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Manovra, dietrofront in vista sulla web tax al 3%. Modifiche in Parlamento?

L’Italia vorrebbe cambiare le regole della Digital services act, la tassa sui servizi digitali, nota anche come web tax. Fino a oggi, solo i colossi del web come Google o Meta dovevano pagarla, ma da gennaio 2025 il governo vorrebbe allargarla a tutte le aziende che offrono servizi su internet nel nostro paese, eliminando le attuali soglie di fatturato globale e locale. L’ipotesi ha sollevato un vespaio di proteste da parte di aziende e startup tecnologiche.

Cos’è la web tax?

La Digital services tax (Dst), nota in Italia come web tax, è nata nel 2020 seguendo l’esempio di Francia e Austria, in attesa di una normativa comune sulla tassazione dei giganti cel web di cui si parla da anni. Fino a oggi, come riporta l’Agenzia delle entrate, l’imposta del 3% sui ricavi digitali si applicava solo ai colossi tecnologici che superavano due soglie: ricavi globali superiori a 750 milioni di euro e almeno 5,5 milioni di fatturato in Italia.

La proposta e le proteste

Nella nuova legge di bilancio, il governo avrebbe intenzione di estendere la web tax a tutte le aziende che lavorano con il digitale, tassando il 3% del fatturato. Ma le proteste del mondo del digitale e degli editori, con la Fieg in prima fila, stanno spingendo verso un parziale dietrofront in Parlamento.

La norma, nata per tassare le grandi web company della Rete, così come è stata concepita andrebbe a colpire tutte le aziende e le start up che operano online. Una proposta che ha sollevato non poche proteste da parte di un settore, quello del digitale, che non piace a molti.

Persino ieri, nella domenica dopo il Ponte del primo novembre, si sono susseguiti gli annunci della maggioranza sulle modifiche che si intende apportare alla manovra. “Bisogna tagliare le unghie ai colossi del web che pagano tra lo 0 e il 2% di tasse”, dice il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri, secondo cui il partito predisporrà un emendamento per “tassare i colossi del web, cioè Amazon, Facebook, Meta”, la norma “va riscritta perché la Ragioneria dello Stato ha sbagliato, si accanisce sui piccoli e si mette in ginocchio davanti ai grandi”.

Il governo sta valutando di adottare un’imposta sui ricavi, ma con specifiche modalità che potrebbero introdurre un criterio di gradualità o delle esenzioni per le PMI.

Il vicepremier Antonio Tajani ha mostrato una comprensione dei timori espressi dalle imprese, sottolineando la necessità di garantire che le grandi multinazionali del web contribuiscano equamente alle economie locali. Questi cambiamenti potrebbero rivelarsi letali per le start-up e le PMI, già soggette a un ambiente d’affari difficile e a risorse finanziarie limitate. Pertanto, il dibattito in corso al Parlamento si concentra non solo sulla necessità di ottenere un contributo adeguato dalle grandi imprese, ma anche sulla protezione delle sfide uniche che affrontano le imprese locali.

Web tax, Sottanelli (Azione): “Faremo proposte per correggerla” 

“Così come è stata formulata, la web tax del Governo Meloni è una iattura per le aziende dell’informazione online, soprattutto per quelle più piccole che, teniamolo sempre a mente, rappresentano un baluardo della democrazia. Ci batteremo in aula affinché la web tax venga modificata: è assurdo che le aziende, anche quelle con i bilanci in rosso, paghino il 3% del fatturato. Le tasse vanno pagate sugli utili e non sui ricavi e occorre un’ampia franchigia a tutela dei piccoli editori.” Queste le parole di Giulio Sottanelli, deputato abruzzese di Azione, in un’intervista al periodico online “La Nuova Pescara”.

