Ieri pomeriggio, lunedì 16 ottobre 2023, il Consiglio dei Ministri ha approvato una bozza della legge di bilancio per l’anno 2024 nella quale è prevista una riduzione del canone annuo della Rai da 90 a 70 euro.
Partiamo dalla fonte ufficiale, ovvero il comunicato stampa diramato dalla stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri a fine riunione: “Canone Rai – Diminuisce il canone Rai, da 90 a 70 euro all’anno. Alla riduzione corrisponde un’integrazione del finanziamento della Rai per le spese relative agli investimenti. La dotazione complessiva subisce, quindi, una lieve modifica in linea con i tagli previsti per i ministeri (da 440 a 420 milioni)”.
Si tratta quindi di una modesta riduzione di risorse, nell’economia complessiva del servizio radio-televisivo pubblico italiano?! Suvvia… cosa rappresentano 20 milioni a fronte di 2,5 miliardi di euro di ricavi complessivi (dato del bilancio 2022)?!
Matteo Salvini è notoriamente il principale artefice di questa decisione, che determina un duplice effetto: iniziativa demagogica elettoralistica, a fronte di quella che molti ritengono (strumentalmente) la più “odiata” tassa pagata dagli italiani (il quotidiano di Fratelli d’Italia “Secolo d’Italia” titola oggi a chiare lettere “Il Governo Meloni taglia l’odioso canone Rai”); iniziativa politica concreta, che provoca un indebolimento ulteriore della (presunta) autonomia del servizio pubblico italiano dalla politica, dato che cresce così la dipendenza dalla partitocrazia.
La gravità della decisione è rappresentata dalla ulteriore incertezza che viene a determinarsi sui futuri di medio-lungo periodo della Rai: è evidente che un governo democratico che beneficia di una forte maggioranza può decidere liberamente di modificare l’assetto del rapporto tra Stato e “public service media”, ma il passaggio dal pagamento diretto del canone obbligatorio da parte del cittadino al meccanismo di sostegno attraverso la fiscalità generale non può essere interpretato come una semplice operazione di maquillage della finanza pubblica.
Non si tratta di una decisione “neutra” ed indolore, bensì di una modificazione radicale, che segue le orme della precedente decisione assunta dal governo guidato da Matteo Renzi nel 2016. Renzi ridusse il canone da 113 euro a 90 euro, ma, imponendolo nella bolletta elettrica, determinò la sostanziale eliminazione della pre-esistente (e diffusa) evasione, e quindi le risorse della Rai non subirono una riduzione. In quel caso.
È una precisa decisione politica altra, quella assunta ieri dal Governo, che indebolisce l’autonomia del servizio pubblico radiotelevisivo, che ne mina l’indipendenza dal sistema partitocratico.
Matteo Salvini ha sostenuto, gongolante: “c’è il primo intervento sul canone Rai, che verrà tagliato dalla bolletta dei contribuenti italiani”. In conferenza stampa, durante la presentazione della manovra, l’intervento è stato illustrato più nel dettaglio dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, che, in un primo momento, ha parlato di “una riduzione da 20 a 15 euro. Ogni mese nella bolletta invece di 20 troverai 15”. Si scatenano interpretazioni confuse, e viene quindi presto fatta chiarezza sull’intervento nel complesso: “c’è la riduzione di un quarto del canone, da 90 euro passa a 70 euro… sostanzialmente un quarto del canone non viene più pagato in bolletta”.
Giorgetti ha spiegato il perché del suo errore: “io, per sopportare di più la cosa… guardo la bolletta… quando c’è scritto… non penso quello che pago tutto l’anno…”. L’errore non è comunque mondato, perché in verità attualmente il canone costa 90 euro l’anno, e l’importo viene suddiviso in 10 rate da 9 euro ognuna, nella bolletta dell’energia elettrica, da gennaio ad ottobre: quindi si passerà da 10 rate da 9 euro al mese a 10 rate da 7 euro al mese.
