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L’inizio del nuovo anno si è aperto con un grande annuncio da parte del CEO di Facebook: l’azienda che ha trasformato il modo di relazionarci con i nostri simili ha annunciato che cambierà anche il nostro approccio alla realtà. Come? Da qui a qualche anno ha promesso che costruirà un mondo nuovo, fantastico, pieno di meraviglie e che stravolgerà – ancora una volta, è il caso di dirlo – il nostro modo di “essere umani”; vedrà, infatti, la luce il Metaverso.
È un sogno o un incubo? È un nuovo parto della mente visionaria di Mark Zuckerberg?
Il “nuovo mondo”
Ecco, partiamo dal concetto di “nuovo”. I Metaversi non sono propriamente un’idea di Zuckerberg. Facendo un passo indietro fino al 1992, ritroviamo il romanzo di fantascienza postcyberpunk “Snow Crash” di Neal Stephenson, ambientato in America intorno alla fine del XX sec., all’interno di una realtà in balia di un’economia capitalistica che regola tutto, nella totale assenza di ogni azione politica da parte degli Stati (sì, sto ancora parlando del romanzo di Stephenson). Lo scrittore immagina una doppia realtà in cui i personaggi possono fuggire e in cui essi vengono rappresentati da avatar 3 D. Ribadiamolo, era il 1992.
Spostandoci sul versante del gaming, non si possono non citare delle vere e proprie pietre miliari del settore (e dei metaversi) come Fortnite della Epic Games o Minecraft di Microsoft; queste aziende hanno creato veri e propri mondi alternativi in cui gli avatar dei giocatori interagiscono tra loro da tutte le parti del globo.
Il Metaverso di Meta e l’operazione di rebranding
Sul Metaverso di Meta non si sa ancora molto, del resto è ancora in costruzione. Tuttavia, prima di immaginare mondi fantastici e finalmente liberi dal dolore e dalle passioni umane, sarebbe opportuno guardare quello che c’è; i fatti, in parole povere e questi fatti ci dicono che “Meta” è parte del rebranding operato da Facebook. Diciamoci la verità, ultimamente non è che il social, per quanto sicuramente sempre in una posizione autorevole, goda di una reputazione sfavillante. Facebook è spesso associato ai c.d. boomer e ai loro “buongiornissimokaffè”, riflettendone così un’immagine piuttosto stantia e priva di appeal; Meta è, invece, il futuro, la terra promessa e delle occasioni che attrarrà giovani e nuovi talenti tra le proprie spire. È opportuno ricordare, inoltre, che l’azienda di Menlo Park ha subito parecchi scandali fra i quali possiamo citare quello dell’ottobre del 2021, in cui la whistlelblower Frances Haugen ha reso pubblici svariati rapporti interni alla società che dimostrano come l’azienda sia perfettamente consapevole dei danni creati dai propri servizi[1] ma anche che non apporti i relativi e necessari correttivi e quello di Cambridge Analityca che ha mostrato falle e vizi nel sistema dei social che forse molti di noi non avrebbero voluto vedere e che mai avrebbero immaginato. Dicevamo, Meta ci promette novità e futuro e già il nome ne è portatore, con quella preposizione, “meta”, che ci vede già proiettati oltre. Come doveva sentirsi proiettato oltre anche Andronico di Rodi che pare attribuì lo stesso suffisso, “meta”, ai testi di Aristotele mentre li catalogava: Μετὰ τὰ φυσικά, metà tà physiká, «dopo i libri di Fisica». Per la cronaca, Andronico di Rodi visse nel I sec. A.C.
Al netto però delle speculazioni più o meno erudite che si possano fare, un fatto è innegabile: Meta- Facebook sta davvero facendo cose mai fatte per realizzare questo nuovo visionario progetto. Sta costruendo, ad esempio, il più grande supercomputer per l’AI del mondo che avrà una potenza di calcolo fino a 16 tb al secondo.
