Riportiamo di seguito l’intervento del Commissario Agcom Antonio Martusciello al seminario “Review del quadro comunitario in materia di comunicazioni/audiovisivo” che si è tenuto il 19 novembre a Roma nell’ambito di Eurovisioni.
Nella politica dell’Unione europea il settore audiovisivo riveste una duplice natura: da un punto di vista culturale esso è espressione di creatività e identità ed elemento importante per la promozione della democrazia e del consolidamento del processo d’integrazione dei Paesi Ue; da un punto di vista economico è in grado di generare posti di lavoro e ricchezza sociale, creando un fattore aggiunto in termini di crescita e prosperità, a cui si aggiunge l’enorme potenziale di sviluppo connesso all’economia digitale.
Credo che dobbiamo partire da questi dati per comprendere l’importanza del processo di Review del quadro comunitario che la Commissione ha presentato a maggio di quest’anno nell’ambito della strategia per il Digital Single Market.
Un percorso ben sintetizzato dalle parole del Commissario Oettinger che ha dichiarato: “Stiamo andando verso economie e società digitali. La prosperità futura dipenderà in larga misura da come avremo affrontato questa transizione. L’Europa dispone di punti di forza su cui far leva, ma deve ancora lavorare molto, in particolare per assicurarsi che le industrie si adeguino e i cittadini sfruttino appieno il potenziale dei nuovi servizi e beni digitali. Dobbiamo prepararci per una società moderna e presenteremo proposte che sapranno trovare un equilibrio tra gli interessi del consumatore e quelli dell’industria”.
I pilastri del Digital Single Market
La strategia della Commissione europea per lo sviluppo del Digital Single Market poggia su tre pilastri: migliorare l’accesso ai beni e servizi digitali nello spazio economico europeo a beneficio di consumatori e imprese; creare un contesto favorevole affinché le reti e i servizi innovativi possano svilupparsi; massimizzare il potenziale di crescita dell’economia digitale.
Come autorità di regolamentazione “convergente” Agcom è interessata a tutte le azioni descritte, in quanto compito della regolamentazione è quello di accompagnare i processi di trasformazione e di convergenza in atto nell’ottica di massimizzare il benessere dei consumatori, di creare condizioni concorrenziali sostenibili nel tempo e di incentivare investimenti efficienti, chiavi di volta di ogni intervento mirato a elevare la competitività del sistema produttivo, a stimolare la crescita e a generare processi di sviluppo ed innovazione.
Nell’ambito della strategia europea, la Review del quadro comunitario in materia di media audiovisivi e di comunicazione elettronica rappresenta uno snodo cruciale. Se il processo di integrazione tra tv e Internet offre ai cittadini un’ampia scelta di servizi, facendo assumere loro un ruolo sempre più attivo nel nuovo sistema digitale, allo stesso tempo, fa emergere una serie di nodi problematici che giustificano la crescente attenzione dei regolatori, nazionali e comunitari, sull’impatto di tali fenomeni e li impegnano a definire un livello di regolamentazione omogeneo per i vari servizi offerti sulle varie piattaforme e ad incentivare la rimozione delle barriere tecnologiche, economiche e giuridiche.
Una regolamentazione dei media audiovisivi adeguata al XXI secolo
Il Mercato Unico Europeo per i servizi di media audiovisivi è nato nel lontano 1989 con l’adozione della direttiva “Tv senza Frontiere”. Quale era l’obiettivo di fondo della direttiva? La creazione di un quadro di armonizzazione delle legislazioni dei singoli Stati membri attraverso l’introduzione di un set minimo di norme comuni, per facilitare la fornitura di servizi audiovisivi transfrontalieri in tutta l’Unione europea ed assicurare la protezione di importanti obiettivi strategici quali la promozione delle opere europee e della produzione indipendente, la protezione dei consumatori dall’eccessiva influenza della pubblicità, la tutela dei minori dai contenuti nocivi.
