Giganti come Google, Twitter, Facebook e Apple sono ormai un problema per i media tradizionali. Prendiamo Google, con i suoi 110 miliardi di dollari di valore, secondo il Brand Finance Global 50, è il brand che produce più fatturato al mondo. Lo scorso anno ha registrato l’attivazione di 2 miliardi di device con sistema operativo Android.
Proprio in tema di smartphone, negli ultimi tempi è cresciuta l’attenzione generale sul tema delle dipendenze tecnologiche: secondo il Rapporto “Journalism, media and technologies trends and prediction 2018”, realizzato da Nic Newman per conto del Reuters institute for the study of journalism, il 46% degli utenti di tutto il mondo legge le notizie dal letto e il 32% in bagno.
Strumenti utilissimi, che ampliano le nostre opportunità di informazione, di comunicazione, di divertimento e di business, ma che allo stesso tempo generano criticità nuove, come un alto livello di distrazione, principalmente a scuola, ma anche in strada e al volante di un auto, nonché un motivo di disturbo per il prossimo, un elemento di vulnerabilità per la nostra sicurezza informatica e uno strumento, soprattutto tra i più giovani, sempre più spesso utilizzato per bullizzare il prossimo.
Questioni sociali a parte, è sul mercato che le grandi piattaforme web creano scompiglio. Il 44% delle media company tradizionali percepiscono aziende come Twitterl Facebook e Google “come una delle più grandi minacce per il 2018”.
Il sentimento nei confronti di Facebook, in particolare, sembra essere peggiorato notevolmente a seguito del suo ruolo nel promuovere fake news e lo scarso successo che hanno avuto i video.
Il campione di coloro che si preoccupano fortemente dello strapotere delle web company sale al 55% se consideriamo anche gli editori della carta stampata, che si ritengono – forse a ragione – molto più penalizzati dall’ascesa delle piattaforme di rete, che oltretutto raccolgono sempre più pubblicità (danneggiando proprio i giornali).
Un confronto, quello sul terreno dell’advertising, che non è possibile sostenere per gli editori di ogni settore. Le web company sono più forti, possono far ricorso a più soluzioni e strumenti, potenziando la capacitò di ingaggiare il pubblico.
Accade allora che gli editori provano a cambiare strada: il 44% afferma che l’abbonamento digitale rappresenta un flusso di entrate molto importante rispetto a qualsiasi altra opzione. I video (ads o sponsorizzati) interessano circa la metà degli editori, la “membership” è considerata molto importante per il 16% degli interpellati, mentre le “donazioni una tantum” interessano il 7% degli intervistati.
Dall’indagine si evidenzia, infatti, l’idea crescente che la pubblicità diventerà via via meno importante nel tempo (62%), con un editore su dieci (10%) che dichiara di pianificare attivamente un futuro di notizie con pubblicità sui display ridotta o nulla.
Interessante, infine, il commento allo studio sul sito dell’INPGI: “Spostarsi quindi verso una strategia del “reach + ads a engagement + subscriptions” non è solo un semplice cambiamento nel modello di business, ma obbliga gli editori a ripensare i contenuti che creano, e al pubblico che intendono prendere di mira”.