Chiarita l’imprecisione, è il leader della Lega, Matteo Salvini, a rivendicare “è l’inizio di un percorso virtuoso”, che dovrebbe concludersi con la cancellazione definitiva di un tributo introdotto nel febbraio del 1938 (da Re Vittorio Emanuele III), in concomitanza con le prime programmazioni radiofoniche. Dopo 90 anni di vita, lo scorso marzo, il Vice Presidente del Consiglio aveva già prospettato un processo graduale di cancellazione dell’abbonamento obbligatorio (nel tempo il canone è diventato una “imposta sul possesso” dell’apparecchio televisivo, come ha precisato nel 2012 l’allora Ministero dello Sviluppo Economico), con una riduzione del 20 % ogni anno, fino a sparire completamente nell’arco di 5 anni (si ricordi che c’è anche una specifica proposta di legge della Lega, in argomento…). In un documento, Salvini aveva definito la gabella “anacronistica e ingiusta, in quanto è dovuta per la semplice detenzione di apparecchi atti o adattabili a ricevere un segnale”.
La proposta inserita nella bozza di legge di bilancio prevede che lo Stato assegni a Rai, per “compensare” il minor gettito dal canone, 1.260 milioni di euro, corrispondenti a 420 milioni di euro l’anno, ovvero un intervento dal respiro triennale per migliorare “la qualità del servizio radiofonico, televisivo e multimediale”, precisandosi “su tutto il territorio nazionale, anche attraverso l’uso di nuove tecnologie”.
Le modalità di assegnazione del contributo “non sono ancora decise”, scrive questa mattina il sempre acuto Aldo Fontanarosa sulle colonne del quotidiano “la Repubblica”, e verosimilmente “le chiarirà il Contratto di Servizio, l’atto che regola gli impegni reciproci tra Rai e Stato”. Temiamo che l’interpretazione di Fontanarosa pecchi di ottimismo, dato il carattere assolutamente evanescente del “contratto” (viene denominato così, ma tale non è, essendo poco più che una dichiarazione di intenti), che la Commissione di Vigilanza Rai ha licenziato un paio di settimana fa (si rimanda al nostro intervento sulle colonne di “Key4biz” del 3 ottobre 2023, “Contratto di servizio Rai: oggi la giornata decisiva?”).
Si ricordi anche che a fine luglio, il Ministro Giancarlo Giorgetti, intervenendo in Parlamento, aveva spiegato che il pagamento del canone Rai, al termine dello studio in corso, potrebbe in futuro essere legato al possesso di un “device” mobile, smartphone, tablet o computer, e non più solo a quello di apparecchi televisivi come invece accade oggi, visto il cambiamento delle modalità di fruizione dei contenuti radiotelevisivi.
Riteniamo che una simile proposta, che sarebbe evidentemente impopolare (più di quanto non sia il balzello per la “copia privata”, che alimenta le casse della Società Italiana degli Autori e Editori), rappresenti una mera ipotesi di lavoro, accantonata in itinere.
Intanto… tagliamo!
Il 27 luglio, di fronte alla Vigilanza Rai, Giorgetti aveva sostenuto che erano al vaglio una “pluralità di ipotesi di riforma del canone Rai allo studio”, informava che era stato “convocato uno specifico tavolo presso il Mef” (mistero sulla eletta schiera dei componenti). E quindi: “in un’ottica di breve periodo, l’ipotesi potrebbe essere scorporare dal pagamento del canone una quota relativa agli investimenti sostenuti dalla Rai, a sostegno per esempio della capacità trasmissiva… circa 300 milioni annui, che verrebbero posti a carico della fiscalità generale, riducendo il canone di abbonamento”.
Gli annunciati “300 milioni” di euro sono divenuti “420 milioni” di euro.
Come dire, parafrasando il grande scrittore sudamericano?
“Cronaca di una morte annunciata”?
In sostanza, la decisione proposta da Salvini e fatta propria da Meloni indebolisce anche quel “sovranismo culturale” tanto caro a Fratelli d’Italia, perché una Rai incerta e fragile non può certo contribuire ad affermare al meglio una visione ideologica che ponga la cultura nazionale come centrale nel sistema della comunicazione digitale.
Una decisione come quella assunta ieri dal Governo stimola la ulteriore deriva del servizio pubblico mediale italiano, l’indebolimento ulteriore del suo profilo identitario (che andiamo denunciando, da molti anni, e non soltanto su queste colonne di “Key4biz”).
