Brasile, l’eroe del popolo e’ caduto: Lula condannato per corruzione in primo grado
13 lug 11:10 – (Agenzia Nova) – L’eroe e’ caduto. La condanna a quasi dieci anni per corruzione, comminata ieri dal giudice Sergio Moro all’ex presidente brasiliano Inacio Luis Lula da Silva, segna per gran parte delle principali testate iberoamericane la fine irrimediabile di una prestigiosa storia politica. Secondo la sentenza di primo grado, l’ex capo di Stato ha accettato che la compagnia di costruzioni Oas spendesse 1,2 milioni di dollari per rimettere a nuovo una villetta a tre piani in riva al mare. In cambio, avrebbe interceduto per far chiudere alla Oas accordi con il colosso dell’energia Petrobras. Innumerevoli le reazioni: la procura avrebbe voluto anche sancire la posizione chiave di Lula nella trama di corruttela sviluppata da Petrobras, i legali dell’ex leader sindacalista scommettono sul ribaltamento della sentenza in appello, il Partito dei lavoratori (Pt) parla di “sentenza politica” e i mercati festeggiano con una forte ripresa perche’ un ritorno di Lula alla presidenza – ipotesi corroborata fino a ieri dagli indici di gradimento – significherebbe secondo gli analisti la ripresa di una politica interventista in economia. Difficilmente Lula potra’ tornare sulla scene e tornare a godere della condizione di “guerriero del popolo brasiliano” a lui conferita dai militanti del Pt, scrive il popolare opinionista Ricardo Nobalt su “O Globo”. Nella sua biografia e’ entrata “la macchia indelebile della corruzione” e “poco importa che ancora ostenti il titolo di campione nei sondaggi popolari con circa il 30 per cento delle intenzioni di voto alla presidenza nel caso si votasse oggi. Gli stessi sondaggi lo indicano anche come campione tra i rifiutati. Oltre il 60 per cento degli intervistati dice che non voterebbe mai per lui”. Un dettaglio che non sfugge anche al quotidiano “Folha de Sao Paulo” secondo cui Lula “tende ad andare all’attacco, scommettendo sull’immagine del perseguitato politico dalle istituzioni brasiliane come base per un ritorno alla presidenza”. Ma anche ammesso che Lula in appello venga scagionato, la strategia sembra utile a corroborare l’elettorato dei fedelissimi, ma non del resto dell’elettorato. Circostanza che unita al peso della sentenza di ieri “risulta fatale per un eventuale secondo turno, visto lo scenario attuale”. La testata avverte poi del rischio di indurire i toni contro la magistratura, in vista delle altre sentenze che attendono l’ex capo di Stato. E di processi aperti ce ne sono ancora quattro. Il quotidiano argentino “La Nacion” cavalca la sentenza per spronare la magistratura locale ad essere inflessibile nel perseguire le trame di corruzione che dal Brasile iniziano ad arrivare in patria, stabilendo un parallelo col decennio “segnato dalla corruzione dei suoi principali dirigenti populisti”: Lula in Brasile, Cristina Kirchner in Argentina. Ma prima, la testata ricorda che l’impatto della decisione di Moro “puo’ avere effetti devastanti sul futuro politico di Lula. Finora l’ombra spessa della corruzione non aveva gettato su di lui un effetto contrario”, anzi. Erano state le stesse disavventure giudiziarie dell’attuale governo a rilanciare le fortune politiche di Lula. Il quotidiano messicano “El Universal” ricorda che Lula “e’ stato l’eroe operaio del Brasile, il regista del miracolo economico e una stella internazionale”, ma oggi, per la procura e’ “anche il ‘comandante’ del maggior scandalo di corruzione del paese”. Piu’ sfumata la lettura del quotidiano spagnolo “El Pais”. Al di la’ del dettaglio tecnico e indipendentemente dalle idee politiche di ciascuno, quella di ieri non “dovrebbe essere una giornata di giubilo”, perche’ la notizia “contiene una infinita’ di simbolismi, la caduta dell’idolo della sinistra brasiliana e con lui la speranza di una rifondazione del Partito dei lavoratori, che e’ arrivato ad essere il piu’ importante della sinistra latinoamericana”. La sentenza potrebbe dimostrare che in Brasile la giustizia e’ uguale per tutti, scrive la testata, a patto che analoga fermezza possa essere esercitata con i tanti altri politici coinvolti nei casi di corruzione”.
