Domenica scorsa (6 febbraio 2022), il dorso romano del “Corriere della Sera” scriveva a chiare lettere “Cinema, le sale romane nel baratro. La crisi nera dei cinema, hanno chiuso 30 sale”, precisando “crollano gli incassi del 70 %, dal gennaio 2019 a oggi. La concorrenza dello streaming”, in una inchiesta firmata da Flavia Fiorentino. Da segnalare che il 10 gennaio ha chiuso anche il Cinema Caravaggio di via Paisiello (ai Parioli, quartiere della buona borghesia romana), per mancanza di “materia prima”: i distributori non hanno interesse a fare promozione e rimandano l’uscita dei film. Aveva 4 o 5 spettatori al giorno… Si tratta di una sala che era stata rilanciata, alcuni anni fa, in modo moderno ed intelligente, con una programmazione di qualità, da un giovane intraprendente ex dirigente dell’Anec/Agis, Gino Zagari, a partire da una ex sala parrocchiale.
L’altro ieri (mercoledì 9 febbraio 2022), lo stesso quotidiano, ma nelle pagine nazionali, e con un articolo di Paolo Conti (la firma alta del giornale in materia di politiche culturali), rilancia la denuncia, intitolando “Così la città del cinema sta perdendo le sue sale”. Conti interpella il Ministro della Cultura Dario Franceschini, che sostiene: “La situazione delle sale non va sottovalutata. Nonostante i tanti strumenti e i fondi messi in campo dal governo negli ultimi anni, e con maggiore forza durante la pandemia, molte realtà non riescono a ripartire o si trovano a chiudere. Questo va scongiurato in tutti i modi”.
D’accordo, Ministro, ma come scongiurare, concretamente?! Risponde Franceschini: “bisogna riavvicinare il pubblico lavorando soprattutto sulle nuove generazioni che stanno perdendo la consuetudine di vedere i film in sala. Cinema e teatri sono luoghi magici e sicuri e l’andamento dei contagi ci permette di ripartire con forza con le promozioni”.
La chiusura delle sale non riguarda certamente Roma soltanto, nell’edizione odierna della qualificata newsletter “Box Office” (diretta da Vito Sinopoli, edita da e-duesse), Valentina Torlaschi segnala chiusura dell’elegante sala Arlecchino, nel Centro Storico della città e riporta il pensiero del titolare Tomaso Quilleri: “è un dispiacere prendere questa decisione. Purtroppo, in un’ottica di redditività industriale, le monosale sono una realtà che opera strutturalmente in perdita: era così già prima della pandemia e ora con la situazione critica dell’intero settore è ancora peggio. Le monosale possono ormai operare solo in una logica di presidio culturale e di luogo di aggregazione di una comunità”. Quilleri focalizza bene il problema, che riguarda anche le dinamiche di “desertificazione culturale” di molte città italiane, tra cinema che chiudono e librerie che sopravvivono con difficoltà. Aggiunge: “a Milano esistono monosale di questo tipo, che funzionano molto bene, come il Beltrade: sono luoghi di incontro, gestiti come con una creatività artigianale, come una bottega o una boutique. Luoghi che però devono poter contare su una comunità locale, su un pubblico di prossimità, di quartiere: la zona dell’Arlecchino, purtroppo, è ormai diventata solo una zona di shopping”. Il problema della degenerazione del tessuto sociale e commerciale delle nostre città non ci sembra venga affrontato con la sensibilità che pure richiederebbe.
E non si può assistere passivamente alla resistenza di alcune sale che mantengono coraggiosamente un presidio, anche come laboratori culturali (accolgono festival, iniziative di dibattito, attività con le scuole…): a Roma, restano eroici lo storico Cinema Farnese, nella omonima piazza, ed il Nuovo Aquila, nel quartiere semi-periferico del Pigneto. Ma vogliamo che queste divengano eccezioni nel deserto cinematografico metropolitano?!
Abbiamo affrontato la crisi del cinema in sala su queste colonne, in tante occasioni: da ultimo, si romanda a “Key4biz” del 28 dicembre 2021, “Il cinema in sala muore (-70 % di incassi) ma il Governo resta a guardare”.
Per quanto riguarda lo specifico “cinematografico” (inteso come “theatrical”), “promozione” è in effetti la parola-chiave. E non si deve essere esperti di marketing per comprenderlo. È finanche banale.
