La mancanza di certezza regolamentare potrebbe esacerbare ancora di più la crisi digitale dell’Europa, sia dal punto di vista dello sviluppo delle reti che da quello dell’innovazione.
Lontani i tempi della rivoluzione del GSM e dei fasti di Nokia, gli investimenti languono da più di un decennio e non per mancanza di liquidità, ma proprio per l’incertezza normativa che impedisce di sapere con sicurezza entro quanto tempo si potranno recuperare le spese sostenute. Se, ad esempio, nel 2003 l’Europa rappresentava un terzo degli investimenti mondiali nelle infrastrutture, è precipitata a un quinto a livello globale e nessuna delle principali web company attive a livello mondiale è Made in Europe.
La colpa di tutto questo? Secondo l’analista John Strand è della “cattiva politica”, che continua a promettere di creare le basi adeguate per rafforzare la competitività delle aziende, ridare slancio all’occupazione e all’innovazione, ma poco o nulla fa per mettere in pratica i buoni propositi.
Dopo un mandato dedicato a cercare di cambiare le cose, la vecchia Commissione europea si è infine impantanata nel populismo dell’abolizione del roaming e nella diatriba della net neutrality – montata ad arte, secondo Strand – invece di portare a termine battaglie concrete come la parità di condizioni (anche fiscali) tra aziende europee e società internet americane.
“Non c’è dubbio che ci vorrà ancora molto tempo per completare il mercato unico digitale in Europa ma almeno la Commissione dovrebbe affrettarsi a mettere in pratica obiettivi basilari quali la facilitazione del commercio elettronico transfrontaliero, l’eliminazione del geoblocking e la semplificazione dell’Iva all’interno della Ue”, dice Strand.
Si dovrebbe inoltre agire in fretta per agevolare l’uso coordinato dello spettro radio, aumentare la trasparenza sulle piattaforme online, frenare la pirateria, favorire la creazione di startup e – last but not least – sviluppare le necessarie competenze digitali per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
La Ue, conclude Strand, ha superato il punto di non ritorno e se farà passare ancora altro tempo potrebbe non essere più in grado di implementare una Digital Agenda degna di questo nome.
“I piani della Commissione sono corretti ma nei fatti la Ue fa poco, è troppo lenta, troppo in ritardo e senza azioni immediate, Juncker e il resto del team dedicato al digitale lasceranno il loro incarico proprio come Neelie Kroes: grandi ambizioni ma zero risultati”, conclude Strand.