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Medio Oriente, ex segretario Difesa Usa Carter: come rendere duratura la sconfitta dell’Isis
13 lug 11:10 – (Agenzia Nova) – La liberazione della citta’ irachena di Mosul e quella ormai certa di Raqqa, in Siria, non segneranno la fine dello Stato islamico ne’ della sua ideologia, anche se archivieranno la pretesa dell’Isis di definirsi un vero e proprio califfato. A scriverlo, in un editoriale sulla “Washington Post”, e’ Ashton Carter, segretario della Difesa Usa dal 2015 al gennaio di quest’anno e direttore Belfer Center for Science and International Affairs della Harvard University. La sconfitta campale dello Stato islamico, scrive Carter, ridimensiona l’attrattiva esercita da quell’organizzazione “sugli estremisti violenti o su quelle anime perdute da social media che attaccano l’America e i nostri alleati”. Si tratta di un passo fondamentale nell’ambito della lotta al terrorismo, riconosce l’ex segretario, secondo cui il merito della liberazione di Mosul va ai militari iracheni, ai peshmerga curdi ma anche “alla superba esecuzione, da parte delle forze Usa e della coalizione, della campagna tesa ad addestrare, equipaggiare e consolidare le forze di sicurezza irachene, intrapresa piu’ di un anno fa”. Carter difende come necessaria la strategia adottata dall’amministrazione dell’ex presidente Usa Barack Obama per contrastare lo Stato islamico in Iraq e Siria, una linea che a Washington e’ stata spesso contestata come eccessivamente attendista e tentennante. “Condurre la campagna a questo modo era strategicamente necessario per porre le condizioni di una sconfitta durevole dello Stato islamico”, sostiene Carter. “L’alternativa sarebbe stata impiegare le forze di terra statunitensi sin dall’inizio, ma cio’ avrebbe ceduto il vantaggio militare al nemico nel teatro urbano di un paese straniero, e potrebbe aver indotto alcuni di quanti appoggiano al campagna (o che quantomeno sono rimasti ad assistere) a unirsi al nemico”. Infine, scrive Carter, un impiego terrestre diretto “avrebbe lasciato irrisolti i problemi della stabilizzazione post-conflitto e della governance”, in cui gli Usa non si trovano ora direttamente coinvolti. Carter elogia anche il suo successore, il segretario alla Difesa Jim Mattis, e il capo dello stato maggiore congiunto Usa, Joseph Dunford, che “non soltanto hanno proseguito questa campagna, ma hanno esplorato modalita’ per accelerarla”. Archiviati i festeggiamenti, pero’, gli Usa “devono prepararsi alla strada che hanno innanzi”: la sconfitta dell’Isis a Mosul e Raqqa “e’ necessaria ma non sufficiente”. L’Iraq, spiega l’ex segretario, resta un teatro preoccupante non tanto sul piano militare, quanto su quelli politico ed economico: “A meno che gli iracheni siano soddisfatti di quanto arrivera’ d’ora in poi, il paese subira’ un nuovo scivolamento verso il caos e il radicalismo”. Le forze di sicurezza irachene, inoltre, “avranno bisogno di una presenza militare statunitense sostenuta” per mantenere la coesione e garantire la sicurezza. Quanto alla Siria, “si tratta di uno scenario ancora piu’ complesso”: tra le decisioni piu’ importanti che il presidente Usa, Donald Trump, si e’ trovato a dover assumere, c’e’ stato il rinnovo della fornitura di armi e addestramento ai curdi delle Forze democratiche siriane (Sdf): “una decisione controversa, perche’ osteggiata dai turchi”, scrive Carter, ma nondimeno “l’unica opzione possibile per liberare Raqqa”, l’autoproclamata capitale dell’Isis. L’ex segretario rivendica di aver sempre sostenuto l’appoggio militare ai curdi delle Sdf, ma raccomanda di porre queste ultime di fronte alla loro responsabilita’ e ai loro impegni una volta liberata Raqqa, per non alienare l’Alleato turco. Carter, infine, si scaglia senza riserve contro la Russia, pure autrice di una efficace campagna militare contro lo Stato islamico in Siria. Mosca, accusa l’ex segretario, “non ha svolto alcun ruolo costruttivo nelle imminenti vittorie statunitensi. il presidente