Una osservazione a volo d’uccello di come i media italiani stanno affrontando l’incarico che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha affidato mercoledì della scorsa settimana 3 febbraio a Mario Draghi evidenzia una impressionante uniformità “media”, con toni che vanno dall’elogio, all’apologia, all’esaltazione, e finanche quasi-quasi alla santificazione: la quasi totalità dei giornalisti (anche le firme più titolate) sembrano inchinarsi di fronte ad una… maestà che nessuno o quasi vuole mettere in discussione.
Il sistema mediale “mainstream” sembra dare per scontato – come se fosse un processo fisiologico e non invece (come crediamo) patologico – che la politica abdichi di fronte alla tecnocrazia.
Queste considerazioni non hanno evidentemente carattere scientifico (andrebbe effettuata una analisi del “sentiment” con criteri metodologici accurati, a partire dalle rassegne stampa e delle rilevazioni su web), ma riteniamo di non sbagliare se stimiamo intorno all’1 per cento le voci “in dissenso”, a fronte di un polifonico coro unanime di consenso, che arriva veramente a quota 99 per cento.
Al punto tale che finisce per “far notizia” qualche “vox clamantis in deserto”, che pure non registra grande eco…
In particolare, alcuni osservatori attenti notano come una testata certamente vicina alla Santa Sede, qual è lo storico settimanale “Famiglia Cristiana”, abbia preso un po’ le distanze dal coro di consensi.
La Chiesa Cattolica fuori dal coro a favore di Draghi?
Il direttore di “Famiglia Cristiana”, Antonio Rizzolo, questa mattina ai microfoni di Radio Cusano Campus, è stato esplicito: “Mario Draghi? Non basta presentarsi come il salvatore della patria, contano i programmi. Sulla carta è bravissimo, vediamo poi all’atto pratico cosa saprà fare… Attendiamo i programmi… A parole son tutti bravi… Noi faremo la nostra parte nel richiamare le cose importanti: non trascurare i più deboli e non dimenticare le famiglie”. E venerdì scorso il teologo Pino Lorizio, della Pontificia Università Lateranense, aveva scritto proprio su “Famiglia Cristiana”: “aleggia, in queste convulse giornate di crisi sui diversi media, la domanda circa il rapporto fra la figura del presidente del consiglio incaricato Mario Draghi e la Chiesa italiana. Ci sono quanti sottolineano la compatibilità fra le vedute di ambo le parti, evocando ad esempio la formazione della persona nel Collegio Massimo dei gesuiti di Roma, la partecipazione al meeting di Rimini, la nomina a membro della Pontificia Accademia delle Scienze e la laurea honoris causa conferitagli dall’Università cattolica. Qualche riflessione teo-logica al riguardo non sarà fuori luogo, sia per chi si appresta a governare il Paese come per chi si riconosce nella forma cattolica della fede cristiana, che la Chiesa annuncia, celebra e vive nell’esercizio della solidarietà”. Il teologo segnala comunque che “la formazione in un collegio dei gesuiti non è certo garanzia di fedeltà al Vangelo”…
Segnali in codice, nell’economia politica e semantica della Santa Sede?! Forse, per i bergogliani, Draghi non incarna esattamente l’Uomo della Provvidenza…
Senza dubbio, contribuisce a rafforzare il coro di consensi trasversali, il duplice “u-turn” mostrato da due partiti politici che storicamente non hanno visto in Mario Draghi l’incarnazione del “Bene”, ovvero la Lega di Salvini ed il Movimento 5 Stelle: entrambi sembrano aver abbandonato le simpatie “sovraniste” ed “anti-europeiste” e dichiarano di voler accogliere l’offerta del Presidente incaricato. Il “dem” Nicola Zingaretti, addirittura rivendica di essere riuscito a convincere Matteo Salvini a convergere sulle tesi del partito di cui è Segretario nazionale: incredibile ma vero.
“Le cose cambiano”, ma un po’ troppo, e troppo in fretta?
