È trascorso più di un anno dalla dichiarazione dello stato di emergenza, un anno scandito dai bollettini giornalieri con cui un’opinione pubblica sempre più angosciata ed attonita veniva informata sull’andamento della pandemia.
Quindi, forse, è arrivato il momento…
La campagna vaccinale sta procedendo ad un buon ritmo e gran parte della popolazione “più fragile” verrà messa presto al riparo dal rischio di contrarre la malattia , così si potrà passare a vaccinare i più giovani e, se le riaperture saranno affrontate con prudenza e accortezza, dovremmo raggiungere l’agognata immunità di gregge.
Quindi, forse, è arrivato il momento…
Con l’approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che prevede l’impiego di ingenti fondi europei, vi è poi la prospettiva di imprimere un sensibile miglioramento e oserei dire una svolta al nostro Sistema Sanitario Nazionale, al limite del tracollo, sotto i colpi della pandemia.
Quindi, forse, è arrivato il momento…
E poi la settimana scorsa è stato archiviato, senza particolari problemi per la tenuta della maggioranza governativa e senza esito, il tentativo di scaricare sull’attuale ministro della Salute tutta la responsabilità politica dell’impreparazione dell’Italia nell’affrontare la pandemia.
Le carenze di sistema del nostro Paese
Quindi, forse, è arrivato il momento di affrontare, con mente sgombra da paure o retro-pensieri, le carenze di sistema del nostro Paese nell’approccio alla problematica delle emergenze sanitarie.
Eh sì… perché, senza nulla togliere alla validità del principio che non si deve speculare su questa tremenda epidemia provocata dal virus Covid 19 e che bisogna essere “più uniti che mai nel combatterlo, evitando di cadere nella tentazione di utilizzare la lotta alla pandemia per ragioni strumentali “, come dice il Ministro, il problema reale, enorme e irrisolto è ancora tutto lì: come è stata affrontata questa emergenza sanitaria?
Ci sarebbe bisogno che chi ha la competenza e l’autorità per farlo dica a tutti gli italiani, che hanno tanto sofferto in questi mesi, una parola di verità , una spiegazione dei tanti morti, una presa d’atto su quanto è stato fatto o non fatto, e che di conseguenza, prenda l’impegno ad evitare che tutto si ripeta in occasione di un’altra emergenza sanitaria che certamente si potrà verificare.
Bisognerebbe che qualcuno avesse il coraggio di riconoscere che la pandemia non era un evento imprevedibile e che il mondo scientifico e della politica internazionale erano assolutamente consci del fatto che un evento simile si sarebbe verificato, e in tempi non lontani ed anche che sarebbe stato un evento particolarmente grave in termini di vite umane.
Troppo lungo sarebbe l’elenco dei documenti ufficiali, nazionali ed internazionali, degli incontri e dei simposi internazionali, degli articoli pubblicati su riviste scientifiche e non, delle interviste di scienziati o opinionisti di fama mondiale, da cui questo risulta in maniera incontrovertibile, ma chi voglia approfondirlo può leggere uno studio pubblicato sulla Riv Trim di scienza dell’Amm- n.2/2020 di Ranieri de Maria dal titolo “Caratteristiche ed errori della gestione sanitaria della pandemia da COVID-19 in Italia: una défaillance di sistema”, che riserva un lungo paragrafo a questo aspetto.
La consapevolezza del rischio è stata recepita negli ultimi quindici anni soprattutto dall’OMS, agenzia specializzata dell’ONU in campo sanitario, che ha lavorato per predisporre un sistema in grado di mitigare gli effetti di una pandemia influenzale e per porre le basi di una governance globale della salute di tutta la popolazione mondiale.
Con il secondo Regolamento Sanitario Internazionale (RSI), approvato nel 2005 ed in vigore dal 2007 in tutti i paesi membri , è stato previsto all’art.13 che “ogni Stato Parte deve sviluppare, rafforzare e mantenere, il prima possibile ma non più tardi di cinque anni dall’entrata in vigore del presente Regolamento, la capacità di rispondere prontamente ed efficacemente ai rischi per la sanità pubblica e alle emergenze sanitarie di interesse internazionale», secondo le linee-guida fornite dall’OMS. Nell’allegato 1 del Regolamento, al punto g), è fatto obbligo a ogni Stato membro dell’ONU di «istituire, porre in atto e mantenere un piano nazionaledi risposta ad emergenze sanitarie, includendo la creazione di gruppi multidisciplinari/multisettoriali con il compito di rispondere ad eventi che possano costituire un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale»
Contestualmente all’approvazione del 2° RSI, nel 2005, l’Oms ha fornito agli Stati membri le linee guida per la redazione del Piano nazionale con il documento “WHO global influenza preparedness plan. The role of WHO and recommendations for national measures before and during pandemics” e il documento è stato aggiornato e revisionato ogni quattro anni (2009, 2013, 2017).