Dopo un primo intervento di parziale adeguamento avvenuto nel 1997 (direttiva 97/36/CE), la direttiva ha subìto una modifica più strutturale nel 2007 allineandosi allo sviluppo tecnologico nel frattempo intervenuto e mutando il nome in “Direttiva sui servizi di media audiovisivi”. La nuova normativa ha tuttavia mantenuto gli obiettivi di fondo che ne avevano ispirato la nascita: la libera circolazione dei prodotti audiovisivi si configura infatti come un importante strumento del mercato interno che riflette il diritto alla libertà di espressione e d’informazione sancito dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
I tratti salienti della direttiva del 2007 (poi codificata nel 2010) sono l’estensione del campo di applicazione a tutti i servizi audiovisivi lineari e non lineari e l’introduzione di un doppio livello di tutela. Infatti, sul presupposto del maggior livello di controllo dell’utente sui contenuti non lineari e del minor impatto che essi producono sulla società, i servizi VOD godono di una normativa più “leggera”, mentre le trasmissioni lineari sono soggette a requisiti più rigorosi in materia di pubblicità, tutela dei minori e rispetto delle quote europee.
La direttiva AVMS ha, inoltre, mantenuto inalterato il principio del “paese d’origine”, il che significa che ciascun servizio – lineare o non lineare – deve essere conforme alle norme del Paese europeo in cui l’editore ha stabilito la propria sede e che l’applicazione di tali norme è esclusiva responsabilità di quel Paese.
Negli oltre 25 anni di applicazione le direttive in materia di audiovisivo hanno avuto il pregio di contribuire alla creazione e allo sviluppo di un mercato unico europeo dei servizi di media, attraverso una maggiore uniformità di regole da parte degli Stati membri ed un quadro giuridico stabile a beneficio di consumatori e imprese.
Oggi però lo scenario è talmente cambiato da richiedere un profondo ripensamento della regolamentazione esistente. Non è un caso che la Commissione europea abbia inserito la revisione della direttiva sui media audiovisivi all’interno di un quadro molto più articolato, che prevede anche una valutazione delle piattaforme e degli intermediari online, dato il ruolo sempre più centrale assunto da tali servizi nella distribuzione di contenuti audiovisivi, nonché la revisione delle direttive sui servizi di comunicazioni elettroniche.
Questo cambio di passo della regolamentazione non comporta la rinuncia agli obiettivi strategici della legislazione sui media, che ancora oggi conservano intatta la loro attualità, bensì la ricerca del modo migliore per continuare a garantirli con efficacia nel contesto delle nuove soluzioni tecnologiche e di mercato.
Come Agcom abbiamo quindi aderito con molto interesse alla consultazione pubblica sulla revisione della direttiva AVMS lanciata dalla Commissione europea, condividendo i cinque obiettivi prioritari individuati nel documento di consultazione:
- a) garantire condizioni di parità per i servizi di media audiovisivi
- b) fornire un livello ottimale di tutela dei consumatori
- c) assicurare la tutela dell’utente e il divieto di incitamento all’odio e di discriminazione
- d) promuovere il contenuto audiovisivo europeo
- e) rafforzare il mercato unico
Garantire parità di condizioni
Vorrei partire dal level playing field che, a mio avviso, costituisce l’aspetto più importante del processo di revisione della legislazione vigente, tale da influenzare tutti i restanti obiettivi.
Su questo non partiamo da zero. Infatti la direttiva AVMS, già nell’attuale formulazione, si ispira ai principi della libera concorrenza e della parità di trattamento soffermandosi sull’importanza di avere condizioni di concorrenza omogenee per la creazione di un autentico mercato europeo dei servizi di media. Come chiarisce il “considerando” 24 della direttiva: “La caratteristica dei servizi di media audiovisivi è di essere comparabili ai servizi televisivi, vale a dire che essi sono in concorrenza per il medesimo pubblico delle trasmissioni televisive e, date la natura e le modalità di accesso al servizio, l’utente sarebbe ragionevolmente portato ad attendersi una tutela normativa nell’ambito della presente direttiva. In considerazione di ciò e al fine di impedire disparità riguardo alla libera circolazione e alla concorrenza, il concetto di programma dovrebbe essere interpretato in maniera dinamica per tenere conto degli sviluppi della radiodiffusione televisiva”.
Tuttavia, nonostante la direttiva si basi su un concetto dinamico ed evolutivo della nozione di “programma”, l’aver escluso esplicitamente dal suo campo di applicazione “i contenuti ospitati da piattaforme e intermediari online per la condivisione di video” ed i servizi internet “nei quali il contenuto audiovisivo è meramente incidentale e non ne costituisce la finalità principale”, ha finito per determinare, di fatto, la fuoriuscita dei nuovi servizi offerti via Internet dal perimetro della regolamentazione ed il verificarsi di numerose asimmetrie normative tra servizi che nel tempo si sono sempre più dimostrati “in concorrenza per il medesimo pubblico delle trasmissioni televisive “.
