Dopo un periodo di relativa stabilità, i mercati petroliferi globali sono tornati al centro dell’attenzione mondiale. L’annuncio dei nuovi dazi commerciali imposti da Trump ha, infatti, provocato un brusco scossone nei prezzi del petrolio greggio, spingendo il Brent ai livelli più bassi degli ultimi quattro anni. Le quotazioni sono crollate di oltre 15 dollari al barile, scendendo sotto i 60 $/bbl, prima di recuperare parzialmente fino a 65 $/bbl grazie al rinvio di alcune misure tariffarie. Ad evidenziare il trend più recente è il nuovo Oil Market Report dell’International Energy Agency (IEA), tra le fonti più autorevoli e aggiornate al mondo sul mercato petrolifero globale.
Dazi USA e timori inflazionistici pesano sulla domanda globale di petrolio
Sebbene le importazioni energetiche, inclusi petrolio, gas e prodotti raffinati, siano state escluse dai nuovi dazi statunitensi, i mercati restano sotto pressione. Secondo il Report, l’aumento dell’inflazione, la prospettiva di una crescita economica più lenta e il rischio di una nuova escalation delle tensioni commerciali internazionali rappresentano fattori destabilizzanti per i prezzi del greggio.
Alla luce di queste criticità, gli analisti hanno rivisto al ribasso le previsioni sulla domanda globale di petrolio per il 2025. L’incremento stimato è ora di 730 mila barili al giorno (kb/d), con una riduzione di 400 kb/d rispetto alle previsioni precedenti.
OPEC+ e produzione record: la nuova dinamica dell’offerta
Un ulteriore colpo al mercato è arrivato dalla decisione inattesa di otto membri dell’OPEC+ di aumentare la produzione a partire da maggio, triplicando i volumi rispetto agli impegni precedenti fino a 411 kb/d. Tuttavia, l’aumento effettivo potrebbe essere molto più contenuto. Alcuni Paesi, tra cui Kazakistan, Emirati Arabi Uniti e Iraq, stanno già producendo ben oltre i propri target.
Particolarmente significativo il caso del Kazakistan, che ha raggiunto un record di 1,8 milioni di barili al giorno grazie all’espansione del giacimento Tengiz, operato da Chevron. Il superamento della quota OPEC+ di circa 390 kb/d potrebbe però essere mitigato dall’impegno di alcuni Stati membri a compensare le precedenti eccedenze produttive.
Settore shale USA sotto pressione: servono 65 dollari al barile per restare competitivi
Negli Stati Uniti, il crollo del prezzo del petrolio ha colpito duramente il settore dello shale oil, che per rimanere redditizio ha bisogno di un prezzo minimo di circa 65 $/bbl. I nuovi dazi rischiano di far aumentare anche i costi per l’acquisto di acciaio e attrezzature, rendendo ancora più difficile la perforazione di nuovi pozzi.
Anche le tariffe cinesi sull’etano e sul GPL statunitense hanno avuto un impatto negativo, portando a una revisione al ribasso della previsione di crescita dell’offerta USA per il 2025, ora stimata a 490 kb/d (–150 kb/d rispetto alla stima iniziale). I progetti convenzionali, però, restano solidi: l’offerta non OPEC+ è destinata a crescere di 1,3 milioni di barili al giorno.
Prospettive per il 2026: domanda debole, ma offerta solida
Uno sguardo alle previsioni petrolifere per il 2026 evidenzia un ulteriore rallentamento della domanda, che dovrebbe crescere solo di 690 kb/d, a causa di un contesto macroeconomico fragile e della maggiore diffusione dei veicoli elettrici (EV).
Nonostante ciò, l’offerta non OPEC+ mantiene un buon ritmo, con un incremento stimato di 920 kb/d, superando ampiamente la domanda globale attesa. I principali protagonisti di questa crescita saranno Brasile (+240 kb/d), Guyana (+160 kb/d) e Canada (+120 kb/d), mentre gli Stati Uniti rallenteranno a +280 kb/d.