Una Rai che può così continuare a simpaticamente trasmettere in prima serata programmi stupidi e retrogradi come “Mercante in fiera” di Pino Insegno (una trasmissione indegna per una tv pubblica) ed accogliere Fabrizio Corona come quasi fosse un eroe mediale (ci consenta il lettore: un conato di nausea ci prende), relegando invece alla terza serata trasmissioni sensibili e innovative come “Febbre d’Amore”, la stimolante docuserie di Rai3 condotta da Francesca Faldini, dedicata al disagio psichico dei ragazzi (giunta, da domenica 8 ottobre, alla quinta stagione, viene trasmessa alle 23:15! anche questo – va ricordato – un prodotto, seppur minore, del potente agente Ballandi)…
Ci si domanda, anche: cosa pensa di tutto questo il socio di minoranza della Rai, ovvero quella Siae (Società Italiana degli Autori e Editori) che pure detiene una quota dello 0,44 % delle azioni della tv pubblica?! Siae che rappresenta – si ricordi sempre – la spina dorsale del sistema creativo nazionale, potendo vantare oltre 106mila associati…
Il socio Siae è stato coinvolto dal socio Mef in questa decisione?!
Sarebbe interessante saperlo… e sarebbe interessante conoscere il pensiero del Presidente, Salvatore Nastasi…
La Rai ha risorse pubbliche che sono meno della metà di quelle di Germania e Regno Unito: 45 euro pro capite, a fronte dei 120 euro della Germania, dei 113 del Regno Unito, dei 62 della Francia…
Segnaliamo alcuni dati elaborati dall’associazione delle tv pubbliche europee, per comprendere la debolezza della Rai: nel 2021, il totale dei ricavi (“operating revenues”) dei “psm” della Germania è stato di 10 miliardi di euro, di 7,7 miliardi nel Regno Unito, di 4,1 miliardi in Francia, di 2,7 miliardi in Italia…
Il dato è ancora più basso, se si ragione in “finanziamento pro capite”: Germania 120 euro, Regno Unito 113 euro, Francia 62, Italia 45 euro… Senza dimenticare i 163 euro pro capite della Svizzera…
Queste cifre – certificate dall’European Broadcasting Union (l’Ebu alias Eur) – sono impietose, nell’evidenziare quanta poca sensibilità mostri lo Stato italico nei confronti del servizio pubblico mediale.
Va anche osservato che in Francia il canone è stato abolito nel 2022, coerentemente con quanto annunciato dal Presidente Emmanuel Macron durante la campagna elettorale. Il sostegno pubblico 2022 è stato sostituito con un intervento diretto dello Stato, alimentato da una quota percentuale sui ricavi dall’Iva, che ha consentito di mantenere lo stesso livello di ricavi del 2021… Per quanto, nel caso francese, non vi sia stata una riduzione del budget, la stessa Ebu segnala, tra gli svantaggi della soluzione “fund from State” rispetto a “licence fee”, il rischio di incremento della “interferenza politica” ed il rischio di riduzione dell’“indipendenza”.
Indiscutibilmente, la soluzione “intervento diretto” aumenta il rischio di “vulnerabilità” del “psm” rispetto allo Stato.
Il “canone” viene generalmente considerato invece una garanzia di stabilità economica e quindi anche politico-relazionale tra “psm” e Stato: è anche vero che ciò è vero fino ad un certo punto, se si osserva l’anomalo “caso Italia”, allorquando Matteo Renzi “destabilizzò” tendenzialmente l’assetto, imponendo una prima riduzione del canone (per quanto compensata dalla introduzione della sua obbligatorietà in bolletta, e quindi senza determinare riduzione di risorse), annunciato nell’ottobre 2015 e messo concretamente in atto a partire dall’anno 2016, con la riduzione a 100 euro, che nel 2017 vide il livello scendere a quota 90 euro…
Da ricordare tra l’altro che la legittimità del canone è stata sancita da una sentenza della Corte Costituzionale nel 2002.
In sostanza, riteniamo che – quale che sia la soluzione “tecnica” – il problema di fondo è il “quantum” lo Stato ritiene di dover assegnare pecuniariamente alle funzioni affidate al “public media service”: e le cifre parlano chiaro, l’Italia è messa veramente male, rispetto a Paesi più evoluti come la Germania ed il Regno Unito e la Francia.
Da segnalare la reazione (sostanzialmente morbida) della Presidente della Commissione di Vigilanza Rai, Barbara Floridia (M5s), ieri pomeriggio: “sul taglio al canone Rai annunciato oggi dai ministri Salvini e Giorgetti è necessario che il governo faccia chiarezza al più presto. Si tratta di un vero e proprio taglio oppure di uno spostamento sulla fiscalità generale? Su questo punto non possono esserci ambiguità, perché qualsiasi misura si intenda prendere è necessario garantire la certezza delle risorse necessarie alla Rai per l’erogazione del servizio pubblico, che era e resta un presidio essenziale per la nostra democrazia”.