Tutte le indagini di settore, compresa la nostra indagine conoscitiva sulla “TV 2.0 nell’era della convergenza”, sono concordi nel ritenere che, alla luce del processo di convergenza in atto, si è determinato un forte incremento del grado di concorrenza e di sostituibilità tra i servizi della televisione tradizionale e quelli offerti via Internet, in conseguenza del quale non sembra più attuale l’applicazione di un diverso regime giuridico a queste due tipologie di offerta.
Il tema dell’asimmetria regolamentare emerge con chiarezza in molteplici fattispecie, si pensi ad esempio alla tutela dei minori o alla pubblicità: ciò che è rigidamente vietato nelle trasmissioni broadcast, è invece consentito su Internet.
Con riferimento alla pubblicità c’è anche il profilo che riguarda lo scambio tra servizi online (motori di ricerca, social network, piattaforme distributive di contenuti) e dati personali degli utenti, i quali non hanno la consapevolezza del patto implicito tra chi offre il servizi e chi cede i propri dati in cambio di ulteriori servizi e pubblicità. Questo scambio è tendenzialmente sconosciuto all’attuale disciplina normativa e se non adeguatamente disciplinato rischia di influire sia sulla tutela del consumatore, con riferimento ai profili di privacy e trasparenza, sia sotto l’aspetto concorrenziale.
Altro esempio concreto dell’asimmetria fra chi fornisce servizi analoghi su piattaforme diverse è rappresentato dagli obblighi di programmazione e investimento in opere europee di produttori indipendenti che oggi gravano sui broadcasters e in misura molto minore sugli OTT (peraltro solo su quelli stabiliti nel territorio europeo).
Ritengo, quindi, che, se vogliamo rispettare i principi fondamentali del mercato interno e contribuire al suo rafforzamento, sia ormai necessario introdurre una effettiva parità di trattamento tra i servizi di media tradizionali e gli emergenti servizi di media.
Ciò comporta sia l’esigenza di eliminare l’attuale differenza di regolamentazione tra servizi lineari e non lineari, che alla luce dello sviluppo tecnologico non risulta più ragionevole mantenere, sia quella di allargare il perimetro di applicazione della direttiva a tutti quei servizi online che, al di là delle definizioni utilizzate, sotto il profilo sostanziale sono ormai in diretta concorrenza con la televisione perché rispondono alle medesime logiche di “informare, intrattenere ed istruire” dei mass media tradizionali.
Mi riallaccio, a tale proposito, alla recente sentenza della Corte di Giustizia UE del 21 ottobre scorso, la quale ha sancito che rientra nella nozione di “programma”, ai sensi della direttiva 2010/13/UE, la messa a disposizione, in un sottodominio del sito Internet di un quotidiano online, di filmati di breve durata estratti da notizie locali, sportive o di intrattenimento.
La Corte, nel precisare che lo scopo della direttiva è quello di applicare, in un mondo mediatico particolarmente concorrenziale, le stesse norme ad operatori che si rivolgono allo stesso pubblico ed evitare che servizi come la raccolta di filmati online possano fare concorrenza sleale alla televisione tradizionale, ha chiarito che un servizio audiovisivo non deve essere sistematicamente escluso dall’ambito di applicazione della direttiva per il solo fatto di provenire da un sito online.
Secondo la Corte, il livello di tutela riconosciuto dalla direttiva ai consumatori “non può dipendere dal fatto che un medesimo contenuto televisivo venga offerto da un’impresa per la quale tale contenuto riveste soltanto un ruolo secondario”. Si deve, infatti, “privilegiare un approccio sostanziale…nell’esaminare se il servizio in questione abbia, in quanto tale ed indipendentemente dal contesto nel quale viene proposto, come obiettivo principale quello di fornire un programma al fine di informare, intrattenere o istruire il grande pubblico”.
In questo senso la direttiva sui servizi di media audiovisivi deve potersi applicare a tutti i nuovi servizi che circolano e si diffondono attraverso la rete. La tutela della dignità delle persone, della sensibilità dei minori, il rispetto dei principi fondanti dell’Unione, quali il pluralismo e la tutela del patrimonio culturale devono trovare appropriato riconoscimento, anche nell’ottica della tutela del diritto del consumatore.