Vladimir Putin ha inviato le sue forze nella Siria occidentale col pretesto di combattere il terrorismo e agevolare una transizione politica dal regime omicida di Bashar al Assad, ma non ha fatto nulla di tutto questo”. Secondo Carter, che cosi’ facendo esprime una posizione nettamente contraria alle piu’ recenti iniziative del presidente Trump, “qualunque forma di cooperazione piu’ vasta tra Russia e Stati Uniti, al di la’ della deconflittualizzazione, richiederebbe il rispetto da parte di Mosca di condizioni cui non ha mai ottemperato”. La lotta al terrorismo, ammonisce Carter, dovra’ proseguire altrove e per un lungo periodo a venire: in Afghanistan, anzitutto, dove secondo l’ex segretario e’ opportuno rafforzare la presenza militare statunitense. “Il mondo -conclude Carter – dovrebbe prendere nota che nessuno, al di fuori degli Stati Uniti, avrebbe potuto guidare una coalizione come questa (contro l’Isis, ndr) alla vittoria. Si tratta di una replica adeguata a chiunque sostenga che la nostra disorganizzazione sul piano internazionale e la partigianeria politica siano ragioni sufficienti a dubitare della permanenza degli Usa” al centro del quadro geopolitico globale.
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Spagna, tutti con il Re che a Londra chiede di risolvere il nodo su Gibilterra
13 lug 11:10 – (Agenzia Nova) – Rapporti eccellenti, grande sfoggio di “simbolismi istituzionali” e soddisfazione per un viaggio atteso da 31 anni e gia’ rinviato per due volte. Ma per i media spagnoli il nodo centrale della missione che il re Felipe VI sta svolgendo nel Regno Unito, continua ad essere Gibilterra. Lungi dal soprassedere sul tema piu’ caldo delle relazioni bilaterali, il monarca spagnolo ha ricordato al Parlamento la necessita’ di “raddoppiare” gli sforzi per trovare “formule soddisfacenti per tutti”, nel contenzioso sulla “reliquia coloniale”, come la defini’ l’ex re Juan Carlos. Nelle trattative per il Brexit, passaggio che Madrid celebra come un successo della propria diplomazia, l’Europa ricordera’ a Londra che per il futuro del fazzoletto di terra aggrappato alla penisola iberica occorrera’ un accordo ulteriore con il governo spagnolo. La questione ha aggiunto pepe ai complessi negoziati per l’uscito di Londra dall’Unione e ai rapporti bilaterali. “Gli appelli sereni ma fermi di Don Felipe hanno irritato alcuni tories”, scrive il quotidiano “El Mundo”, apprezzando pero’ il fatto che il Re non abbia fatto passi indietro. Fonti diplomatiche confermano che la decisione su quali argomenti il sovrano possa trattare nelle missioni di Stato e’ compito del governo e la testata ne approfitta per ricordare cosa sta facendo la Moncloa per sciogliere il nodo. “La Spagna ha dimostrato una straordinaria volonta’ di dialogo” presentando nei mesi scorsi “una formula di sovranita’ congiunta almeno transitoria, con garanzie sul rispetto all’autonomia e alla doppia nazionalita’ per gli abitanti di Gibilterra”. E’ l’occasione e’ propizia “per mettere fine a una situazione anacronistica, come dice la Onu da decenni”. Nonostante il tono del discorso “cerimonioso e amichevole”, in gran parte pronunciato in inglese, il Re “non ha evitato nessuno dei temi piu’ spinosi”, scrive il quotidiano “El Pais”. Felipe Vi non ha eluso “ne’ il tema di Gibilterra ne’ quello degli spagnoli in Regno Unito che risentiranno del Brexit”. Ma mentre al parlamento piu’ antico del mondo il re di Spagna del peso che l’economia spagnola esercita su quella del Regno Unito, “all’altro lato del canale”, il negoziatore europeo Michel Barnier cominciava a dare segni di impazienza dinanzi all’ennesimo tentativo britannico di non farsi carico dei costi che Londra deve pagare prima di poter parlare della sua futura relazione con l’Ue. Il governo britannico”, scrive la testata nell’editoriale, “deve accettare che i suoi obblighi con l’Ue non finiranno il giorno che si celebrera’ l’uscita e che il mandato che ha ricevuto e’ di togliere il paese dall’Unione, non di lasciare inevasi i suoi obblighi”.