In sintesi, per gestire un’emergenza sanitaria di tipo pandemico, secondo l’OMS sono ritenuti essenziali 8 capacità fondamentali ( core capacities )che ogni Paese deve acquisire: un sistema di sorveglianza e monitoraggio sanitario per l’identificazione precoce di focolai di malattie epidemiche; una legislazione nazionale che incorpori i contenuti del 2°RSI, piani nazionali di risposta all’emergenza aggiornati a livello centrale, regionale e locale, con la creazione di gruppi multidisciplinari e interministeriali; capacità di coordinamento e visione interministeriale dell’emergenza; capacità di comando e controllo; capacità di test mediante i laboratori di analisi per individuare i “casi” di contagio; capacità di adottare il contenimento dei focolai e di tracciare i contatti, di adottare misure di isolamento dei contagiati e dei loro contatti; logistica e collegamenti diretti con ospedali, cliniche, porti, aeroporti, posti di frontiera; e capacità di operare a tutti i livelli 24 ore su 24, sette giorni su sette.
Al momento dello scoppio della pandemia l’Italia aveva un Piano Pandemico Nazionale approvato nel 2005 il cui aggiornamento, che era obbligatorio ed essenziale, non c’è mai stato, malgrado le innumerevoli sollecitazioni e la consapevolezza di doverlo fare contenuta anche nel Piano nazionale della prevenzione 2014-2018 (Pnp), che costituisce uno dei più importanti documenti strategici di programmazione sanitaria del nostro Paese, il quale indica tra i macro obiettivi “prevenzione, sorveglianza e controllo di malattie infettive”, e comprende, nella valutazione dei rischi, la pandemia.
Secondo alcuni osservatori, il Piano del 2005 non solo non era stato aggiornato, ma non era stato neanche applicato nei suoi elementi essenziali e basilari, tanto da far dubitare, in effetti, della possibilità di considerare come esistente una qualsiasi pianificazione sul modo di affrontare una pandemia influenzale, dal momento che il “Piano sembrava esistere solo come documento”. Questo severo giudizio si basa sul fatto che se fosse stato attuato il Piano, almeno in qualche parte, saremmo stati un po’ meno impreparati allo scoppio della pandemia.
Un esempio banale, anche se determinante, tra tutta una serie di azioni di carattere preventivo, è quello relativo all’approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuali (DPI) per il personale sanitario, che nel Piano, era previsto che avvenisse nella fase di assenza di infezioni mentre, nella fase di allerta, si prevedeva la messa a punto di protocolli di utilizzo di tali dispositivi per le categorie professionali a rischio, e la verifica dell’adeguatezza dell’approvvigionamento. Se si fosse applicato il Piano, almeno in questo, e, almeno nella fase di allerta, cioè a metà gennaio 2020, fosse stata fatta la verifica della dotazione di presidi anti-contagio, accertata la carenza, si sarebbe potuto procedere ad acquistarli senza problemi poiché i DPI erano ancora disponibili sul mercato internazionale.
Ciò non è avvenuto.
Solo quando sono scoppiati i contagi ci si è resi conto della generalizzata mancanza di DPI, ma ormai era diventato difficilissimo reperirli dalle società estere fornitrici, subissate di richieste.
L’indisponibilità di DPI viene ritenuto un elemento decisivo nell’esplosione del contagio nelle strutture sanitarie e sul territorio, con riferimento per esempio ai medici di medicina generale che, peraltro, lo stesso Piano Pandemico considerava uno strumento essenziale di contrasto delle epidemie, sia in fase di allerta che in quella operativa, ma che non sono stati affatto valorizzati ed anzi hanno dovuto prestare assistenza, attrezzandosi alla bene e meglio, e senza aver avuto per tempo i protocolli per il trattamento dei pazienti con sintomi, ai quali ,spesso, neanche riuscivano a far fare dalle Asl i tamponi.
Ma questi sono solo alcuni esempi delle carenze delle varie componenti delle 8 capacità fondamentali che noi avremmo dovuto avere in base al secondo RSI .
Dal 2010 ogni anno a giugno l’OMS ha valutato lo sviluppo e i progressi di ciascuna componente delle otto capacità fondamentali, tramite un apposito questionario di autovalutazione compilato da ogni Paese membro. Lo stesso che è stato richiesto dalla Comunità europea, ma con cadenza triennale, a partire dal novembre 2014. L’OMS analizzava le risposte ai questionari e restituiva un voto da 1 a 100. Una procedura simile era svolta da un Organismo indipendente chiamato Global Health Security. L’Italia per ben 4 anni dal 2011 al 2016 non ha redatto il questionario di autovalutazione e quando l’ha fatto si è assegnata punteggi altissimi. Al contrario il Global Health Security (GHS) Index, nel 2019 ci assegnava punteggi bassissimi, in un caso addirittura zero.
Essendo questa la situazione al momento dello scoppio della pandemia, non c’è da stupirsi se le direttive adottate dal Governo per attuare un compiuto ed efficace modello di contenimento si siano infrante contro una serie di deficit organizzativi e strutturali a livello centrale e periferico, dovute proprio alla mancanza di quelle capacità fondamentali e se, di conseguenza, di fronte al dilagare dei contagi, si sia dovuto disporre il lockdown.
