Le immagini dell’orrore dal kibbutz Kfar-Aza e Be’eri con bambini sgozzati nei loro letti, i loro genitori trucidati nele sale da pranzo e ostaggi trascinati su moto e pick-up mostrati alla folla nudi e picchiati ci espongono all’abisso, ancora una volta. Ma tutto questo “male assoluto” – direbbe Agnes Heller – che richiama solo le retate e fucilazioni naziste nei ghetti ebraici del 1940 (tra Varsavia, Parigi e Roma) cosa c’entra con la religione, con Dio.
Nulla ovviamente, è solo un simbolo di una “tragica vittoria” da dare in pasto ai potenti del mondo e a schiere di terroristi potenziali ma non al Popolo Palestinese né al Popolo Ebraico inermi che sul confine con Gaza di fronte a questo scempio della “dignità umana” hanno rivisto la devastazione della persona e del suo spirito che solo la Shoah aveva disvelato in tutta la sua potenza del male.
Qui il Popolo Palestinese è usato strumentalmente per “giustificare” tanta violenza, ben fotografata e filmata per offrirla all’opinione pubblica mondiale sui social per scatenare una polarizzazione tra “buoni e cattivi” a rappresentazione della propria atroce potenza contro donne e bambini indifesi.
Un atto contro l’umanità e non un atto di guerra che ha delle convenzioni da rispettare per rimanere nel perimetro della Civiltà.
Una condotta dei terroristi di Hamas che li pone fuori dal “genere umano” come l’Isis o la Jihad islamica del 9/11th con un ritorno al Medioevo e che è invece accolta con folle orgoglio dal regime teocratico degli ayatollah dell’Iran ma non anche dal popolo iraniano. Ma come è stato possibile tutto questo tremendo riemergere del “male assoluto” e quali le “soluzioni” se mai ne emergessero pur flebili tracce che comunque vanno cercate senza tregua?
Certo questa reazione israeliana che ci deve essere dovrà fare attenzione al “come” e alla sicurezza delle popolazione civile non potrà essere guidata dalla vendetta e dall’odio che le “tremende e immonde immagini” vorrebbero scatenare per attirare Tsahal nella “Grande Trappola” della “Gabbia di Gaza” accecati dal trauma del 7 ottobre da “perdita di invincibilità” e dall’urgenza di una “permanente emergenza”.
Il messaggio diretto di Israele alla popolazione palestinese da aria, terra e social di spostarsi verso sud è arrivato e le persone stanno fuggendo con quel che possono e con centinaia di migliaia di bambini verso una linea di fuga che non c’è dato che Rafah sul confine egiziano è chiuso.
Oltre un milione di persone già martoriate da assenza di luce, acqua e gas con ospedali al collasso da giorni sono in movimento verso un “non dove” quale segnale che l’entrata da terra stà per iniziare anche se non sono chiari gli obiettivi.
Uno fra tutti: Hamas è tutta a Gaza o è “allocata” in diversi paesi dell’intorno arabo? Tagliare la testa a Hamas di Gaza risolverebbe il problema di leadership, struttura militare e di armi disponibili? Interrogativi che al momento non hanno risposte certe. Perché sia chiaro, in primo luogo, che la deterrenza “nascosta ” (o dissimulata) protegge” Israele da qualsiasi attacco esterno di scala ma non anche da attacchi interni di “magnitudo locale diffusa” (come quello del 7 ottobre).
Inoltre, in secondo luogo, all’interno il legame indissolubile con l’OLP costringe lo Stato di Israele (che lo ha voluto, protetto e finanziato) ad una attenzione specifica avendo “frammentato” i territori della Cisgiordania con una “colonizzazione illegittima” (viste anche le numerose risoluzioni ONU da decenni sempre disattese) scivolando nell’”apartheid” (vedi situazione di Hebron e altre cittadine di West Bank a nord e sud di Gerusalemme dove l’esercito israeliano tiene distinte e separate comunità palestinese e comunità ebraica con reti di check point e trasporti distinti).
Nel complesso nello sforzo di evitare “saldature o contagi” tra sunniti e sciiti con i palestinesi di Gaza sotto il tacco autoritario e violento di Hamas sostenuta dagli ayatollah sciiti a sud e da Hezbollah nel sud del Libano che “provocano ma senza muoversi” (per ora).
Compito arduo, allora, proteggere il (sunnita) popolo palestinese dal contagio sciita? In terzo luogo, si tratterà di salvaguardare l’alleanza strategica con USA (e con non minore intensità con l’UE) senza il quale Israele non potrebbe resistere nè (forse) esistere con paesi confinanti che lo circondano e minacciano in permanenza, sostanzialmente conniventi a corrente alternata con la Russia di Putin e (in parte) con la teocrazia iraniana, entrambi alla ricerca disperata di nemici esterni finanziando bande terroristiche per il mondo.
In questo quadro vanno meditate le mosse delle prossime ore e giorni che hanno al centro non solo la sicurezza di Israele ma la sua stessa sopravvivenza, ripristinando una leadership e una reputazione andata in frantumi il 7 ottobre riavviando innanzitutto il cammino degli Accordi di Abramo (che non sono solo di natura “commerciale”) la cui traiettoria dipenderà anche dalle scelte delle prossime ore. Perché è evidente che una entrata a Gaza “scarponi a terra” per una battaglia “casa per casa” può essere dolorosissima e anche in caso di vittoria per fare cosa ? Rimanerci e “governare come in un Protettorato” ma in un clima incendiario continuo (interno)? Oppure “cacciare” (quasi 3 milioni di persone) ma dove e dopo oltre 16 anni di stenti, povertà e disperazione? E riuscendo anche a “cacciarli” (a parte questioni etiche e umanitarie di difficilissima soluzione) si creerebbe un nemico “esterno” ancora più terribile per decenni, “spaccando” l’opinione pubblica occidentale ( e mondiale) con esiti imprevedibili sul lato delle alleanze (e degli aiuti).
Insomma, serve una “Terza Via” che il Governo Israeliano di Unità Nazionale – o dovremmo dire di “saggezza ebraica nazionale” – e senza gli estremisti teocratici con l’intelligenza di Tsahal e la visione di un Mossad risvegliato (certo con l’appoggio occidentale e del mondo moderato arabo) dovrebbero costruire a breve senza scivolare né in un inumano e impossibile assedio, nè intrappolati nella “Gabbia di Gaza” che è quello che vorrebbero Hamas e i suoi alleati contro l’interesse dei palestinesi.
Tra questi strumenti forse anche quello urgente (vista l’opposizione alla riforma della giustizia di questi ultimi mesi) di darsi una mappa costituente (ossia una carta costituzionale) per non viaggiare più a “luci spente nella notte del cielo di Abramo” unendo tutte le componenti della storia di questo luminoso paese nei secoli dei secoli e aprire varchi di futuro possibile di due popoli millenari accompagnandosi mano nella mano a ritrovarsi e convivere per un Medio Oriente-Mondo in pace e in una prosperità condivise.