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Regno Unito, il Labour minaccia di battere May sul disegno di legge sulla Brexit
13 lug 11:10 – (Agenzia Nova) – La premier del Regno Unito, Theresa May, riferisce il quotidiano britannico “The Guardian”, rischia un’umiliante sconfitta parlamentare sul “Great Repeal Bill”, il disegno per l’abrogazione dell’European Communities Act, la legge del 1972 che ha introdotto il diritto comunitario nell’ordinamento nazionale. Il Labour, principale partito di minoranza, ha minacciato di votare contro se non otterra’ significative concessioni; potrebbero bastare i voti di pochi conservatori ribelli per mettere in crisi Downing Street; il segretario ombra per la Brexit, Keir Starmer, intervistato dal giornale, ha parlato chiaramente di un “avvertimento” al governo. L’opposizione laborista non e’ l’unica preoccupazione per l’esecutivo, che ha subito altri colpi nella giornata di ieri: Michel Barnier, capo negoziatore della Commissione europea, ha sottolineato che il tempo scorre; Amyas Morse, revisore generale del National Audit Office (Nad), l’organismo parlamentare indipendente di revisione della spesa pubblica centrale, ha messo in guardia dal rischio di un fallimento nella sfida dell’uscita dall’Unione Europea; la deputata conservatrice europeista Nicky Morgan e’ stata eletta presidente dell’influente commissione Tesoro della Camera dei Comuni; la premier May ha ribadito di voler restare in carica altri cinque anni ma non ha voluto dire se si ricandidera’ alle prossime elezioni. Il “Great Repeal Bill” sara’ pubblicato oggi, ma i parlamentari non avranno la possibilita’ di votarlo fino alla seconda lettura, in autunno. Starmer ha escluso il sostegno del Labour nella versione attuale. I laboristi chiedono modifiche su sei punti, tra i quali le garanzie sui diritti dei lavoratori; l’assunzione della Carta europea dei diritti fondamentali; la limitazione dei cosiddetti poteri di Enrico VIII, che consentono al governo di cambiare le leggi con uno scrutinio parlamentare minimo. C’e’, inoltre, la questione delle amministrazioni devolute: Starmer ha invitato il governo a fare chiarezza sul recupero di competenze attualmente dell’Ue, che dovrebbero tornare alle nazioni costitutive e non a Westminster.