In un articolo apparso sulla Harvard Business Review a marzo 2020 si citano anche altri elementi che hanno inficiato la risposta dell’Italia alla pandemia, come :
- l’atteggiamento di leader di vari schieramenti politici volti, anche dopo che era stato dichiarato lo stato di emergenza nazionale il 31 gennaio 2020, a rassicurare l’opinione pubblica e minimizzare i rischi paventati dagli esperti ( si veda al riguardo l’articolo di Francesco Grignetti su La Stampa del 25 marzo 2020); tali atteggiamenti qualificati come “pregiudizi cognitivi” sono particolarmente nefasti di fronte a minacce come le pandemie che si evolvono in modo non lineare (cioè partono piccole, ma si intensificano in modo esponenziale) per contrastare le quali, quindi, l’efficacia di una misura è tanto maggiore quanto più è precoce, cioè adottata quando la minaccia sembra essere piccola, o anche prima che ci siano dei casi.
- la mancanza di un approccio sistematico e la scelta di adottare soluzioni parziali e progressivamente più gravi che hanno inseguito la diffusione del virus anzicché ostacolarla e in alcuni caso anzi possono essere stati controproducenti, come quando sono state bloccate solo alcune regioni del nord, innescando un massiccio esodo al sud che può aver contribuito a diffondere il virus anche nelle regioni meridionali.
- l’incapacità di apprendere rapidamente dai successi di altri Paesi, quali Corea del Sud, Taiwan e Singapore, che sono stati in grado di contenere il contagio abbastanza velocemente attraverso un sistema coerente di azioni simultanee, dove, ad esempio, i test si sono rivelati efficaci perché erano combinati con il rigoroso tracciamento dei contatti che a sua volta era combinato con un sistema di comunicazione efficace che raccoglieva e diffondeva informazioni sui movimenti delle persone potenzialmente infette. Ancora adesso, dopo un anno dall’esplosione della pandemia, il nuovo Piano strategico-operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale, approvato il 25 gennaio 2021, pone pochissima attenzione alle strategie che hanno permesso ai paesi più virtuosi al mondo di controllare l’epidemia e di avere poche decine di morti.
Secondo alcuni studiosi l’impreparazione del nostro sistema e gli errori nella gestione della pandemia sono una conseguenza di una impostazione errata del Sistema sanitario nazionale che è tutto incentrato sulla cura della malattia piuttosto che sulla promozione della salute e sulla prevenzione, che pure ha rappresentato uno dei capisaldi della Riforma sanitaria, ma che è stata completamente negletta in Italia che, tra i paesi dell’OCSE, è quello che generalmente spende meno in prevenzione: solo il 4,2% della spesa sanitaria.
Questo potrebbe essere una plausibile spiegazione, al di là di eventuali responsabilità personali, per cui ben poca attenzione e assai poche risorse siano state dedicate all’acquisizione da parte dell’Italia delle 8 capacità fondamentali per affrontare le epidemie, ignorando le sollecitazioni e sottovalutando gli allarmi, e per cui anche nella gestione sanitaria della emergenza si sia concentrata l’attenzione sul paziente acuto, sull’individuo “malato” trascurando la protezione dei soggetti fragili, i più esposti in questa pandemia, per esempio gli anziani ospitati nelle residenze; escludendo gli operatori sanitari e quelli dei servizi pubblici essenziali dall’applicazione della misura della quarantena con sorveglianza attiva; somministrando un insufficiente numero di tamponi, con l’esclusione di intere categorie di lavoratori a rischio o ad alto rischio o degli stessi soggetti “fragili”; sottovalutando il ruolo dei medici di medicina generale e trascurando l’ approvvigionamento per tempo di dispositivi di protezione individuale e per la respirazione assistita.
Ma credo sia arrivato il momento che la politica, nel senso più alto e nobile della parola, si faccia carico di avviare una riflessione su tutto questo e parta da questa tremenda pandemia per ripensare il modo di tutelare e promuovere la salute nel nostro Paese e porre le basi per creare un sistema sanitario migliore, incentrato sulla prevenzione; capace di promuovere la salute degli individui e di prendersi cura di tutti , a cominciare dai soggetti fragili, e anche di chi non può guarire, oggi troppo spesso dimenticato da un apparato orientato solo all’eradicazione della malattia; di creare un sistema incentrato sulla cura della persona e della sua complessiva dimensione psicofisica; su servizi sanitari e sociali integrati, capaci di prevenire l’acuirsi o l’insorgere di nuove patologie, un sistema quindi in grado di affrontare efficacemente le future pandemie o le altre emergenze sanitarie che sono oggi eventi assai probabili, per contrastare i quali è necessario acquisire tutte quelle capacità indicate dall’OMS come fondamentali.
Solo una operazione del genere consentirà al Governo di impiegare nel modo migliore le ingenti risorse previste per la sanità nel PNRR, individuando per tempo le risorse umane e le modalità per iniziare a costruire un sistema sanitario più efficace e, è il caso di dirlo, resiliente.
Se così non sarà, gli ingenti costi umani, sociali ed economici provocati dal Covid 19 saranno stati inutili.
Per approfondire
Si ricordano gli altri articoli dell’autrice pubblicati dalla rivista sulla stessa tematica: