Pirateria

‘Sentenza Megavideo, video-sharing non autorizzato è illecito’ Intervento di A. La Rosa (Studio Previti)

di avv. Alessandro La Rosa (Studio Previti) |

I giudici di Roma cristallizzano l’orientamento della giurisprudenza italiana: la distribuzione di contenuti audiovisivi di terzi in streaming non è qualificabile come attività di hosting.

Il Tribunale delle Imprese di Roma con la sentenza n. 14279/2016 del 15.7.2016 (RTI c MEGAVIDEO) cristallizza l’orientamento consolidato della giurisprudenza italiana in base al quale “la messa a disposizione del pubblico” di contenuti audiovisivi di terzi attraverso piattaforme di “streaming” che non si limitano a fornire meri servizi di memorizzazione di contenuti caricati da diverse fonti non è in alcun modo qualificabile come attività di stoccaggio, definita come “hosting” dal D. Lgs. n. 70/2003.

I giudici romani hanno confermano che l’uso non autorizzato attraverso Internet di opere audiovisive (di RTI, Gruppo Mediaset) da parte del gestore di una piattaforma di video-sharing (Megavideo) è illecito, necessitando di una specifica preventiva autorizzazione del titolare dei diritti autorali ad esse riferibili.

Osserva l’Autorità che, nel caso di specie, Megavideo, lungi dal fornire un servizio di mero stoccaggio di dati, utilizzava i contenuti di RTI a fini commerciali, non solo per alimentare il proprio business di vendita di spazi pubblicitari ma anche per la vendita agli utenti di abbonamenti per l’accesso illimitato ai contenuti stessi.

Tanto anche dopo la ricezione di diffide del titolare dei diritti contenenti sia il titolo commerciale delle opere televisive abusivamente diffuse che i loghi identificativi delle reti televisive del titolare dei diritti in questione: elementi questi giudicati idonei a far sorgere in capo a Megavideo un obbligo di attivazione per l’immediata rimozione dei video contraffatti.

La Sezione Impresa del Tribunale di Roma conferma inoltre che, come già ripetutamente stabilito dalla Corte di Giustizia UE, il divieto di sorveglianza generale posto dalla direttiva 2000/31/CE (art. 17) non è affatto incompatibile con la previsione di un onere – per l’intermediario della rete – di impedire il ripetersi di specifiche violazioni (vd. sentenze Corte UE SABAM e NETLOG); e quindi con l’obbligo di impedire la nuova pubblicazione di brani estratti dalle opere televisive in contestazione: si giustifica pertanto la penale di euro 1.000,00 per ogni futura violazione dei diritti di RTI e per ogni giorno di permanenza sulla piattaforma del materiale non autorizzato.

E’ stato altresì confermato (vd. sentenza Trib. Roma del 27.4.2016, RTI c BREAK MEDIA) che tali operatori sono da qualificarsi come veri e propri content provider, la cui attività di editing sui materiali (organizzati in categorie, selezionati, indicizzati, messi in correlazione tra loro) impone l’applicabilità delle comuni regole sulla responsabilità civile: l’intermediario che interviene sui contenuti mediante attività organizzativa sarà dunque responsabile –quanto meno a titolo di colpa– delle violazioni dei diritti autorali di terzi.

Il Tribunale di Roma ha inoltre accertato l’esistenza del danno non patrimoniale di RTI derivante dal fatto che i comportamenti censurati rilevano anche penalmente, in quanto idonei ad integrare le specifiche fattispecie di reato di cui all’art. 171 ter (lett a. I comma, lett. b. II comma) Lda.

Il risarcimento complessivo è stato quantificato in Euro 12.100.000,00 per la pubblicazione abusiva di circa 16.000 minuti di materiale televisivo.

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