E quindi stupisce che il Ministro si sia intensamente impegnato nel rafforzare il sostegno pubblico al cinema ed all’audiovisivo (il fondo della legge che porta il suo nome è passato dai 400 milioni di euro l’anno a ben 750 milioni di euro), ma il comparto “theatrical” non sia stato oggetto di particolare attenzione.
Sono stati sì erogati sostegni e “ristori”, e sono state allocate anche risorse del “Recovery Plan”: a parte i 260 milioni destinati alla rigenerazione e rilancio degli “studios” di Cinecittà (ancora una volta, si investe sul versante della “produzione”, ignorando la fase finale della filiera cinematografica), va segnalato che poco prima di Natale la Direzione Cinema e Audiovisivo del Ministero (retta da Nicola Borrelli) ha pubblicato l’avviso pubblico per la presentazione delle proposte di intervento “per la promozione dell’ecoefficienza e per la riduzione dei consumi energetici” di cinema e teatri, sia pubblici che privati, da finanziare con 200 milioni di euro del “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” (alias “Pnrr”). Si tratta senza dubbio di un intervento valido ed importante, che contribuirà anche al complessivo ammodernamento del parco-sale italiane, ma, ancora una volta, si pone come azione della mano pubblica che non sostiene la fase finale dell’offerta (i film in sala) e non stimola la domanda (dei potenziali spettatori in sala).
È indispensabile ed urgente una campagna promozionale potente e robusta per il “theatrical”: 20 o 30 se non 50 milioni di euro
Il dato di fatto oggettivo è che ad oggi non è stata dedicata nessuna attenzione ad una campagna promozionale potente e robusta di ri-stimolazione alla fruizione in sala. Serve un budget adeguato, almeno 20 se non 30 o 50 milioni di euro. Sono cifre compatibili con l’attuale intervento dello Stato nel settore. La ripartizione tra le varie aree di intervento va modificata.
Lo abbiamo denunciato molte volte, anche su queste colonne, nel silenzio dei più.
D’altronde, se lo Stato sta saggiamente per iniettare nel sistema della scuola oltre 50 milioni di euro per stimolare la cultura cinematografica e audiovisiva (vedi “Key4biz” del 1° febbraio 2022, “Borgonzoni (Mic), sbloccati fondi per 54 milioni. Cinema come materia scolastica?”), un budget simile non è necessario per ri-stimolare la fruizione di cinema nelle sale?!
Temiamo che la gravità del problema “promozione” sia stata sottovalutata, gli effetti di questa distrazione istituzionale sottodimensionati.
È un dato di fatto che l’iniezione di risorse pubbliche nel sistema abbia determinato e stia determinando un notevole incremento della quantità di opere prodotte, tra film destinati “anzitutto” alla sala cinematografica e “fiction” destinata ad alimentare i palinsesti delle emittenti televisive ed i cataloghi delle piattaforme, ma la sala cinematografica continua ad essere trascurata in modo preoccupante.
Il problema è di natura ideologica, ovvero culturale, e riguarda anzitutto chi ci governa: crediamo che stia prevalendo una idea di rassegnazione rispetto alle modificazioni strutturali dell’industria audiovisiva, ovvero la convinzione che la sala cinematografica in fondo (è destinata a) una funzione accessoria, e non centrale, nell’economia anche semiotica dell’immaginario audiovisivo.
Riteniamo che si tratti di un errore grave, anzi gravissimo, perché azzera la funzione socio-culturale di questa modalità di fruizione collettiva, anche come presidio di una visione aperta e pubblica della dimensione metropolitana (senza dimenticare la funzione non meno preziosa nei paesi della provincia italiana).
Va anche ricordato che senza dubbio “la crisi” è stata aggravata ed accelerata dalle conseguenze della pandemia Covid-19, e dalla forzata chiusura, per un lungo lasso di tempo, delle sale cinematografiche (così come di quelle teatrali). Al di là della inevitabile disaffezione al consumo in sala, sono stati adottati provvedimenti che hanno determinato conseguenze nell’economia della filiera: con l’esplosione della pandemia, la finestra di esclusiva in sala, prima del passaggio in televisione, si è ridotta da 105 a 30 giorni.
La questione centrale: la non promozione di un modello culturale di fruizione (la sala, appunto)
Ma non è questo – riteniamo – il problema essenziale: la questione centrale è la (non) promozione di un modello culturale di fruizione.
La fruizione digitale individuale sta ubriacando tutti e sta assumendo una centralità impropria, anche nelle dinamiche infra-psichiche.
Le conseguenze sono inquietanti anche a livello psico-sociale, e certamente non soltanto a livello di consumi culturali.
