Il “Chip Act” dell’UE
Sono mesi che in tutto il mondo si sta discutendo su come affrontare la crisi dei chip, in maniera efficace e una volta per tutte, con la speranza di eliminare ritardi sugli approvvigionamenti e più in generale scarsità di forniture di materie prime fondamentali per l’industria e la crescita economica.
Anche ieri, in occasione del discorso sullo Stato dell’Unione, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha ribadito la volontà dell’Europa di raggiungere rapidamente l’indipendenza tecnologica nel settore, annunciando una nuova legge.
Si tratta del cosiddetto “Chip Act”, provvedimento che consentirebbe all’Unione europea di creare una rete di centri di ricerca, sviluppo e innovazione dedicati ai microchip in diversi Paesi, con l’auspicio di veder nascere un ecosistema imprenditoriale e tecnologico all’avanguardia.
Gli obiettivi al 2030
I settori più colpiti dall’interruzione e i ritardi delle catene di approvvigionamento globali, legate sia all’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, sia agli eventi climatici estremi che hanno colpito il Pacifico occidentale, sia ad aggressive strategie commerciali di Taiwan e Corea del Sud (per approfittare dell’enorme domanda e mettere in difficoltà competitor su scala globale), sono stati l’automobilistico certamente e l’industria dell’elettronica di consumo.
Tutte le principali economie mondiali stanno cercando di intervenire sulle supply chain, accorciandole, aumentando il numero di fornitori, iniziando produzioni nazionali di componenti strategiche.
Gli Stati Uniti hanno proposto il “Chips for America Act”, che richiederà diverse decine di miliardi di dollari, mentre Cina e Giappone vogliono aumentare le produzioni interne.
Attraverso questa nuova iniziativa, l’Unione ha l’intenzione di aumentare la propria quota di mercato globale dei chipset, portandola almeno al 20% entro il 2030.
Le difficoltà interne
I più critici continuano a sostenere che i Paesi del vecchio continente allo stato attuale non sono in grado di raggiungere un target così ambizioso, perché mancano di una politica industriale comune e credibile, perché non sono previsti sussidi pubblici ancora (o almeno solo a parole) e questo indebolisce la capacità di competere con Stati Uniti e Cina.
Secondo Paul Boudre, CEO della francese Soitec, servirebbero almeno 20 miliardi di aiuti di Stato al settore per avviare un nuovo processo industriale interno all’Unione, secondo quanto riferito al Financial Times.
Secondo quanto pubblicato su LinkedIn dal Commissione europeo alla Politica industriale, Thierry Breton, “se gli sforzi nazionali sono integrati in una coerente ed armonica visione strategica europea non è nemmeno necessario ricorrere più di tanto ai sussidi pubblici”, aggiungendo che “l’Europa dovrebbe creare un apposito Fondo Ue per i semiconduttori”.