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Barnier, il Regno Unito deve accettare gli obblighi finanziari dell’uscita dall’Ue
13 lug 11:10 – (Agenzia Nova) – Michel Barnier, capo negoziatore della Commissione europea per la Brexit, riferisce il “Financial Times”, ha risposto al segretario agli Esteri del Regno Unito, Boris Johnson, per il quale l’Unione Europea puo’ “stare fresca” se pensa di ottenere dal paese uscente una somma “estorsiva”. In una conferenza stampa a Bruxelles in vista del secondo incontro negoziale, in programma lunedi’, il politico francese ha avvertito che non ci saranno progressi finche’ la Gran Bretagna non accettera’ il principio che l’uscita implica il saldo dei conti. La Commissione stima tali oneri in circa 86,4 miliardi di euro, con una quota di passivita’ di 11,5 miliardi e finanziamenti ai fondi di sviluppo per 1,7 miliardi. Quando gli e’ stato chiesto se intende rifiutare di trattare altre questioni se Londra non accettera’ che ha degli obblighi finanziari, Barnier ha risposto seccamente: “Si'”. “Non sento nessuna aria fresca, solo il ticchettio dell’orologio”, ha dichiarato il negoziatore europeo. Ha poi aggiunto che e’ venuto il momento di impegnarsi sulle varie questioni riguardanti il divorzio, dai diritti dei cittadini alla cooperazione nell’energia nucleare. Finora Londra ha prodotto solo una proposta sui diritti dei cittadini, mentre l’Ue ha illustrato la sua posizione anche su altri temi. L’accordo finanziario, comunque, resta centrale per il futuro delle trattative: “Come si puo’ costruire una relazione, sul commercio, la sicurezza, la difesa e altre materie… Come si puo’ costruire una relazione a lungo termine se non c’e’ fiducia?”, ha domandato Barnier. “Voglio discutere con la controparte britannica riga per riga. Ma il prerequisito e’ che riconoscano che anno preso degli impegni con noi”, ha chiarito.
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Francia-Usa, il singolare duo Trump-Macron
13 lug 11:10 – (Agenzia Nova) – Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, intraprende oggi il suo secondo viaggio ufficiale in Europa nell’arco di una settimana; stavolta il presidente sara’ ospite del suo omologo francese, Emmanuel Macron, che lo ha inviato ad assistere all’annuale parata militare del 14 luglio sugli Champs-E’lyse’es. Oltre a celebrare la presa della Bastiglia, la festa nazionale francese coincide quest’anno con il centesimo anniversario dell’ingresso degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale. Sia il “New York Times” che la “Washington Post” sottolineano il carattere inusuale del duo Trump-Macron, che sembra aver stretto una relazione a tratti conflittuale ma solida nei mesi successivi alla prima visita di Trump in Europa, lo scorso maggio. Entrambi i presidenti, ognuno a modo suo, sono “outsider” alle prese con i primi, cruciali mesi del loro mandato. Macron, appena 39 enne, e’ pero’ “il presidente piu’ giovane dell’era moderna”, sottolinea il “New York Times”; tutto l’opposto di Trump, che coi suoi 71 anni e’ il presidente piu’ anziano mai eletto alla Casa Bianca. A dividere i due capi di Stato, pero’, sono soprattutto gli orientamenti politico-ideologici. Macron e’ un convinto sostenitore del globalismo, del libero commercio internazionale e delle politiche multilaterali di contrasto ai mutamenti climatici; la visione di Trump, invece, e’ incarnata dal motto “America First” e dal suo scetticismo nei confronti delle tematiche citate poc’anzi, a partire dal clima. Ci sono altri terreni, pero’, sui quali il confronto tra i due presidenti appare agevole; per quanto riguarda la Siria, ad esempio, Macron ha rinunciato alla deposizione del presidente Bashar al Assad come precondizione per l’avvio di negoziati di pace; il presidente francese ha anche invitato a Parigi il suo omologo russo, Vladimir Putin, con cui ha intrapreso un dialogo, pur richiamando Mosca al rispetto dei diritti civili. Macron e Trump non sembrano distantissimi neanche sul fronte dell’Africa e della crisi migratoria: al Continente nero l’inquilino dell’Eliseo ha dedicato poche parole, e di natura sostanzialmente apolitica, spronando a sforzi maggiori per il controllo delle nascite; sull’immigrazione, al netto della retorica, nelle ultime settimane si e’ dimostrato duro quanto Trump, chiudendo ad esempio al porta allo sbarco nei porti francesi dei migranti soccorsi dalle Ong del suo paese. I consiglieri e collaboratori di Macron, scrive il “New York Times”, reputano che collaborare con gli Stati Uniti sia inevitabile, e che piaccia o meno cio’ non possa prescindere dal coltivare le relazioni con il presidente Usa in carica. L’approccio di Trump al presidente Usa ha gia’ spinto molti commentatori francesi a definirlo “l’interlocutore europeo privilegiato” della Casa Bianca. Secondo Denis Lacorne, politologo francese esperto di questioni statunitensi, “nella relazione Trump-Macron gli opposti si attraggono”. Il presidente Francese “e’ un pluralista, e’ attratto dagli Stati Uniti della Silicon Valley e dalla cultura delle start-up. Non e’ l’America di Trump, ma Macron, ex banchiere, e’ un pragmatista, non un ideologo”, ed ha sfruttato consapevolmente “un vuoto percepito nelle relazioni anglo-tedesche”.