La chiarezza ci sembra ci sia stata: è evidente che, almeno a parole, non vi sarebbe intenzione del Governo di ridurre le risorse complessive della Rai, ma la Presidente della Vigilanza non ritiene evidentemente grave la tendenziale modificazione del modello di finanziamento (da canone a fiscalità generale). Forse non ha avuto chance di leggere i rapporti e gli studi dell’European Broadcasting Union (vedi supra).
Sandro Ruotolo (Pd): “il Governo vuole una Rai ridimensionata”. Maurizio Gasparri (Forza Italia): “taglio apparente del canone”
Oggi pomeriggio (martedì 17) il responsabile per il settore cultura e media del Partito Democratico ha dichiarato che si tratta di “400 milioni in meno”, perché il Governo vuole ridimensionare la Rai”. Così Sandro Ruotolo, Responsabile Informazione per la Segreteria Schlein: “la maggioranza di governo vuole un servizio pubblico ridimensionato. Altrimenti non avrebbe senso la decisione scritta in manovra di ridurre di 20 euro il canone. Con l’approvazione della manovra economica, sarebbero 400 milioni di euro in meno tolti alla gestione ordinaria della Rai. L’impegno del ministro Giorgetti a recuperare le risorse dalla fiscalità generale lascia il tempo che trova, perché quei soldi non potranno che essere impiegati solo per gli investimenti”.
Il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri (componente della Commissione di Vigilanza Rai) sostiene invece che si tratta soltanto di un “taglio apparente” del canone.
Non si è espresso il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano (Fratelli d’Italia): eppure la Rai è o non è la maggiore “industria culturale” del Paese?!
La deriva della Rai così continua: ancora più deficitario il suo possibile ruolo di agente di sensibilizzazione psicosociale e di alfabetizzazione digitale
Con questa decisione assunta dalla coppia Salvini & Giorgetti (il primo incarnando le vesti di “poliziotto cattivo” ed il secondo quelle del “poliziotto buono”?!), la deriva della Rai continua, a tutto vantaggio delle emittenti televisive commerciali e finanche delle piattaforme. Ieri sera i manager di Mediaset e de La7 così come di Discovery e finanche Sky e Netflix, avranno brindato alla ulteriore degenerazione mercatista di Viale Mazzini, sempre più debole anche nelle risorse economiche…
Il ruolo del servizio radiotelevisivo e multimediale italiano viene indebolito, sia nella sua funzione di strumento di rappresentazione di una società plurale, sia nella sua funzione di strumento di alfabetizzazione digitale.
Un esempio di questa grave lacuna?!
Quanta attenzione ha dedicato la Rai ai due recentissimi casi di suicidio di giovani, in qualche modo connessi al profondo disagio strisciante che attanaglia gli italiani, sempre più storditi da “social media”?!
Le due notizie – non direttamente collegate tra loro, se non per la dimensione della amplificazione “social” – hanno incredibilmente provocato assai poca attenzione anche da parte dei media “mainstream” (anzitutto i quotidiani ancora editi su carta), ma sono sintomatiche del malessere profondo che attanaglia i giovani.
Nell’arco di pochi giorni, si suicidano un 12enne a Roma ed un 23enne a Bologna: epifenomeni di un disagio psicosociale strisciante e devastante
Una settimana fa, un dodicenne si è buttato dalla finestra a Roma, a piazza dei Mirti a Centocelle: notizia relegata in “cronaca”, parrebbe che si trattasse di un ragazzo studioso, anzi di un allievo modello, benvoluto dai compagni… Secondo alcune voci – poi smentite dalla preside – avrebbe litigato con i genitori per un brutto voto scolastico… Da segnalare che il suicidio è stato pubblicato sui “social” da alcuni ragazzi che lo hanno visto buttarsi dalla finestra, anche se i Carabinieri hanno presto bloccato l’ulteriore disseminazione “virale” del video.