E ci sembra che anche la cosiddetta “industria” non percepisca le caratteristiche drammatiche di questa contrazione dei consumi.
L’ottimismo del Presidente dell’Anica Francesco Rutelli è giustificato?
Ancora una volta, per esempio, emerge nel suo abituale e solare ottimismo, l’ex Ministro (2006-2008) della Cultura Francesco Rutelli, che guida la confindustriale Anica (la principale associazione del settore) che dichiara che “la nuova nomination di Paolo Sorrentino agli Oscar e quelle di Massimo Cantini Panini per i costumi di ‘Cyrano’ e per la migliore ‘animated feature’ di ‘Luca’ (Disney) con Enrico Casarosa sono un incoraggiamento al ritorno del grande pubblico nelle sale cinematografiche dopo questo drammatico periodo di crisi. Con la fine dell’emergenza da Covid e l’arrivo di nuovi film anche il pubblico ritroverà la loro bellezza e il loro fascino”. Francamente, ci domandiamo su che cosa basi il suo ottimismo, il Presidente dell’Anica, anche perché è peraltro tutto da dimostrare l’effetto concreto dei premi vinti nei festival internazionali sul mercato “theatrical” italiano. Invece di protestare in modo veemente, Rutelli sorride. Qualcuno potrebbe commentare ironicamente che questa dinamica è perfettamente naturale, allorquando l’Anica ha accolto, nell’aprile del 2020, con entusiasmo anche, Netflix tra i propri associati. Ed il 15 dicembre scorso, Rutelli ha annunciato l’estensione del “perimetro” dell’Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Digitali: allle tre unioni fondative (quella dei produttori, dei distributori cinematografici e delle imprese tecniche), se ne sono aggiunte altre tre: editor e creatori digitali, esportatori internazionali ed editori media audio visivi… Il digitale cavalca. La neonata “Unione Editori Media Audiovisivi” dell’Anica è costituita da imprese come Amazon Prime Video, Chili, Disney, Netflix, Tim e ViacomCbs. Ciò basti.
Temiamo che prevalga inerzia e rassegnazione. Maurizio Caverzan, sulle colonne del settimanale “Panorama”, intitola in questi giorni “Addio sala, il cinema è solo formato divano”, nell’edizione in edicola ieri l’altro 9 febbraio. Si domanda: “il destino delle sale assomiglia a quello delle videoteche e dei distributori di dvd, completamente scomparsi? A quello delle cabine telefoniche, che sopravvivono come residuati di un mondo vintage? O a quello delle edicole, che si arrendono malinconicamente una alla volta?”. Che triste prospettiva.
Una domanda sorge spontanea e naturale: e se è vero (ed è vero) che il fatturato complessivo dell’industria… libraria italiana è in crescita (ed i dati dell’Associazione Italiana Editori – Aie lo certificano), se è vero (ed è vero) che il fatturato dell’industria… musicale italiana è in crescita (ed in dati della Federazione Italiana Musica Italiana – Fimi lo certificano), qual è la situazione reale dei comparti delle sale cinematografiche, delle sale teatrali, delle librerie, delle edicole?!
Editoria libraria: nel 2021, 1,7 miliardi di euro, ovvero + 16 % di ricavi sul 2020
Per quanto riguarda l’editoria, va segnalato che il 28 gennaio, l’Aie ha comunicato che, sulla base delle proprie rilevazioni, l’editoria cosiddetta “di varia” – ovvero romanzi e saggistica – è cresciuta nel 2021 di ben il 16 per cento rispetto al 2020. Nel secondo anno di pandemia, l’editoria di varia (libri a stampa di narrativa e saggistica venduti nelle librerie fisiche, “online” e grande distribuzione organizzata) ha raggiunto gli 1,7 miliardi di euro di vendite a prezzo di copertina, per 116 milioni di copie (18 milioni in più del 2020), in crescita rispettivamente del 16 % e del 18 % rispetto all’anno precedente. “I dati confermano le nostre previsioni di settembre: l’editoria italiana ha saputo reagire alla pandemia e, anche grazie alle politiche di sostegno pubblico messe in atto da governo e parlamento, chiude il 2021 in forte crescita, dopo un 2020 già soddisfacente”, ha sostenuto il presidente dell’Aie, Ricardo Franco Levi.
Industria musicale: nel 2021, + 34 % di ricavi sul 2020 (erano stati circa 250 milioni di euro)?
