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Lotta al Cybercrime, Onu approva primo trattato (su iniziativa di Russia e Cina). I difensori dei diritti umani e big tech: “È sorveglianza globale”

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Uno dei punti più criticati: “Uno Stato può, per indagare su qualsiasi reato punibile con almeno quattro anni di reclusione ai sensi della propria legislazione nazionale, richiedere alle autorità di un altro Stato qualsiasi prova elettronica collegata a tale reato e richiedere i dati di accesso”. L’appello di Human Rights Watch ai Governi: “Rifiutare di firmare o ratificare questo trattato”.

“Uno Stato può, per indagare su qualsiasi reato punibile con almeno quattro anni di reclusione ai sensi della propria legislazione nazionale, richiedere alle autorità di un altro Stato qualsiasi prova elettronica collegata a tale reato e richiedere i dati di accesso”. Questo è uno dei punti più criticati dai difensori dei diritti umani e dalle aziende tecnologiche del primo trattato (nato su iniziativa di Russia e Cina anni fa) per combattere il cybercrime, approvato dagli Stati membri delle Nazioni Unite.

“È sorveglianza globale”

Il testo, infatti, è stato immediatamente criticato dai difensori dei diritti umani e dalle principali industrie tecnologiche che mettono in guardia contro uno strumento di “sorveglianza” globale. Dopo tre anni di negoziati formali e una sessione finale di due settimane a New York, la “Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità informatica” è stata approvata per consenso e sarà successivamente sottoposta all’Assemblea Generale per l’adozione formale.

Faouzia Boumaiza Mebarki, presidente del comitato intergovernativo creato nel 2019 per elaborare questo trattato su proposta della Russia si è congratulata per i risultati raggiunti. 

Il nuovo trattato potrebbe entrare in vigore dopo essere stato ratificato da 40 Paesi. 

L’obiettivo è “combattere più efficacemente la criminalità informatica” e rafforzare la cooperazione internazionale in questo settore, in particolare contro la pornografia infantile o il riciclaggio di denaro.

“Abbiamo dimostrato l’importanza della volontà politica e della nostra determinazione collettiva nel prevenire e combattere la criminalità informatica attraverso la cooperazione internazionale”, ha affermato il delegato sudafricano, “l’assistenza tecnica e lo sviluppo delle capacità forniranno il supporto necessario ai Paesi con infrastrutture informatiche meno sviluppate”. Ma gli oppositori del trattato, un’inedita alleanza tra difensori dei diritti umani e grandi aziende tecnologiche, denunciano una portata troppo ampia.

L’appello di Human Rights Watch ai Governi: “Rifiutare di firmare o ratificare questo trattato”

Il testo prevede in particolare che uno Stato possa, per indagare su qualsiasi reato punibile con almeno quattro anni di reclusione ai sensi della propria legislazione nazionale, richiedere alle autorità di un altro Stato qualsiasi prova elettronica collegata a tale reato e richiedere i dati di accesso. Sarà “una catastrofe per i diritti umani ed è un momento buio per le Nazioni Unite“, ha detto all’AFP Deborah Brown di Human Rights Watch, descrivendo uno “strumento di sorveglianza multilaterale senza precedenti”.

Può essere usato per reprimere giornalisti, attivisti, persone LGBT, liberi pensatori e altri, oltre confine”, ha lamentato. In questo contesto, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani aveva espresso serie riserve sul testo, invitando questa settimana gli Stati a “garantire che i diritti umani siano al centro della Convenzione”. “I difensori dei diritti, i ricercatori e i bambini non dovrebbero temere la criminalizzazione delle attività protette“, ha aggiunto su X.

Ecco il suo appello: “Il trattato sulla criminalità informatica adottato dall’ONU è uno strumento di sorveglianza senza precedenti, privo di adeguate garanzie. I governi dovrebbero prendere sul serio i propri obblighi in materia di diritti umani e rifiutare di firmare o ratificare questo trattato.”

Critiche anche dall’ex relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di espressione: “Sarà sarà un disastro per la protezione dei diritti umani oltre confine. Uno strumento in più per gli Stati autoritari”

“Mi rendo conto che si tratta di un ultimo tentativo disperato”, ha scritto David Kaye, “ma come ex relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di espressione, ex responsabile della Global Network Initiative e osservatore di lunga data della stesura dei trattati delle Nazioni Unite, nonché amico di molti membri dell’amministrazione, volevo esortare il governo degli Stati Uniti a non unirsi al consenso nell’attuale negoziazione del trattato sulla criminalità informatica a New York. Ho seguito questo processo da quando Russia e Cina lo hanno avviato anni fa e, insieme al protocollo che deve essere negoziato, sarà un disastro per la protezione dei diritti umani oltre confine. Metterà una pressione eccessiva sul Dipartimento di Giustizia, sulla Casa Bianca e sullo Stato affinché acconsentano alle richieste di condivisione di informazioni sui cosiddetti criminali senza fornire un’adeguata protezione per i ricercatori sulla sicurezza e cybersicurezza, i giornalisti, le figure dell’opposizione e altri. Il governo degli Stati Uniti ha aderito a questo processo in buona fede, ma l’altra parte non ha mai consentito nemmeno la più ragionevole delle protezioni. Il risultato è un trattato prolisso e confuso che fornirà agli autoritari molti più strumenti di quante protezioni fornisca alle democrazie. Grazie per tutto quello che potrai fare per porre un freno a questa minaccia alla libertà fondamentale di Internet, che il Senato non ratificherà mai ma che amplierà una norma globale che sfavorisce i diritti umani”.

Le Big tech: “Gli Stati non dovrebbero firmare o applicare questa convenzione”

Sebbene vi sia consenso sulla lotta alla pornografia infantile e allo sfruttamento sessuale dei bambini, alcuni sono preoccupati per la possibile criminalizzazione dei selfie intimi o delle immagini scattate da un minore durante un rapporto sessuale consensuale. “Sfortunatamente, (il comitato) ha adottato una convenzione senza affrontare molti dei principali difetti individuati dalla società civile, dal settore privato e persino dall’organismo delle Nazioni Unite per i diritti umani”, ha denunciato all’AFP Nick Ashton-Hart, che guida la delegazione del Cybersecurity Tech Accord, riunendo più di 100 aziende del settore come Microsoft o Meta, “pensiamo che gli Stati non debbano firmare o applicare questa convenzione”.

Alcune delegazioni ritengono, al contrario, che il trattato dia troppo spazio ai diritti umani. La Russia, storica sostenitrice di questo processo, ha deplorato pochi giorni fa un trattato “più che saturo di garanzie legate ai diritti umani”, accusando alcuni Paesi di “perseguire obiettivi meschini ed egoistici sotto la copertura dei valori democratici”.

Durante la sessione di approvazione del testo, l’Iran ha cercato di eliminare diverse clausole che presentavano “difetti significativi“. Uno dei paragrafi in questione sottolinea in particolare che “nulla della presente Convenzione deve essere interpretato nel senso di consentire la repressione dei diritti umani o delle libertà fondamentali“: libertà di espressione, di coscienza, di opinione, di religione, di associazione. Ma la richiesta di cancellazione è stata respinta con 102 voti contrari, 23 favorevoli (tra cui Russia, India, Sudan, Venezuela, Siria, Corea del Nord, Libia) e 26 astensioni. Né l’Iran né nessun altro Paese, tuttavia, hanno scelto di impedire l’approvazione per consenso.

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