In questo scenario, senza voler scomodare un drammaturgo eccelso come Luigi Pirandello, un po’ di fantasia letteraria ed audiovisiva stimolano la citazione dell’ottimo film diretto dal famoso drammaturgo David Mamet che si intitola “Le cose cambiano”, ed un buon cinefilo non può non citare “U-turn” (giustappunto) di Oliver Stone.
Negli ultimi giorni, comunque, le cose sono cambiate oggettivamente… un po’ troppo.
E troppo rapidamente.
Unica dissidente, tra i leader di partito, emerge Giorgia Meloni, che si è dichiarata contraria a questa novella “santa” (…) alleanza. Fratelli d’Italia non voterà a favore del nuovo possibile esecutivo “di unità nazionale”, anche se alcuni esponenti del partito hanno manifestato malumore. Mario Landolfi, ex ministro delle Comunicazioni (uno degli “ex colonnelli” di Gianfranco Fini), ha sostenuto: “oggi è come una guerra e ci sarà chi l’ha combattuta e chi no. Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia devono combatterla. Non appoggiare Draghi è un suicidio politico, è portare i voti nel frigo”.
Ci piace qui riportare il parere di alcuni dissidenti, da sinistra a destra, da Tomaso Montanari a Gianluigi Paragone…
Paragone (Italexit): “Draghi è un incappucciato della finanza”
Venerdì 5 febbraio, Gianluigi Paragone, fondatore del per ora micro-partito Italexit (fautore della fuoriuscita dell’Italia dall’Unione Europea; si ricordi che è stato direttore del quotidiano leghista “La Padania”, ma è stato eletto in Parlamento come M5S, partito dal quale è stato espulso nel gennaio 2020), ha sostenuto su Facebook a chiare lettere “Draghi sembra quasi un novello Padre Pio, ma è un incappucciato della finanza”, tesi rilanciata ieri domenica 7 soltanto dal quotidiano “Secolo d’Italia”. Il giorno prima Paragone aveva accusato Draghi di essere “al servizio delle élite”, sulle colonne del quotidiano romano “Il Tempo”, rivendicando di essere stato uno dei più fieri critici dell’ex Governatore della Banca d’Italia, anche durante la trasmissione televisiva “La Gabbia” (andato in onda dal settembre 2013 al giugno 2017 su La7; si ricordi che alcuni – tra cui Diego Fusaro – hanno sostenuto che sia stato chiuso non per i risultanti non esaltanti di audience, bensì perché si trattava dell’unica trasmissione, su un’emittente televisiva nazionale che criticava aspramente “i poteri forti”). Paragone sostiene che Draghi insiste sulla via neo-liberista che vuole una finanza sovrana sulla politica: “nel 1992, il banchiere è il costruttore intoccabile del Britannia, il panfilo inglese dove cominciò la maledetta stagione delle privatizzazioni… Ha dato vita all’architettura dei derivati ed è da sempre contiguo a ogni sistema di potere finanziario”.
Mario Draghi è stato senza dubbio allievo di Federico Caffè, ma in effetti ci sembra che la storia professionale del Presidente incaricato non sia esattamente coerente con una visione keynesiana dell’economia. Paragone sostiene che sarebbe stato lo stesso maestro Caffè a definire Draghi come “incappucciato della finanza”: non abbiamo validato la fonte, ma sarà opportuno approfondire…
In un lungo articolo sull’edizione odierna de “Il Tempo”, Gianluigi Paragone si domanda “M5S e Lega lo sostengono, ma i loro elettori li avrebbero votati lo stesso se lo avessero saputo?”. Ed osserva che “l’imbarazzante apologia di Draghi sta assumendo toni da Istituto Luce: i suoi compagni di classe, Giancarlo Magalli in testa; le partite a calcio, anche se preferiva il basket; la riservatezza della moglie; le paste che mangia, quando è al mare; i giornali che compra, la fila che fa al supermercato e «scoop» di questo tipo. Una propaganda talmente nauseante da domandarsi se questo è il trend del giornalismo che accompagnerà l’azione di governo”.
Paragone ha ragione: si ascolta un glorioso “magnificat”, privo di approccio critico.
Rare le voci perplesse rispetto a Draghi, si contano veramente sulla punta delle dita di una mano…
Varoufakis (ex Ministro delle Finanze greco): “Draghi seguirà i diktat della Troika”
Merita essere citata un’intervista a Yanis Varoufakis, ex Ministro delle Finanze del governo radicale di sinistra di Alexis Tsipras, a cura di Alessandro Gilioli direttore di “Radio Popolare”. Varoufakis, oggi deputato greco e leader del movimento paneuropeo Diem25, nel 2015 è stato protagonista di 13 incontri dell’Eurogruppo, da Ministro delle Finanze al culmine di una delle crisi più gravi vissute da un Paese europeo, una crisi sfociata nella vittoria, nel referendum del 5 luglio 2015, del “no” al piano di austerità voluto dalla Troika e nel licenziamento di fatto di Varoufakis per far ripartire le trattative… Domanda Gilioli: “lei ha conosciuto molto bene Draghi quando era ministro delle finanze in Grecia. Ci può dire che impressione le ha fatto dal punto di vista umano, ma soprattutto dal punto di vista della sua visione politica?”. Risponde Varoufakis: “umanamente Draghi è come tutti gli altri a Bruxelles e Francoforte, almeno per come lo ricordo all’Eurogruppo. Politicamente è al servizio dell’ordine finanziario. Tecnicamente è molto capace, e ha mostrato grandi capacità di capire cosa va bene e cosa no nella logica del servizio all’ordine finanziario e all’establishment. In questo senso è il premier ideale per l’Italia, se quello che voi veramente volete è implementare le politiche di Bruxelles e Berlino, e di fingere che il Recovery Fund è veramente la salvezza dell’Italia. Mentre non è altro che un pacchetto di debiti”.
Il direttore di “Radio Popolare” domanda se non ci siamo costruiti una “Troika” con le nostre stesse mani, e Varoufakis risponde: “non sarebbe la prima volta, è già successo con Mario Monti, un altro uomo intelligente il cui governo tecnico ha agito come voleva la Troika, altrimenti sarebbe arrivata la Troika vera e propria. È così che le cose funzionano nell’Eurozona, specialmente nei paesi vicini alla bancarotta, quelli che non sono sostenibili all’interno di questa unione monetaria, dove le decisioni politiche vengono dettate dall’estero, dai centri del potere finanziario e con il supporto entusiasta delle oligarchie locali, greche o italiane che siano, contro la grande maggioranza delle persone, del popolo… Draghi non sarà autonomo, come non lo era l’ex premier Monti. Dovrà riferire a partiti che ormai sono degli zombie, ma soprattutto a Bruxelles e Berlino”.
L’ex Ministro greco ipotizza anche una possibile grande latente ipocrisia istrionica del Draghi possibile Premier italico: “potrebbe anche avere una sembianza abbastanza keynesiana e socialdemocratica, in pubblico magari incolperà perfino Bruxelles, Francoforte e Berlino di non sostenerlo abbastanza, ma eseguirà tutti i loro imperativi”.
E conclude: “come democratico, voterei sempre contro un tecnocrate come Mario Draghi, è essenziale che noi difendiamo il diritto delle persone di scegliere chi le governa. E oltre a questo devo dire che personalmente ricordo bene quando Draghi è stato decisivo nella chiusura dei bancomat in Grecia, così da impedire che il popolo greco decidesse liberamente nel referendum in cui si decideva la posizione da tenere nei confronti di Bruxelles. Penso che ogni democratico in Italia debba opporsi al suo governo”. Questa intervista è stata ripresa soltanto da “Affari Italiani”, nell’edizione di venerdì 5 febbraio.