Per quanto riguarda la musica, la Fimi non ha ancora pubblicato dati relativi all’intero anno 2021: l’ultimo comunicato sui dati di mercato risale al 2 settembre 2021, ed è relativo al “1° semestre dell’anno”, con un + 34 %. Il mercato discografico italiano, secondo Fimi, è cresciuto complessivamente del 34 % nei primi sei mesi dell’anno, soprattutto grazie all’affermazione del segmento “premium streaming”. I ricavi da abbonamenti sono infatti cresciuti del 41 %, seguendo il trend iniziato nel 2020, con un forte spostamento generale dei consumatori verso i servizi in abbonamento. In forte crescita anche i ricavi dal segmento video, saliti del 48 %. Dopo un 2020 complesso in termini di accesso e distribuzione, è tornato a crescere anche il segmento fisico. Si registra in particolare il successo del vinile, che ha visto un boom con un incremento del 189 %: è ormai il supporto decisamente di punta, dopo aver scavalcato il cd, che ha pur visto una crescita del 52 %… Per quanto riguarda le dimensioni calcolate in “euro”, siamo fermi ancora ai dati dell’anno 2020, con un valore del mercato fisico e digitale nell’ordine di poco più di 259 milioni di euro. Questa la divisione: mercato digitale 172 milioni + mercato fisico 40 milioni, per un totale di 212 milioni di euro, ai quali vanno aggiunti 38 milioni di euro per i diritti e 8 milioni per il “sync”. Si resta anche in attesa della pubblicazione dello studio di settore “La musica che conta”, promosso dall’Afi (Associazione Fonografici Italiani), di cui è stato anticipato qualche dato a fine novembre.
Complessivamente, si stima quindi che l’editoria libraria italiana abbia un business nell’ordine di 1,7 milioni di euro, a fronte di un’industria musicale che non arriva a 300 milioni di euro l’anno… Cifre sulle quali è bene riflettere.
Torneremo presto su queste numerologie, che riteniamo debbano essere ben contestualizzati nell’economia del complessivo sistema culturale italiano.
Ed i cinematografi, ed i teatri, e le librerie, e le edicole? “No data”.
Purtroppo – come abbiamo segnalato infinite volte – non è ancora disponibile in Italia un “rapporto” annuale, una radiografia accurata e completa dello “stato di salute” del sistema culturale nazionale.
Non esiste una fonte affidabile e completa che consenta di comprendere quanti cinema e teatri e quante librerie e quante edicole abbiano chiuso, anno dopo anno, in quali Regioni e città e paesi… Incredibile, ma vero: “no data”.
Esistono contributi assai parziali e molto settoriali: dallo storico “Annuario dello Spettacolo” dell’Osservatorio dello Spettacolo della Società Italiana Autori Editoria (Siae) ai dossier statistici dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom), dai contributi dell’Osservatorio dello Spettacolo del Ministero della Cultura (Dg Spettacolo dal Vivo), ai contributi di soggetti privati come Cinetel e Federcultura e la Fondazione Symbola e Civita…
Non è però disponibile una visione analitica pubblica minimamente completa.
E non v’è nessuna certificazione pubblica dei dati – settoriali e parziali – disponibili, se non per quanto riguarda le elaborazioni della Siae.
In Italia, purtroppo non esiste ancora uno strumento cognitivo completo, che consenta – alle istituzioni ed agli stessi organizzatori culturali – di comprendere le caratteristiche strutturali del sistema, di analizzare diacronicamente l’evoluzione (o involuzione) dei singoli settori del sistema delle industrie culturali e creative, l’andamento dell’offerta e della domanda in relazione ai modi e luoghi di fruizione…
E laddove prevale fitta la nebbia, prevale l’incapacità (l’impossibilità) di definire politiche culturali lungimiranti (basate su logiche documentate: la cosiddetta “evidence-bases policy”, assai poco praticata in Italia) in grado di affrontare efficacemente e tempestivamente le criticità del sistema.
E nel mentre i cinema, e i teatri, e le librerie, e le edicole… continuano a chiudere, nella sostanziale indifferenza dei più. In primis, l’indifferenza delle le istituzioni che pure dovrebbero salvaguardare questi luoghi della cultura dalle conseguenze della tanto decantata “rivoluzione digitale”.
Si sta interpretando – per alcuni aspetti – la “transizione digitale” come l’inevitabile destino di una visione monodimensionale dell’esistenza: una esistenza che sembra destinata a divenire quasi soltanto “digitale”.
Un destino infausto, che colpisce anche il sistema culturale tutto.