caricata in una blockchain con accesso pubblico. Il file dell’opera può essere scaricato, copiato, modificato e riutilizzato da soggetti diversi rispetto all’autore. L’opera può così divenire ‘virale’. Si ottengono due effetti: si genera ‘attenzione’ da parte della comunità online sulla fonte originale dell’opera e si permette la creazione di opere ‘derivate’ da essa. Stiamo dicendo che l’atto di copiare e ridistribuire può contribuire al valore di mercato del file primitivo? Si. Infatti la possibilità di realizzare tutto questo è esplicitamente consentita dall’architettura delle blockchain che permettono il ‘deployment’ degli smart contracts. C’è uno strumento che permette all’autore di un’opera digitale di ricevere i benefici da questi tipi di vantaggi economici? Si, gli NFT.
Quanto importanti sono questi benefici economici? Se un’opera digitale è liberamente disponibile ed utilizzabile, essa ha le caratteristiche economiche di ‘non escludibilità’ dall’uso da parte di altri soggetti. Porta con sè anche la proprietà di ‘non rivalità’ nel consumo, nel senso che più persone possono usufruirne contemporaneamente, senza pregiudizio per l’offerta del bene stesso. Questo significa che l’opera digitale può essere definita come un ‘bene pubblico’ da un punto di vista di funzione economica.
Solitamente, l’offerta di beni pubblici genera vantaggi sociali, ‘esterni’ rispetto ai soggetti direttamente coinvolti nella produzione del bene stesso: si tratta delle cosiddette ‘esternalità positive’ a favore di tutta la comunità di utilizzatori. In altre parole, la comunità può impiegare quel bene per realizzare attività che portano vantaggi economici soltanto a chi le ha poste in essere, lungo la catena di relazioni e di utilizzazioni successive. Ciò può avvenire senza che l’autore dell’opera digitale originale sia a conoscenza di ciò che altri soggetti fanno. Per esempio, le immagini originali dei Crypto Punks vengono prese come base per creare opere digitali simili, le quali vengono a loro volta vendute. I ricavi dalla vendita di queste ultime sono ottenuti soltanto dai rispettivi autori. Il risultato finale consiste nel fatto che la condivisione aperta e libera dei Crypto Punks è fonte di ispirazione per altri soggetti, generando vantaggi sociali – cioè ‘esterni’ agli autori dei Crypto Punks. Ma la creazione di vantaggi sociali ha una caratteristica: solitamente, non porta remunerazione a favore dei soggetti originariamente responsabili per le esternalità positive – di nuovo, gli ideatori dei Crypto Punks. Emerge la seguente domanda: nel metaverso, esiste un modo per incentivare i creatori di arte virtuale a continuare a creare opere digitali che generano esternalità positive? Si, tramite gli NFT.