I Metaversi attuali
Se è vero che Meta ancora è in costruzione, non possiamo dire che non esistano già svariati metaversi operativi (che poi pare sarà questo il nuovo punto di forza dell’internet 3.0, quella decentralizzazione e interoperabilità che al web.2.0 mancava) che prospettano notevoli nuove possibilità: una di queste è il matrimonio. Al momento abbiamo notizia di 2 matrimoni nel metaverso: il primo, quello di una coppia americana e il secondo, quello di una coppia indiana. I nubendi hanno festeggiato con amici e parenti nei mondi virtuali (pare che la coppia americana abbia versato la ragguardevole cifra di 30mila dollari all’agenzia che ha realizzato il meta-matrimonio) ma, in almeno un caso, il matrimonio è stato celebrato “alla vecchia maniera”, pena la mancanza di validità legale. La coppia indiana ha celebrato un matrimonio molto sontuoso e ha fatto accogliere gli ospiti dal defunto padre della sposa. Così facendo il metaverso diventa un modo per avere, in qualche modo, ancora vicini i nostri cari estinti (sarebbe opportuno, tuttavia, indagare se una tale pratica possa essere in qualche modo nociva per la sfera psichica di taluno).
Altre notevoli possibilità di espansione, il metaverso le sta vivendo nel settore immobiliare. Certamente bisogna abituarsi all’idea di spendere quattrini (veri) per acquistare terreni e immobili “fittizi”, tuttavia è una conseguenza logica: se i metaversi diventeranno luoghi di vendita ed esposizione (svariati stilisti hanno già presentato le loro collezioni mediante tali modalità) è chiaro che i player del relativo settore intenderanno assicurarsi uno spazio commerciale al loro interno. Pare, infatti, che il meta- mercato immobiliare stia vivendo un periodo particolarmente florido: si ha notizia della recente vendita di un appezzamento di terreno nello Snoopverse (un mondo virtuale che il rapper Snoop Dogg sta sviluppando all’interno di “The Sandbox” n.d.r.) per 450mila dollari; Metaverse Group, una società immobiliare focalizzata sull’economia del metaverso, avrebbe acquistato un appezzamento di terreno nel distretto della moda di Decentraland (un’altra piattaforma virtuale) per 2,43 mln di dollari; secondo l’acquirente questo spazio sarà utilizzato per ospitare eventi di moda digitale e vendere abbigliamento virtuale per avatar. A proposito di immobili, il metaverso riprende le dinamiche a cui siamo abituati: per garantire, infatti, che gli immobili digitali abbiano valore, l’offerta deve essere limitata (valore di scarsità) per questo, ad esempio, Decentraland è composto da 90mila pezzi di terra.
Le transazioni all’interno del mondo virtuale vengono effettuate in criptovaluta su blockchain (spesso le piattaforme hanno la propria criptovaluta nativa, come ad esempio, sempre su Decentraland, MANA).
I possibili problemi nei metaversi
Questo degli acquisti su blockchain è uno dei problemi, forse quello meno indagato al momento, che si pone. Proprio l’immutabilità tanto decantata e che ne è un notevole punto di forza, soprattutto nel panorama del digitale ove qualsiasi cosa è duplicabile all’infino, potrebbe portare all’impossibilità di porre un rimedio giudiziale innanzi ad un contratto/smart contract viziato da uno dei vizi della volontà tipici del nostro sistema legale: errore, violenza, dolo. Se il contratto su blockchain è immutabile per sua definizione, come farà il giudice ad annullarlo? Ne consegue che, sotto questo aspetto, tutta la classica sistematica delle patologie del contratto andrebbe riconsiderata.