L’indomani una notizia altrettanto tragica (questa rilanciata un po’ dai media, ma certo non in prima pagina), ovvero il suicidio (in diretta, anche se nel momento della morte la telecamera non era rivolta su di lui), in quel di Bologna, di un ventitreenne assai attivo su TikTok (quasi 300.000 “follower”), Vincent Plicchi divenuto una celebrità (mascherata) sui “social” col nome di “Inquisitor Ghost” ovvero “Inquisitor3”. Il riferimento è a uno di protagonisti del videogame di guerra “Call of Duty”, e qui si potrebbe aprire un discorso sulle conseguenze negative dei videogame. Indossava la maschera da teschio con gli occhi vuoti del soldato Ghost (ovvero quella dei Sith di “Guerre Stellari”, volendo fare riferimento ad altro testo sacro della cultura pop mediatica contemporanea), essendo anche un attivo “cosplayer”. Secondo il padre del suicida, Vincent sarebbe stato contattato online da una ragazza turca, che si è offerta di collaborare con lui, mentre in verità avrebbe orchestrato una trappola (con la complicità del fidanzato), fingendosi maggiorenne, trascinando Vincent in una conversazione spinta (che pure non sarebbe mai andata oltre frasi come “ti amo” o “sposami”), per poi rivelare di avere 17anni e quindi accusarlo, sul web, di molestie. La vicenda viene amplificata dalla rete, ed alcuni “leoni da tastiera” accusano Vincent di pedofilia ed il giovane non regge lo shock. Si tratta di un caso di “cyberbullismo” (e finanche “sexting”) o comunque di uso degenerato dei “social media”. Secondo l’avvocato della famiglia Daniele Benfenati, si tratta di un caso eclatante di suicidio istigato da un movente sconcertante: i “like” su TikTok. Ovvero la tempesta di insulti “social” (le cosiddette “shitstorm”), una nuova forma di gogna mediatica, che ha sconvolto il ragazzo.
Rispetto a dinamiche di questo tipo, la Rai non dovrebbe assumere un ruolo centrale di agente di sensibilizzazione psicosociale, oltre che di alfabetizzazione digitale?!
Casi così drammatici non meriterebbero degli “speciali” da trasmettere in prima serata su Rai 1, e finanche – sia consentito – … a reti unificate?!
In assenza, peraltro, di iniziative di sensibilizzazione per un uso sano dei “social media” da parte delle scuole italiane: se l’Italia fosse un Paese serio, dovrebbero essere inserite obbligatoriamente almeno 2 ore a settimana di “educazione digitale”, fin dalle elementari per arrivare al liceo. La prevenzione dovrebbe iniziare giustappunto sui banchi di scuola.
Ha scritto ieri l’esperto Umberto Rapetto (su Giano.news): “se il fatto di cronaca stordisce, il malessere giovanile di vittime e carnefici dovrebbe invitare ad una più profonda riflessione, mentre la pericolosità dei social potrebbe finalmente indurre a sviluppare un piano socioeducativo che però forse non porta voti e quindi non interessa alla politica… Il disagio dei seviziatori telematici è semplicemente il rovescio della stessa medaglia. Il degrado delle nuove generazioni – facilmente imputabile ad una tv sempre più diseducativa e ad uno sconsiderato uso di dispositivi elettronici di comunicazione e intrattenimento – è sconfortante”. E conclude, saggiamente: “senza cadere nel complottismo, va riconosciuto che sullo sfondo c’è lo sconvolgente disegno di demolizione della civiltà occidentale. L’ipnosi collettiva operata attraverso le piattaforme social e il compulsivo utilizzo dello smartphone ha fatto assaporare la fruizione di contenuti in mobilità e tante altre belle cose, ma al contempo ha fratturato irrimediabilmente le relazioni interpersonali, spento l’iniziativa, ridotto la produttività, fatto sprofondare nel baratro dell’inutilità. È una guerra che i cinesi, che “esportano” TikTok ma ne limitano l’uso a casa propria, hanno già vinto”.
Due suicidi di giovani in pochi giorni: non sono questi evidenti segni di una emergenza nazionale?! E la Rai raccoglie margherite…
Altro che… “piano socio-educativo” invocato da Umberto Repetto!
Invece, Viale Mazzini che fa?!