Infatti, con l’avanzare dei processi di convergenza le specificità delle diverse tecniche trasmissive si sono ridotte e le singole piattaforme che offrono contenuti si differenziano, ormai, in base al device utilizzato per la ricezione e per il grado di interattività. Ciò determina una difficoltà del consumatore nel distinguere la piattaforma da cui proviene il contenuto, non avendo questi una chiara visione delle regole applicabili, comportando una concreta ipotesi di consumers’ harm.
E’ pertanto necessario pervenire ad un approccio tecnologicamente “neutro”, che tenendo conto dell’evoluzione dei modelli di visione e di distribuzione dei contenuti, possa garantire una maggiore possibilità di scelta per i consumatori e al tempo stesso assicurare loro una effettiva tutela. E’ la concorrenza effettiva e non i differenti modelli di business o le differenti tecnologie a definire il livello di regolamentazione adeguato e a determinare il miglior livello di protezione del consumatore nell’ambito delle piattaforme.
Il concetto di responsabilità editoriale
L’altra leva sulla quale agire è il concetto di “responsabilità editoriale”. I servizi media audiovisivi sono garantiti da un soggetto (il fornitore di servizi media) su cui grava il concetto di “responsabilità editoriale”. La responsabilità editoriale, stabilita dalla Direttiva, individua il soggetto tenuto a determinati obblighi, mentre al netto di questa responsabilità, attribuita a tutela dei cittadini-consumatori, diventa difficile per il regolatore attuare azioni positive nei confronti di soggetti che, pur operando nel settore della diffusione dei contenuti, si trovano in un’area grigia della regolazione.
Oggi l’ambito di “responsabilità” dei provider online di contenuti è disegnato dalla Direttiva eCommerce, che prevede un sistema di “eccezioni” a “certe condizioni”. Essenzialmente i providers non sono responsabili dei contenuti che trasportano a condizione che siano “indifferenti” alle informazioni caricate da altri e che il loro ruolo sia meramente tecnico, automatico e passivo.
La Direttiva sul commercio elettronico risale ormai al lontano 2001 e, dinanzi alle attività che svolgono attualmente i fornitori di servizi online, l’“indifferenza” appare sempre più inesistente. Molte delle piattaforme oggi disponibili hanno impostato i propri business model non certo sull’estraneità ai contenuti che trasportano ma su un’accorta organizzazione e presentazione degli stessi, affinché possano essere facilmente rintracciabili dagli utenti ed affiancati da altre informazioni di loro interesse.
I ricavi di cui vivono queste piattaforme sono gli stessi di cui vivono i broadcaster, cioè i ricavi da vendita pubblicitaria e l’obiettivo per il quale competono è sempre lo stesso: catturare il tempo del telespettatore. Appare quindi necessario bilanciare la pressione regolamentare tra i fornitori di servizi di media audiovisivi e gli altri players.
Apprezziamo dunque lo sforzo della Commissione che ha annunciato una valutazione esaustiva del ruolo svolto dalle piattaforme e dagli intermediari online da svolgere in parallelo alla revisione della Direttiva AVMS , ma riteniamo non più rinviabile una revisione della Direttiva sul commercio elettronico in modo definire in maniera più puntuale il ruolo degli operatori che, pur non essendo a stretto rigore titolari di “responsabilità editoriale” ex ante , influiscono non di meno in maniera sensibile sulla gestione dei contenuti e, in tal senso, agiscono alla stessa stregua dei broadcaster.
Il principio del Paese d’origine e l’impatto sul mercato unico europeo
L’attuale Direttiva si basa sul “principio del paese d’origine” in quanto i servizi di media audiovisivi hanno una natura “transfrontaliera” che mal si concilia con il concetto di stabilimento in un determinato Stato membro. Nell’ambito dei servizi Internet, tuttavia, il principio risulta di difficile applicazione perché le caratteristiche della Rete, a differenza delle trasmissioni su frequenze terrestri o via satellite, non permettono agevolmente di individuare il punto di origine. Inoltre, la direttiva si applica agli operatori che sono stabiliti in Europa, mentre per quelli situati extra- UE, come nel caso degli OTT statunitensi, risulta pressoché impossibile l’assoggettamento alle normative valide in ambito UE, nonostante i loro servizi siano diretti agli utenti europei.