“Non è accettabile – continua Sottanelli – alcuna forma di limitazione del pluralismo dell’informazione, la cui sacralità è insita nella nostra Costituzione, men che meno esercitata attraverso una subdola tassazione. Il Governo ha letteralmente distorto la finalità della tassazione per le aziende del web, di cui si discute da anni. Io sono per una tassa a carico dei colossi del web, che fatturano miliardi ma, grazie a comode società offshore, eludono tranquillamente il fisco italiano. Questi colossi, spesso fruendo dei contenuti giornalistici prodotti da altri, hanno certamente contribuito alla crisi di un settore, quello dell’informazione, i cui effetti nefasti sono sotto i nostri occhi: un esercito di prepensionati, disoccupati e lavoratori precari. Tali negatività si sono riversate anche sull’istituto di previdenza dei giornalisti, l’Inpgi, ritrovatosi a non poter più far fronte al pagamento delle pensioni e, alcuni anni fa, mestamente confluito nell’Inps.”

“Una web tax degna di questo nome – conclude – colpisce i grandi e non i piccoli editori e così facendo ristabilisce un equilibrio sul mercato. Per tutti questi motivi, farò tutto quanto nelle mie facoltà di deputato affinché la tassa del web venga corretta prima dell’approvazione definitiva”.

Legge Bilancio: per Confimprenditori ‘Web tax a Pmi scelta sconsiderata’

La decisione del governo di estendere la Web Tax alle piccole e medie imprese “è una scelta sconsiderata che rischia di impoverire ulteriormente il Paese riducendo l’attrattività per gli investimenti esteri nel settore tecnologico”. Così il presidente di Confimprenditori, Stefano Ruvolo. “Gravare le piccole aziende e le startup di un’ulteriore tassazione – prosegue – significa mettere in ginocchio migliaia di piccole e medie imprese e bloccare lo sviluppo economico e innovativo dell’intero Paese. L’estensione della Web Tax potrebbe infatti innescare un effetto a cascata lungo l’intera catena del valore digitale”.

“Le piccole e medie imprese italiane, che costituiscono oltre il 90 per cento del tessuto imprenditoriale, sono già sottoposte a pressioni competitive sia a livello nazionale che internazionale. Chiediamo quindi al governo di fare un passo indietro e di trovare le risorse necessarie imponendo alle Big Tech una tassazione proporzionata al loro volume d’affari: è giusto che i principali consumatori della rete forniscano, per esempio, un equo compenso per le telecomunicazioni. Si tratterebbe di un piccolo contributo ma determinante per le reti di telecomunicazione che sono la spina dorsale dello sviluppo tecnologico del Paese”, conclude Ruvolo.

Manovra: Fieg, stupore e amarezza per l’epilogo della web-tax italiana

Lo scorso 24 ottobre la Fieg in una nota aveva già espresso preoccupazine:  “Gli editori della Fieg esprimono stupore e amarezza per la norma del disegno di legge di Bilancio che estende l’imposta sui servizi digitali a tutte le imprese che realizzano ricavi derivanti da servizi digitali rimuovendo le attuali soglie che escludono dall’imposta le imprese con meno di 750 milioni di fatturato globale e con ricavi derivanti da servizi digitali in Italia inferiori a 5,5 milioni”. 

“La web-tax è stata concepita per i grandi operatori del web, anche per eliminare la disparità di trattamento e lo svantaggio competitivo delle imprese nazionali nei confronti dei soggetti globali operanti nel web. 

Con l’estensione della platea dei contribuenti l’epilogo della web-tax è paradossale: si colpiscono tutte le imprese digitali italiane, sottoponendole ad una duplice tassazione e accentuando così la disparità di trattamento e lo svantaggio competitivo nei confronti dei colossi globali del web”. 

“Gli editori della Fieg auspicano un intervento correttivo del Parlamento che eviti la beffa di una nuova tassazione sulle imprese italiane del settore, le stesse imprese che si intendeva tutelare e salvaguardare”.

Leggi anche: Web tax. Tesoro: “80% pagata da imprese con sede all’estero”. Fenu (M5S): “Non va bene così”

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