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Francia-Usa, l’ambizione di Macron e’ di far uscire Trump dal suo isolamento
13 lug 11:10 – (Agenzia Nova) – La partecipazione del presidente degli Stati Uniti alla tradizionale parata militare sugli Champs Elyse’es, domani venerdi’ 14 luglio in occasione delle celebrazioni per la Festa nazionale della Francia, ben simbolizza l’obbiettivo che il presidente francese Emmanuel Macron si e’ prefisso invitando Donald Trump a Parigi: far ripartire le relazioni franco-statunitense su nuove basi dopo il gelo iniziale; cosi’ il quotidiano “Le Figaro” sintetizza il senso della due giorni parigina della coppia presidenziale Usa. Nell’articolo il corrispondente da Washington del giornale francese, Philippe Ge’lie, riferisce come le fonti della Casa Bianca da lui consultate gli abbiano riferito che Trump e’ determinato a mettersi alle spalle le rudezze dell’incontro con Macron al G7 du Bruxelles: “Ero presente nell’Ufficio ovale nel corso delle numerose conversazioni telefoniche” con Macron, gli ha assicurato una fonte dello staff presidenziale Usa; “e la dinamica e’ stata sempre molto positiva”. La fonte citata dal “Figaro” si e’ persino lanciata in una lode sperticata al presidente francese: “Macron e’ un innovatore carismatico che cerca di cambiare le cose in Francia; nonostante le numerose ed evidenti differenze, i due uomini hanno molte cose in comune”. Secondo la Casa Bianca, l’Eliseo ha promesso a Trump che non dovra’ trovarsi di fronte massicce contestazioni a Parigi come invece e’ accaduto al G20 di Amburgo; aldila’ di cio’, scrive il giornale francese, al presidente Usa in difficolta’ in patria potrebbe tornare utile mostrarsi cordialmente al fianco di una personalita’ come Macron, che gode invece di grande popolarita’ internazionale, almeno sui media. Da parte sua Macron sembra avere l’ambizione di essere il leader europeo che “tende la mano a Trump” e addirittura che punta a farlo uscire dal suo “isolamento” internazionale: con la preoccupazione di evitare che i numerosi punti di disaccordo, dal clima al commercio mondiale, guastino l’atmosfera amichevole del vertice Francia-Usa, la diplomazia francese ha suggerito che le discussioni previste oggi pomeriggio, e la successiva conferenza stampa, si concentrino sulla Siria e sulla lotta al terrorismo. Ovvio che nel faccia-a-faccia a porte chiuse i temi “difficili” emergeranno comunque; ma quel che conta, conclude il “Figaro”, e che Francia e Stati Uniti vogliano far ripartire su nuove basi, anche di “chimica” personale”, l’antica amicizia tra i due paesi.