La tendenza dei colossi di Internet a stabilirsi in Paesi diversi da quelli in cui operano per aggirare i sistemi normativi più severi è un fenomeno molto diffuso, (ad esempio nel campo del video on-demand), che non ha solo ricadute fiscali negative: gli obblighi a cui tali soggetti si sottraggono riguardano anche le quote di programmazione e investimento in produzione europea indipendente, la concorrenza in campo pubblicitario, le norme a tutela dei minori.
E’ allora necessario estendere l’ambito di applicazione della direttiva sui media audiovisivi ai servizi che sono stabiliti extra-UE, ma che si rivolgono con una rilevante quota di mercato al pubblico europeo, per garantire che tali servizi siano tenuti al rispetto dei principi, delle garanzie e delle tutele previsti dalla Direttiva sui media audiovisivi.
Si rende, inoltre, opportuno un ripensamento dell’applicazione del criterio del “paese d’origine” per i servizi offerti sul web, per i quali la soluzione regolatoria più adeguata appare quella del “paese di destinazione”. Il country of origin consente infatti ad operatori che hanno stabilito la loro sede in uno Stato fuori dall’Europa, o in un altro Stato membro, di rivolgersi agli utenti di un certo Stato membro offrendo servizi in competizione con quelli offerti dagli operatori nazionali, ma usufruendo di regole molto diverse.
In mancanza di una forte armonizzazione che restringa la discrezionalità applicativa dei diversi Stati membri è, dunque, auspicabile un nuovo e diverso approccio al fine di creare una regolazione che assicuri condizioni di equa concorrenza ai diversi competitor di uno stesso mercato geografico.
Promuovere il contenuto audiovisivo europeo
La diversità culturale rappresenta uno degli elementi costitutivi dell’Europa unita, tant’è che il motto dell’Unione è “Unità nella diversità”. Tale esigenza si riscontra soprattutto nel settore della produzione audiovisiva il quale, per le caratteristiche di patrimonio e memoria dei sistemi culturali e storici, di specchio della vita stessa dei cittadini, lungi dal costituire solo mero intrattenimento, rappresenta un elemento che connota le identità nazionali e linguistiche dei vari Paesi.
Uno dei principali obiettivi della Direttiva AVMS è quello della promozione delle opere europee e dei produttori indipendenti al fine di tutelare la diversità culturale dell’UE.
Secondo le valutazioni della Commissione, l’applicazione della normativa sulle quote europee è stata sino ad oggi soddisfacente ed omogenea per quanto riguarda le trasmissioni televisive lineari, mentre per i servizi a richiesta, per i quali la Direttiva concede agli Stati membri la possibilità di scegliere tra varie alternative possibili (contributi finanziari alla produzione o all’acquisto o norme che garantiscono la presenza di una certa quota e/o la preminenza di opere europee nei cataloghi), si rileva uno sviluppo non uniforme dei mercati dei singoli Paesi derivante anche dalle diverse modalità con le quali la norma è stata recepita nelle legislazioni nazionali.
La revisione della Direttiva costituisce, dunque, un’importante occasione per verificare l’effettività delle norme sulla promozione di opere europee e di produttori indipendenti alla luce degli sviluppi della tecnologia e del fenomeno della convergenza.
Sulla produzione audiovisiva l’Autorità ha da poco concluso un’indagine conoscitiva nata dalla necessità di comprendere se le attuali regole abbiano contribuito a rafforzare l‘industria nazionale ed europea in un panorama di domanda ed offerta sempre più caratterizzato da una dimensione internazionale e competitiva. Dall’indagine sono emersi interessanti elementi che ci inducono ad una attenta riflessione.
Una prima considerazione è che la differenziazione esistente tra servizi lineari e servizi non lineari alla luce dell’attuale sviluppo non sembra più giustificarsi. Il settore audiovisivo è profondamente mutato rispetto all’epoca di emanazione della Direttiva, ed è caratterizzato da una estrema parcellizzazione e specializzazione dei contenuti che si riflette nelle preferenze espresse dagli utenti quale conseguenza delle mutate condizioni di fruizione dei contenuti audiovisivi.
La questione che si pone è dunque quella di trovare un giusto bilanciamento tra le diverse esigenze degli attori che operano nella filiera produttiva, favorendo dinamiche concorrenziali di incontro tra la domanda e l’offerta e assicurando una sempre maggiore diffusione delle opere prodotte a livello UE. La soluzione va cercata nell’adozione di un approccio normativo e regolamentare maggiormente flessibile che coniughi il rispetto della tutela accordata alla produzione europea e indipendente con le peculiarità del sistema televisivo odierno.