Montanari (Libertà e Giustizia): “Draghi, una stretta oligarchica”
Tomaso Montanari, storico dell’arte ed attivista ormai “a sinistra” dei grillini (anche con il movimento Libertà e Giustizia), ha sostenuto sul “il Fatto Quotidiano” di sabato 6: “Oggi resuscita Mario ‘Keynes’, ma è da illusi: il M5S gli dica no… Sergio Mattarella non ha scelto solo un non-politico di alto profilo che potesse coordinare un governo di unità nazionale. Non ha scelto solo l’“italiano più famoso nel mondo” cui un coro imbarazzante eleva da giorni una servile salmodia. No, ha scelto il simbolo dell’establishment internazionale che ha governato il mondo negli ultimi decenni, plasmandolo”. Montanari domanda al M5S di essere coerente con le proprie origini, e di evitare “una radicale sconfessione dell’eresia per cui il Movimento è nato, crescendo nei consensi proprio in opposizione all’ultimo governo “tecnico”, quello di Monti. Non fu antipolitica: fu la voglia di un’altra politica, in cui i cittadini tornassero a contare. L’arrivo di Draghi rappresenta una stretta oligarchica, e una svolta in senso esecutivista della democrazia”. L’appello di Montanari non sembra essere stato accolto dall’attuale “establishment” del M5S.
Il travaglio interno al Movimento 5 Stelle è evidente, ma è altresì evidente che Beppe Grillo e Davide Casaleggio hanno deciso di sostenere un esecutivo guidato da Draghi.
Di Battista (M5S): “assembramento parlamentare che è antitesi della Politica”
Ci si domanda se l’Oppositore Interno promuoverà una scissione nel Movimento, come apparirebbe naturale, a questo punto: oggi Alessandro Di Battista ha rinnovato la propria contrarietà, ed ha dichiarato, in un post, “sia chiaro, non ho dubbi che il Professor Draghi sia una persona onesta, preparatissima ed autorevole… questo non significa che lo si debba appoggiare per forza. Io contrasto Draghi non sul piano personale ma su quello politico. E, ripeto, non cambio idea. Oltretutto l’assembramento parlamentare che si sta delineando è l’antitesi della Politica. Ripeto. Si può rispettare un uomo anche facendo opposizione. Io la mia scelta l’ho presa, e vado fino in fondo”.
Ed è opportuno qui ricordare che a fine maggio 2018, in occasione del tentativo di formazione del primo esecutivo guidato da Giuseppe Conte, il Presidente Sergio Mattarella pose un veto sulla presenza di Paolo Savona come Ministro dell’Economia, in quanto ritenuto non sufficientemente europeista… Sostenne Mattarella, in quell’occasione, che Savona era “sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoriuscita dell’Italia dall’euro. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso, nell’ambito dell’Unione europea, per cambiarla in meglio dal punto di vista italiano”. Quella scelta, infatti, riguardante un tema “che non è stato in primo piano durante la recente campagna elettorale”, per Mattarella avrebbe “configurato rischi concreti per la tutela dei risparmi degli italiani”. Savona fu poi nominato Ministro per gli Affari Europei nel Conte 1°, e nel febbraio del 2019 venne chiamato a guidare la Consob…
Dissenso della Cgil? “I governi tecnici hanno favorito il capitale, l’impresa e il profitto”
Due esponenti del Direttivo nazionale del maggiore sindacato italiano, la Cgil – Confederazione Generale Italiana del Lavoro, Giacinto Botti e Maurizio Brotini hanno preso carta e penna ed hanno elaborato una critica aspra, in un documento intitolato “Questo governo non ci rappresenta”, ricordando che “tutti i governi guidati da ‘tecnici’ – dal governatore Ciampi con le politiche fallimentari dei redditi e gli accordi di concertazione, a Dini fino a Monti – si sono rivelati governi che hanno favorito il capitale, l’impresa e il profitto. Il mondo del lavoro, i ceti meno abbienti, le donne e i giovani, con i governi di ‘unità nazionale’, ‘del presidente’ o dei cosiddetti ‘tecnici’, hanno sempre pagato le crisi economiche e politiche di questo Paese… Il futuro governo si aprirà a destra, parlerà con più attenzione ai poteri forti del Paese, Confindustria in testa, e guarderà ai bisogni del mercato, agli interessi della grande e piccola finanza, muovendosi nel solco liberista”.
