Pochi osservatori, operatori, giornalisti hanno rilanciato un dato sconvolgente ed al tempo stesso deprimente, qual è lo squilibrio territoriale che si registra in Italia, tra Nord e Sud, in materia di consumi culturali: per la prima, questa asimmetria tra abitanti e consumatori di cultura è emersa in tutta la sua allarmante evidenza in occasione della pubblicazione del “Rapporto Siae 2021 sullo Spettacolo e lo Sport”, avvenuta il 17 novembre scorso (e di cui abbiamo proposto ampi resoconti su queste colonne: vedi, da ultimo, “Key4biz” del 17 novembre 2022, “Siae-IsICult, pubblicato il primo ‘Rapporto sullo Spettacolo e lo Sport nel sistema culturale italiano’”).
L’annuario 2021 della Società Italiana degli Autori ed Editori – che si è avvalsa della consulenza tecnico-scientifica dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale (IsICult), che cura anche questa rubrica “ilprincipenudo” per il quotidiano online “Key4biz” – ha proposto una messe di dati che evidenziamo uno squilibrio impressionante.
L’esistenza di questi squilibri non è nuova, nella letteratura scientifica (sia sociologica sia economica) italiana: il contributo saggistico più aggiornato in materia è rappresentato senza dubbio dall’edizione n° 4 del 2022 della rivista “il Mulino”, edita dalla omonima casa editrice, dedicata monograficamente a questa asimmetria, con il titolo “L’Italia dei divari”.
Si legge nella rivista (distribuita in questi giorni anche in edicola, oltre che in libreria): “Chi ha, chi non ha. Chi ha moltissimo, chi quasi nulla. La pandemia ha aperto ancora di più la forbice dei divari, ma i provvedimenti messi in campo si sono rivelati in molti casi palliativi. Per combattere le diseguaglianze e dare senso compiuto alla nostra democrazia, urgono invece politiche strutturali”.
La preziosa rivista edita dalla prestigiosa casa editrice affronta il tema del “divario” (anzi dei “divari”) tra Nord e Sud, da diversi punti di vista, dalla sanità alla scuola, ma ignora completamente la dimensione culturale, e sarebbe opportuno riflettere su questa rimozione.
Il Rapporto Siae ha invece messo in evidenza numeri incontrovertibili: in sintesi, rispetto alla distribuzione geografica dei consumi di spettacolo, emerge come il Sud sia una “macroregione” assolutamente svantaggiata, perché ha il 34 % della popolazione nazionale, ma soltanto un 20 % del totale di spettatori, a fronte del Nord che vanta il 58 % di spettatori a fronte del 46 % della popolazione; il Centro ha un 20 % di abitanti ed un 22 % di spettatori.
A livello di spesa, lo squilibrio è ancora maggiore, con un Nord che assorbe il 63 % del totale, a fronte del 20 % del Centro e del 17 % del Sud.
Questi dati, di natura censuaria (Siae misura l’intero “universo” delle fenomenologie del settore “spettacolo” e “sport”) sono coerenti anche con le indagini campionarie dell’Istituto Nazionale di Statistica, anche se l’Istat non sembra aver mai dedicato particolare attenzione alle analisi sulla distribuzione territoriale della fruizione di cultura.
Le concause di questo divario tra Nord e Sud sono varie e molteplici, ma merita una riflessione l’analisi di uno degli elementi di “offerta” di cultura, rappresentata dai “luoghi di cultura”, ovvero da quelli che retoricamente alcuni esponenti politici definiscono “presidi culturali” ed al contempo “presidi sociali”, rispetto ai quali non si registrano particolari attenzioni degli esecutivi che si sono avvicendati nel corso degli anni.
Non esiste in Italia una “mappatura” accurata ed aggiornata dei “luoghi di cultura” (cinematografi, teatri, librerie, edicole…)
Abbiamo già segnalato anzi denunciato come non esista ancora in Italia – incredibilmente – una “mappatura” accurata ed aggiornata dei cinematografi, dei teatri, dei luoghi di spettacolo altro, delle librerie, delle edicole… Soltanto delle biblioteche esistono dati abbastanza affidabili, a cura del Ministero della Cultura, e qualche dato sui teatri – purtroppo non aggiornato – è stato prodotto anni fa dall’Osservatorio dello Spettacolo dello stesso Mic. Dati interessanti esistono sulla offerta di festival, ma anche questi – prodotti dall’associazione culturale TrovaFestival – non sono stati oggetto di particolari approfondimenti territoriali né di certificazione metodologica.