Nello stesso tempo è utile pervenire ad una maggiore armonizzazione delle discipline nazionali sugli strumenti di promozione delle opere europee in quanto, in mancanza di uniformità, è giocoforza che le normative nazionali prevedano sotto-quote specifiche per le opere nazionali (variamente definite) rischiando così di frammentare ulteriormente il mercato europeo e introducendo elementi di squilibrio nella competizione tra operatori stabiliti nei diversi stati membri.
Infine, rileva anche per il settore della promozione della produzione europea, il tema delle asimmetrie regolamentari tra operatori televisivi tradizionali ed operatori via Internet che sfuggono all’applicazione della Direttiva. Asimmetria che in questo momento può determinare un forte sbilanciamento del mercato a favore degli OTT extra-europei la cui concorrenza diventa sempre più agguerrita, drenando risorse economiche agli operatori televisivi tradizionali, su cui gravano i maggiori obblighi, e diminuendo l’efficacia dell’azione a tutela della diversità culturale e della produzione europea.
La revisione della Direttiva può quindi costituire l’occasione per eliminare le criticità rilevate, individuando un quadro armonizzato volto a ristabilire il level playing field tra soggetti che forniscono contenuti e si rivolgono allo stesso pubblico, con il fine ultimo di fornire una più efficace azione di tutela al mercato unico e al pluralismo culturale europeo.
Conclusioni
Ci sono tutte le premesse per procedere ad una riconsiderazione di fondo dell’assetto e del regime giuridico dei servizi audiovisivi nel nuovo contesto che si sta delineando in ambito comunitario. L’occasione della revisione del quadro comunitario in materia di media audiovisivi e di comunicazione elettronica è unica e non va sprecata.
I tempi sono maturi affinché i regolatori trovino le giuste risposte alle due macro-tendenze che stanno ridisegnando i confini e gli equilibri del settore delle comunicazioni digitali: la convergenza e la globalizzazione.
Sono tendenze, ormai irreversibili, che richiedono una regolamentazione uniforme con un approccio olistico, anche alla luce dell’ingresso dei nuovi operatori del mercato provenienti da Paesi terzi. In un mondo che converge serve la convergenza delle regole perché le asimmetrie regolamentari distorcono la concorrenza. Non mi riferisco solo al rapporto tra broadcaster ed OTT, ma anche al rapporto tra questi ultimi e le telco.
E’ giusto dunque l’approccio della Commissione europea che va verso una profonda modifica dell’intero quadro normativo per realizzare un vero level playing field in grado di rafforzare il mercato unico digitale. L’obiettivo è quello di pervenire ad un giusto mix di regole attraverso la deregolamentazione di obblighi che risultano non più proporzionati nel nuovo sistema digitale e all’estensione ai nuovi soggetti di quell’insieme di valori fondamentali considerati oramai dei presidi irrinunciabili nell’offerta dei contenuti in ambito europeo.
Interessi fondamentali come la protezione dei minori e dei consumatori, la promozione della cultura e dell’identità nazionale ed europea, la salvaguardia della privacy, devono essere mantenuti anche nel nuovo ecosistema digitale, trovando soluzioni elastiche, sufficientemente resistenti ai mutamenti di medio/lungo periodo, magari meno orientate al dettaglio applicativo ma più attente al momento finale della fruizione da parte dell’utente, che rappresenta oggi il vero baricentro attorno al quale ruota il mercato convergente.
L’Autorità intende contribuire al processo di revisione delle regole attraverso la sua esperienza pluridecennale di “autorità convergente”. Oltre a partecipare attivamente alle consultazioni pubbliche lanciate della Commissione sulle questioni chiave della review del quadro comunitario, Agcom assicura una partecipazione di alto livello alle istanze europee che coadiuvano la Commissione nello sviluppo del progetto relativo al Digital Single Market: il Consiglio dell’Erga, per la revisione del settore audiovisivo, nel quale siedo in qualità di Commissario Agcom, ed il BEREC dove l’Autorità è coordinatrice del gruppo di lavoro sulla riforma delle comunicazioni elettroniche.
L’auspicio è quello di pervenire in tempi rapidi ed in maniera consapevole all’approvazione del nuovo quadro comunitario, affinché l’enorme potenziale di sviluppo connesso all’economia digitale possa finalmente spiegare tutti i suoi effetti anche in Europa, a beneficio di istituzioni, cittadini ed imprese.