I metaversi e la diffusione che probabilmente avranno, quindi aprono interessanti e problematici scenari dal punto di vista giuridico. Appare chiaro che l’attività totalmente immersiva che caratterizzerà queste esperienze, si accompagnerà con la necessità di utilizzare molti più dati (e molto più importanti) delle persone. La tutela dei dati personali e sensibili, pertanto sarà un tema sempre più attuale nell’ottica del bilanciamento degli interessi tra la necessità di riservatezza del singolo, la sua possibilità di utilizzare le nuove piattaforme e gli obiettivi delle aziende del settore che avranno tutto l’interesse a sfruttare questi dati. Probabilmente si rivelerà cruciale, oltre ad una costruzione secondo il principio della privacy by design, un’adeguata architettura della disciplina del consenso al trattamento, affinché l’utente comprenda in maniera chiara in base a quale base giuridica e come il titolare effettui i trattamenti dei suoi dati. Aspetto che si accompagni a questa tematica è certamente quello dei data breach, che dovrebbero essere evitatati implementando i principi di secure coding, nell’ottica di ridurre al minimo le vulnerabilità dei sistemi. Di pari passo, però, aumenteranno i cyber criminali che troveranno terreno fertile da un lato per esplorare nuove frontiere della criminalità, dall’altro per trovare nuovi modi per attuare “vecchie” attività delittuose. Qualche esempio? I reati di truffa (si pensi alle già note “romantic scam” effettuate via social network, versione riveduta e corretta delle vecchie “truffe amorose”), di sostituzione di persona, revenge porn e sextortion che probabilmente verranno perpetrate in maniera nuova e più semplice grazie ai metaversi (arriveremo dunque ad un momento in cui tokenizzeremo la nostra identità e tramite quella agiremo nel metaverso come avatar verificati e dunque degni di fede? Sarebbe una buona soluzione se non si ponessero i quesiti sulle varie identità digitali che appartengono ad ognuno di noi[2]).
Altro problema è quello relativo all’utilizzo dei contenuti protetti. Già la “Direttiva Copyright” del 2019 del Parlamento Europeo impone l’obbligo, per le piattaforme di contenuti multimediali, di munirsi delle relative licenze per i contenuti condivisi. Nel metaverso potrebbe essere utile considerare alcuni aspetti relativi: agli accordi di distribuzione dei contenuti; al contrassegno corretto delle opere protette da diritto d’autore; alle misure tecnologiche di protezione, la cui applicabilità è già prevista, in qualche modo, dalla LDA; la possibilità di segnalazioni – e le modalità delle stesse, possibilmente rapide e intuitive – alle piattaforme.
Rammento in ultimo che, a proposito di problematiche giuridiche, civiltà e crimini, che il metaverso non è ancora realtà ma abbiamo già notizia di avatar molestati. Se speravamo che la tecnologia portasse civiltà e cultura del consenso, siamo rimaste, ancora una volta, deluse (che è inutile costruire androidi, giaguari guidati da intelligenza artificiale se poi i comportamenti sono sempre quelli degli uomini delle caverne.)
[1]Si pensi ai numerosi rapporti sulla pericolosità dei social media in relazione all’immagine personale o all’uso preblamatico dei social media nei giovani (risultati Sistema di Sorveglianza HBSC 2018 su Giovani e salute, i risultati del Sistema di sorveglianza HBSC 2018 – consultato 23.3.2022 -); in tema di utilizzo dei filtri sui social networks e di possibilità di inganno del consumatore, l’ASA (Advertising Standard Authority), l’autorità garante per la pubblicità inglese ha vietato per prima il loro utilizzo nel caso di sponsorizzazione di cosmetici e prodotti di bellezza.
[2] “Siamo ormai entrati in un tempo in cui sempre più si dovrà ammettere «io sono quel che Google dice che io sono». E lì, in quello sterminato catalogo del mondo e nelle infinite altre banche dati che implacabilmente conservano informazioni personali, viene costruita la nostra identità, in forme che sempre più sfuggono al controllo dello stesso interessato. Sapevamo forse da sempre che lo sguardo dell’altro contribuisce a definire la nostra identità. Scriveva Sartre che «l’Ebreo dipende dall’ opinione sulla sua professione, sui suoi diritti, sulla sua vita». Questa dipendenza è cresciuta in modo determinante negli ultimi trent’anni, da quando l’elettronica non solo ha reso possibile raccogliere e conservare una quantità tendenzialmente infinita di dati, ma soprattutto consente di ritrovarli fulmineamente, di metterli in rapporto tra loro, e così di tracciare profili che diventano gli strumenti attraverso i quali ciascuno di noi viene conosciuto, valutato, continuamente ricostruito. L’identità “digitale” prende il sopravvento, rischia d’essere il solo tramite con il mondo, ponendo problemi prima impensabili”. S.Rodotà, “L’identità ai tempi di Google” in “La Repubblica”, 14 dicembre 2009