Relega programmi di qualità in orari da vampiro… Ha quasi paura di mettere in onda trasmissioni “critiche”: resta eclatante il caso della censura nei confronti della eccellente serie “Mental” (diretta da Michele Vannucci, sceneggiatura firmata da Laura Grimaldi e da Pietro Seghetti), che non ha avuto il coraggio di trasmettere sulle reti generaliste, relegandola alla nicchia di RaiPlay: ne abbiamo scritto più volte: vedi tra l’altro “Key4biz” del 22 gennaio 2021, “Perché la riforma della Rai è finita nel dimenticatoio?”)…
E, ancora, con la solita logica della “foglia di fico” sulle proprie ignobili nudità, promuove iniziative di ricerca che, pur valide in sé, non riescono ad ottenere nemmeno un trafiletto sui giornali: ultimo il caso dello studio “L’era del Disagio”, promossa dall’agenzia di comunicazione e Inc – Non Profit Lab (Pr Agency Content First), realizzata da AstraRicerche, con il patrocinio giustappunto della Rai, ovvero specificamente di Rai Per la Sostenibilità-Esg (la direzione affidata a Roberto Natale, la struttura già nota come “Rai per il Sociale”; “esg” sta – ahinoi – per “Environmental” ovvero ambiente, “Social” ovvero società, e “Governance”), presentata a Viale Mazzini lunedì della scorsa settimana 9 ottobre. Insonnia, ansia, depressione, apatia, attacchi di panico e disturbi dell’alimentazione sono i principali problemi.
Il disagio psicologico riguarda 6 italiani su 10 e colpisce soprattutto donne e “Generazione Z”.
Più precisamente, i sei problemi più ricorrenti di cui dichiarano di aver sofferto i nostri connazionali sono: i disturbi del sonno (32 %), varie forme d’ansia (32 %), stati di apatia (15 %), attacchi di panico (12 %), depressione (12 %) e disturbi dell’alimentazione (8 %).
Altri dati, assolutamente inquietanti, che emergono dallo studio: il benessere psicologico collettivo degli italiani, sarebbe minacciato da: il forte stress da lavoro o da disoccupazione, se non si riesce a trovarlo (47 %); il bullismo e la violenza, fisica e verbale (42 %); la dipendenza dalla tecnologie e dai social media (36 %); il timore di abusi sessuali e violenza di genere (31 %); la mancanza di accesso ai servizi sanitari di tipo psicologico e psichiatrico (31 %); infine, alcune gravi forme di discriminazione come il razzismo, l’omofobia ed il sessismo (28 %).
Un “teenager” su 10 assume psicofarmaci senza ricetta medica: e la Rai resta a guardare, ovvero raccoglie margherite… sostiene ricerche che non registrano alcuna ricaduta mediatica… mette in onda trasmissioni valide in orari sepolcrali…
Così operando, Viale Mazzini pensa di liberarsi la coscienza, e si autoassolve rispetto ai propri deficit?!
Su queste tematiche delicate e strategiche per il Paese, la Rai mette in atto non 1 decimo di quel che potrebbe, ma forse nemmeno 1 centesimo (anche in termini di budget allocato a queste iniziative, sia a livello di informazione giornalistica, sia di produzione di contenuti originali).
Dinamiche insomma – ci si consenta la metafora – à la Ponzio Pilato.
Nel nostro Paese, l’11 % dei ragazzi di età compresa tra 15 e 24 anni assume psicofarmaci senza una prescrizione: lo fanno per dormire, per dimagrire, per essere più performanti negli studi (una sfida che preoccupa e inquieta molti giovani). Se stringiamo l’attenzione sugli studenti, la percentuale di quanti cercano un “aiutino” negli psicofarmaci cresce fino a oltre il 18 % del totale…
E la Rai resta a guardare, anzi si gira dall’altra parte. Ed invita Fabrizio Corona a portar testimonianza del suo modello di vita.
Mentre Matteo Salvini sorride, tutto compiaciuto per la riduzione dell’“odioso” canone.
Altro che… “sovranismo culturale”!
Anche rispetto al… “disagio psicosociale” (ed ai modelli culturali dominanti… alla omologazione imperante rispetto ai modelli dell’ultra capitalismo digitale… allo strapotere crescente di TikTok nell’immaginario giovanile… alla pornografia che dilaga sul web…), il Governo è assente, e la Rai resta sostanzialmente inerte.
Clicca qui per il rapporto di ricerca Inc, in collaborazione con AstraRicerche, patrocinato da Rai – Rai per la Sostenibilità – Esg, “L’era del disagio. Il male oscuro dei nostri tempi e le istanze del terzo settore”, presentata a Roma, Viale Mazzini, il 9 ottobre 2023.
[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.