Le prevedibili “contraddizioni interne” della “grande ammucchiata”
Comunque, non si deve essere politologi di professione per comprendere che le “contraddizioni interne” di un Governo sostenuto da una simile “ammucchiata” sono latenti immediatamente ed esploderanno subito, fin dai primi giorni. Al primo “barcone di migranti” che arriverà nei prossimi giorni sulle coste italiane…
Paradossalmente, la soluzione di un esecutivo formato soltanto da tecnici potrebbe ridurre il rischio di conflittualità inter-partitica, perché l’arena si trasferirebbe in Parlamento e non all’interno della compagine governativa.
Questo appiattimento diffuso del giornalismo italiano, questo “magnificat” trasversale e diffuso, è comunque in sé piuttosto preoccupante, sintomatico di un conformismo strisciante che dovrebbe provocare interrogativi profondi sulla separazione dei poteri in una democrazia evoluta e sul ruolo vigilante dei media nell’epoca dell’habitat digitale…
Si prevede comunque un nuovo stile comunicazionale sobrio
Se la comunicazione “ai tempi” di Conte evidenziava il rischio di una deriva autoritaria – accelerata dalla pandemia – sotto la insopportabile regia “televisiva” di Rocco Casalino (spesso criticata dai media), si prospetta ora il rischio di un atteggiamento di… religiosa devozione, ma forse si tratta di una prima fase, e presto emergeranno dubbi e perplessità su quest’alone di santità…
È interessante osservare “mediologicamente” alcune dinamiche del Presidente incaricato, come l’aver condotto il primo giro di consultazioni “da solo”, senza avere collaboratori al proprio fianco, con i rappresentanti dei partiti schierati dall’altro lato della scrivania…
E circola voce che Draghi potrebbe scegliere come proprio portavoce Stefano Lucchini, attualmente Chief Institutional Affairs and External Communication Officer di Intesa Sanpaolo, oppure Paola Ansuini, storica portavoce di Bankitalia: in effetti – come ha scritto anche “Avvenire” nell’edizione di giovedì 4 febbraio – attualmente è Paola Ansuini “che sta ‘prestando’ un servizio temporaneo al suo ex Governatore”.
Quel che è sicuro che ci sarà un radicale cambio “di stile” comunicazionale da parte di Draghi: sicuramente più sobrio-tecnico e meno narcisistico-esibizionista… E, di questo, non possiamo che essere tutti lieti.
Liberalizzazioni a gogò anche nel sistema mediale e culturale?
Quali saranno le conseguenze di un possibile Governo Draghi sul sistema mediale e culturale italiano?
Ne abbiamo già scritto su queste colonne (vedi “Key4biz” del 5 febbraio 2021, “Il Governo Draghi staccherà la spina al CdA Rai? E ‘ItsArt’ parte a “fine febbraio, forse marzo”?”), e speriamo veramente di sbagliarci, ma temiamo siano prevedibili: in estrema sintesi: liberalizzazioni, liberalizzazioni, liberalizzazioni…
Liberare il mercato dei famosi “lacci e lacciouli” evocati dal liberista per eccellenza, Guido Carli, per 15 anni Governatore della Banca d’Italia (e poi Ministro del Tesoro dal 1989 al 1992 con Andreotti Premier…).
Liberalizzazioni a gogò, quindi: sia per quanto riguarda la Rai, sia per quanto riguarda la Siae, e, più in generale, rispetto alla complessiva economia del digitale e della cultura. Sarà interessante osservare come Draghi affronterà anche il dossier scottante della “rete unica” e finanche la vicenda Mediaset / Vivendi: in entrambi i casi è in ballo “l’interesse nazionale”…
Auguriamoci che la profezia di Yanis Varoufakis non si avveri, anche se c’è chi teme il rischio di una imminente “dittatura del mercato”…
Auguriamoci che Draghi dimostri invece di voler recuperare almeno in parte lo spirito keynesiano che lo ha animato in gioventù: di questo, crediamo vi sia necessità, in una fase così critica e delicata del nostro Paese. Dell’intervento di una “mano pubblica” sapiente e lungimirante, decisa e mirata, ovvero di un governo (finanche) tecnocratico, ma al servizio della comunità nazionale e non dei poteri forti del capitalismo finanziario e digitale globale.