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Germania-Francia, prosegue il processo di convergenza politica
13 lug 11:10 – (Agenzia Nova) – Alla vigilia del primo Consiglio dei ministri franco-tedesco durante la presidenza di Emmanuel Macron, il governo di Parigi ha presentato un piano d’azione per la crisi dei rifugiati. L’ex primo ministro francese Manuel Valls aveva criticato duramente la politica delle porte aperte del cancelliere Merkel; il suo successore, Edouard Philippe, ha sfoderato invece toni ben piu’ pacati. Nell’accoglienza dei rifugiati la Francia “non e’ stata all’altezza” dei suoi vicini, ha detto il premier durante una conferenza stampa all’Eliseo. Philippe ha avvertito che l’Unione europea si trova di fronte a una crisi di lunga durata, ed ha presentato un piano d’azione nazionale che prevede la creazione di 7.500 posti aggiuntivi per i richiedenti asilo, e l’accoglienza di 5.000 rifugiati fino del 2019. Gia’ l’anno prossimo, ha detto il premier, saranno creati 4.000 nuovi posti per i richiedenti asilo. La Francia mira a ridurre i tempi di elaborazione delle domande di asilo dagli attuali 14 a 6 mesi, cosi’ da accelerare la distinzione tra migranti economici e rifugiati. Lo scorso anno solo 31.000 dei 91.000 stranieri sul suolo francese senza un permesso di soggiorno valido sono stati raggiunti da un decreto di espulsione, e di questi solo 25.000 hanno realmente lasciato la Francia. Il premier francese ha anche chiesto una protezione efficace delle frontiere esterne della Ue, che negli ultimi anni Frontex non sembra aver potuto garantire. La Germania e la Francia vogliono dare “maggiore sostegno” all’Italia, ha detto Philippe. Il ministro dell’Interno Ge’rard Collomb ha recentemente respinto le critiche sulla politica di deterrenza della polizia nei confronti dei migranti a Calais, ribadendo che va evitata la concentrazione in rifugi di fortuna degli scorsi anni. La crisi dei rifugiati, pero’, non e’ all’ordine del giorno della riunione a Parigi di quest’oggi. E’ prevista una visita ai centri giovanili dei quartieri piu’ svantaggiati delle rispettive capitali. Solo dopo le elezioni tedesche potrebbero essere decisi progetti comuni di cooperazione, in particolare nel campo della Difesa. Francia vorrebbe che anche la Germania collaborasse alla sicurezza e alla lotta al terrorismo islamico nei cinque Paesi del Sahel Mali, Ciad, Mauritania, Burkina Faso e Niger (G5). Progressi sulla cooperazione ci saranno anche sulla Cultura e l’Istruzione. Il tedesco sara’ promosso in Francia, ma non e’ chiaro se avverra’ il contrario. Inoltre il ministro delle Finanze Bruno Le Maire ha detto mercoledi’ nell’Assemblea nazionale che l’unione monetaria europea dovrebbe essere trasformata in un’unione economica europea.
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Germania, la polizia federale giudiziaria si mobilita contro l’estremismo di sinistra
13 lug 11:10 – (Agenzia Nova) – La Polizia giudiziaria federale tedesca (Bka) ha individuato quattro estremisti di sinistra come individui pericolosi, e altre 120 persone sono state aggiunte a una lista di “soggetti rilevanti”. Lo riferisce la “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, che fa il punto delle attivita’ di indagine intraprese dopo le gravi violenze che hanno segnato il G20 della scorsa settimana ad Amburgo. Attualmente la Bka sta esaminando gli elementi probatori per definire il ruolo di questi individui negli scontri con le forze dell’ordine. Il rapporto della Protezione della Costituzione 2016 definisce circa 8.500 persone come “estremisti di sinistra violenti”, con un aumento del dieci per cento rispetto allo scorso anno; gli estremisti che fanno riferimento a quell’area ideologica, pero’, potrebbero essere piu’ di 20 mila, anche se il numero dei crimini e delle violenze riconducibili a quest’area dell’estremismo politico e’ calato nel corso del 2016. Dopo i fatti di Amburgo l’Unione di centrodestra ha criticato l’Spd per