La Strategia nazionale per lo sviluppo della rete a banda ultralarga approvata dal governo appena pochi giorni fa è già a rischio.
E’ stato Andrea Guerra, consigliere economico del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, a suonare il campanello d’allarme, dichiarando in un’intervista radiofonica della scorsa settimana: “… o si procederà in 4-8 settimane o non se ne farà più nulla”.
Parallelamente lo stesso governo ha precisato con una certa fermezza che Metroweb sarà il driver dell’intera operazione. Ma ostacoli apparentemente insormontabili sembrano minare l’auspicato ruolo di guida della società della fibra presieduta da Franco Bassanini.
Va da sé che nel caso in cui non se ne facesse più nulla, salterebbe effettivamente la Strategia del governo per la banda ultralarga e verrebbe difficile trovare una giustificazione alla spesa di quei 6 miliardi di euro che il governo già include tra le disponibilità certe.
Un quadro, questo che sarebbe meglio non immaginare, ma il dato reale è quello di una situazione di stallo dalla quale sembra difficile uscire.
Come si è arrivati a questa situazione paradossale?
Ci sono almeno tre ragioni.
La prima ragione è l’assenza di una vera e propria politica industriale delle telecomunicazioni almeno dall’anno 2000, anno di assegnazione peraltro dei servizi di UMTS.
Per 15 anni nel nostro paese ci si è preoccupati solamente o prevalentemente di TV, in tutte le sue declinazioni. L’unico accenno di attenzione alle tlc è stato un bando marginale su WiMax (tecnologia oggi quasi in disuso). Per il resto il deserto dei tartari.
I governi non si sono preoccupati minimamente del settore e i risultati eccoli qui: siamo il fanalino di coda nella UE delle connessioni e dell’uso di internet tra la popolazione.
La seconda ragione è che nel corso degli ultimi 7-8 anni sono stati aperti con regolarità, pari alla loro inutilità, tavoli di confronto sul futuro delle tlc, che hanno coinvolto governo, imprese e AGCom. Il risultato è stato irrilevante: tutti i tavoli sono saltati perché qualcuno a un certo punto ha deciso di far volare la tovaglia e con essa posaterie e cristallerie.
La terza ragione (non molto distante dalla seconda) è l’altissimo tasso di litigiosità tra gli operatori, caratterizzato da un livello di scontro non registrato in nessun altro paese in Europa.
La litigiosità è talmente debordata che ormai per partito preso qualunque scelta o decisione istituzionale viene tacciata di partigianeria da parte di questo o quell’operatore contendente (quando non si consideri contundente). Il risultato è una inevitabile mancanza di rispetto verso i ruoli istituzionali, un mancato riconoscimento di autorevolezza che avvelena i rapporti con le istituzioni di settore e su questo fa testo quanto accade ormai con regolarità nei confronti di AGCom.
Le decisioni del consiglio AGCom vengono dagli operatori, tutti, automaticamente impugnate in sede di TAR, cui segue spesso un appello al Consiglio di Stato, con il risultato che la sede della definizione delle regole del mercato si sposta dal Consiglio dell’Autorità alle aule dei tribunali amministrativi. Anche questo, un fenomeno sconosciuto al resto d’Europa, quantomeno in queste misure.
Dati questi prerequisiti si capisce bene quanto sia difficile far dialogare tra loro gli operatori.
Ma torniamo alla Strategia per la banda ultralarga di Palazzo Chigi.
Il governo riconosce a Metroweb il ruolo di driver dell’intera strategia, un ruolo di pivot capace di stare a centrocampo coinvolgendo tutte le parti in commedia.
Perché questa indicazione?
Perché decaduta l’ipotesi dello scorporo della rete (intendiamo quella di Telecom Italia, un progetto ormai cancellato), uno schema di gioco come quello indicato consentirebbe di prefigurare sin da subito una nuova società della rete, distinta da tutti gli altri operatori storici, questa volta tutta in fibra e costruita intorno appunto a Metroweb.
Ma perché ciò avvenga dovrebbero stare tutti dentro e qui sorgono i dolori.
Telecom Italia ha detto di essere disponibile a entrare in Metroweb, ma solo a patto di controllare almeno il 51% della società.
Da canto loro gli altri operatori hanno dato la loro disponibilità ma solo a patto che Telecom Italia non abbia il 51%.
Due posizioni di difficile ricucitura.
Dal canto suo, Franco Bassanini, presidente di Metroweb, ha quindi rilasciato la scorsa settimana un’intervista a La Repubblica in cui dichiarava di esser pronto a procedere con gli altri operatori, nell’attesa che Telecom Italia ci ripensasse e si unisse al gruppo anche successivamente.
L’altra opzione suggerita a Telecom Italia è stata quella di entrare inizialmente con una quota minoritaria, ma con riserva di acquisire in seguito una quota maggioritaria (e gli altri operatori perché dovrebbero consentire in seguito ciò che non ritengono di poter accettare oggi?)
Ma va anche detto che non sembra praticabile una soluzione di ruolo guida di Metroweb senza la presenza totalitaria di tutti, dico tutti, gli operatori. Perché se così non fosse, la società veicolo non potrebbe accedere ai fondi europei…
Insomma il rebus non sembra di facile soluzione e il governo deve trovarne una, praticabile, sicura, di lunga gittata, per poter utilizzare i fondi europei e far decollare l’infrastruttura di rete di cui il paese ha assoluto bisogno.