Il tanto atteso accordo Mediaset-Vivendi è stato alla fine ufficializzato. Chiaro ormai da tempo l’obiettivo dei francesi: lanciare una pay tv di dimensioni europee, assicurarsi i diritti tv per contenuti di pregio, specie quelli relativi al Calcio, investire nella produzione di opere originali, rafforzarsi nei servizi streaming con il lancio di una piattaforma OTT comune.
Adesso però resta da capire come farà Vivendi a mettere in pratica questo ambizioso progetto.
Modificherà, come ha già fatto in Canal+, il management della pay tv Premium che ora controlla totalmente?
Avvierà il passaggio di Premium sul satellite?
La pay tv trasmette infatti sul digitale terrestre ma in vista della liberazione delle frequenze potrebbero essere avviati i lavori per la migrazione sul satellite.
Il piano di rilancio della pay tv sarà veramente complicato tanto più che Vivendi eredita un bouquet con una perdita operativa di 115 milioni di euro nel 2015 che, secondo alcuni analisti sentiti da Les Echos, raddoppierà nel 2016 e nel 2017 a seguito dell’aumento dei costi dei diritti sportivi dalla metà dello scorso anno.
Inoltre, aggiungono, “queste perdite non tengono conto del valore della pubblicità di Premium sui canali free-to-air di Mediaset, si tratta di un buco nero“.
Altri osservatori sottolineano invece gli aspetti più positivi di questa intesa che metterà insieme i 2 milioni di abbonati di Premium con i 5,7 milioni di Canal+ in Francia che sono 11,2 milioni su scala globale.
In una nota Jérôme Bodin, analista di Natixis, scrive che “le sinergie possono essere molto importanti. Vivendi potrebbe sfruttare il proprio brand sul mercato italiano, il proprio catalogo di diritti e soprattutto sviluppare una nuova offerta comune con Telecom Italia” di cui la società francese è azionista di riferimento con una quota del 24,9%.
Secondo Bodin, le sinergie tra i tre gruppi permetterebbero di sviluppare una nuova offerta “più qualitativa e con un numero di abbonati molto più importante“.
C’è inoltre da aggiungere che oggi la penetrazione della pay tv è molto debole via Adsl ed è percepita come la tecnologia del futuro di fronte al satellite usato dal maggior competitor, Sky Italia di Rupert Murdoch.
In ogni caso l’accordo prevede che Vivendi non possa superare la quota del 5% di Mediaset nei prossimi tre anni e non si parla (almeno per il momento) di un interesse per i canali commerciali del Biscione.
La mission è di andare ben al di là del mercato italiano e aspirare a creare un player paneuropeo dell’audiovisivo.
Tra gli obiettivi c’è infatti quello di creare una piattaforma di video on-demand, sul tipo di Netflix, che produrrà contenuti originali, come gli americani appunto, in particolare l’idea è mettere in campo una partnership industriale.
Questa piattaforma sfrutterà, in Italia, Infinity di Mediaset (600 mila abbonati), CanalPlay in Francia (613 mila abbonati) e Watchever in Germania (300 mila abbonati). Quest’ultimo è un asset che Vivendi desidera mantenere in particolare per la tecnologia anche se non è nell’asse del Sud Europa.
Questa ‘Netflix dell’Europa del Sud” e, più in generale, le ambizioni di Vivendi nella pay tv, troverebbero un forte supporto nel ruolo di Vivendi in Telecom Italia e forse, un giorno, anche in Telefonica, di cui il gruppo possiede l’1%, due operatori tlc con un forte potere nella distribuzione in America Latina alla quale i francesi guardano da tempo con attenzione.
La sfida non sarà facile.
Netflix va forte e sta investendo 6 miliardi di dollari l’anno nei contenuti.
Senza tralasciare che c’è anche un player come Amazon che sta accelerando sul proprio servizio in streaming Premium Video.
Un analista riferisce sempre a Les Echos che Hulu, il servizio rivale negli USA, è molto dietro nonostante abbia azionisti molto potenti, riferendosi a Fox, Disney e Comcast.
Vivendi, commenta un altro analista, dovrà spostare su scala globale quanto sta già facendo in Francia con CanalPlay ma ci vuole gran coraggio perché dovrà farei conti con pesanti perdite finanziarie registrate lungo diversi anni.
Vivendi lo sa bene e non a caso ha già detto che conta di tirare dentro al proprio progetto anche gli studios americani, pensando magari a creare una società ad hoc e dando loro una quota del capitale.