aver minimizzato il fenomeno dell’estremismo di sinistra, ma martedi’ scorso il Segretario di Stato presso il ministero federale per la Famiglia, Ralf Kleindiek (Spd), ha risposto alle accuse definendole come “semplicemente sbagliate”, e accusando le forze di centrodestra di voler sfruttare gli eventi a fini elettoralistici. L’ex ministro federale della Famiglia Kristina Schroeder (Cdu) ha dichiarato alla “Frankfurter Allgemeine Zeitung”: “Il programma contro l’estremismo di sinistra e’ stato completamente abbandonato e solo due progetti sono proseguiti”. Kleindiek ha ribattuto che il programma era stato interrotto in quanto si era dimostrato “inefficace”, ma che per il programma “democrazia diretta” solo quest’anno sono stati stanziati 104 milioni di euro, contro i 50 dello scorso anno. Tuttavia solo 5,3 milioni sono stati preventivati nel triennio 2015-2019 per progetti contro la “militanza di sinistra”. In totale 28 sono i progetti contro l’estremismo islamico, 26 contro quello di destra e solo 7 per quello di sinistra. Il ministro della Giustizia federale Heiko Maas (Spd) ha chiesto nel frattempo il sostegno degli altri Paesi europei nel perseguimento dei criminali violenti ricercati per i disordini di Amburgo. In una lettera rivolta ai suoi colleghi europei, Maas ha chiesto che le rogatorie tedesche per i fatti del G20 vengano esaminate in via prioritaria. Prima ancora del vertice della scorsa settimana, ricorda la “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, la polizia federale aveva bloccato piu’ di 900 persone al confine tedesco, e a 61 soggetti aveva vietato l’ingresso in Germania in quanto gia’ classificati come violenti.
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Ecco come l’Italia sta orientando il risparmio delle famiglie verso le piccole e medie imprese
13 lug 11:10 – (Agenzia Nova) – Hanno registrato un successo impressionante i “Piani individuali di risparmio” (Pir) lanciati in Italia all’inizio di quest’anno: lo scrive sul quotidiano economico francese “Les Echos” il corrispondente da Roma Olivie Tosseri, che nel suo articolo spiega come l’obbiettivo del governo sia di orientare almeno una parte dell’immenso tesoro rappresentato dal risparmio degli italiani verso le piccole e medie imprese (Pme). Varandoli, l’esecutivo di Roma sperava di mobilitare fino a 1,8 miliardi di euro: e invece, a cinque mesi dal lancio alla fine di maggio scorso la raccolta di capitali freschi aveva gia’ raggiunto i 4 miliardi, facendo prevedere per la fine dell’anno la possibilita’ di raggiungere tra i 10 e gli 11 miliardi; a questo ritmo, , nota il giornale francese, in cinque anni potrebbero essere mobilitati fino a 50 miliardi di euro. Tosseri ricorda come il risparmio delle famiglie italiane ammonti ad oltre 4 mila miliardi e che percio’ equivalga ad oltre un settimo dell’intero risparmio di tutta l’Unione Europea; la meta’ circa giace nei conti correnti bancari, nelle Posto o nei buoni del Tesoro. I Pir sono stati dunque pensati per far affluire almeno una porzione della meta’ restante verso investimenti a lungo termine in aziende industriali e commerciali impiantate in Italia (di origine italiana o europea), ad esclusione del settore immobiliare; a condizione che gli investimenti siano mantenuti per almeno cinque anni, gli interessi che ne ricavano i risparmiatori godono di una esenzione fiscale. L’articolo si dilunga poi in un resoconto dettagliato della situazione di questo nuovo mercato di strumenti di risparmio e dell’offerta di Pir da parte di banche come Mediolanum, Eurizon, Intesa Sanpaolo, Fideuram, Zenit, Socie’te’ Ge’ne’rale, La Financie’re de l’Echiquier o ancora Pioneer; e di come numerose piccole e medie aziende italiane abbiano approfittato di questa nuova forma di finanziamento: una esposizione che il giornalista di “Les Echos” fa con il chiaro intento di suggerire al governo francese di seguire l’esempio di quello italiano.
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