E non esiste quindi nemmeno la possibilità di una analisi diacronica dei “luoghi di cultura”, che temiamo potrebbero fornire la conferma di quella strisciante moria che è percettibile, tra cinema ed edicole che chiudono, anno dopo…
Si dispone, insomma, di dati frammentari e non validati, e nessuna seria discussione (politica) sui “divari culturali” del nostro Paese è quindi possibile (almeno in termini scientifici).
Quanti sono, dei circa 8.000 Comuni italiani, quelli ormai privi finanche di una… edicola?!
Non è dato sapere, ma temiamo che una ricognizione accurata fornirebbe una conferma fattuale della “desertificazione culturale” di buona parte del territorio nazionale e quindi e dell’“astensionismo culturale” della popolazione italiana (esiste ovviamente una correlazione tra “offerta” e “domanda” di cultura…).
In Italia sono attive 3.640 librerie, di cui il 33 % al Sud, ma con soltanto un 17 % del totale degli addetti a livello nazionale
Un utile contributo di conoscenza è venuto nei giorni scorsi dalla pubblicazione del quarto rapporto semestrale dell’“Osservatorio sulle Librerie in Italia”, che ha realizzato l’Associazione Librai Italiani (Ali), aderente a Confcommercio: sono 3.640 le librerie in Italia, di cui 2.405 indipendenti, e occupano oltre 10.700 addetti.
In otto anni (2012-2020), si sono ridotte di 261 unità, e già questo dato dovrebbe stimolare preoccupazione, anche se si tratta di una riduzione dei luoghi dell’offerta che riteniamo sia di dimensioni assai inferiori rispetto alla moria di cinematografi e teatri. Questa riduzione nel numero delle librerie è influenzata anche, in modo prepotente, dall’offerta “online” di piattaforme web come Amazon, ed anche questa conseguenza della “rivoluzione digitale” dovrebbe essere oggetto di riflessione sociologica e politica… Entrare in una libreria, cercare un titolo e magari trovarne un altro (grazie anche al principio di serendipità…), chiedere consiglio ad un libraio… è dinamica psico-sociologicamente diversa (più ricca, più – ci sia consentito – “umana”) rispetto al cliccare su una scheda di un libro su un sito web ed ordinarlo per una consegna “postale” a casa.
La ricognizione Ail-Confcommercio, affidata alla società Format Research, offre anche alcune rilevazioni basate sui dati delle Camere di Commercio. Notoriamente i “codici Ateco” non sono proprio adatti a censire le “attività culturali”, ma, nel caso del settore delle librerie, riteniamo che possano essere piuttosto affidabili.
Interessante osservare come, delle 3.640 librerie, il 90 % è rappresentato dalle librerie che offrono libri nuovi, a fronte del 10 % che vendono libri “di seconda mano” (Ateco assegna alle due tipologie di “commercio al dettaglio” di libri due differenti codici).
Da segnalare che non risulta esistere alcuna ricerca sulle quasi 400 librerie dell’usato (non esiste nemmeno una associazione di categoria), che riteniamo siano un segmento di mercato particolarmente interessante, anche rispetto ad una circolazione, viva e vissuta, del prodotto “libro”. Da notare che le librerie del nuovo assorbono il 95 % del totale degli addetti del settore, a fronte del 5 % delle librerie dell’usato.
L’Osservatorio sulle Librerie italiane, pubblicato il 29 novembre (ma la ricerca Format reca la data del 14 novembre), consente anche di estrapolare alcuni dati “territoriali”. Emerge un quadro complessivo assolutamente migliore rispetto a quello di cui alle “fotografie” della Siae rispetto allo spettacolo: il Sud e le Isole (cioè quel che convenzionalmente si usa definire “Sud”) può vantare infatti una quasi perfetta simmetria tra la percentuale di popolazione e la percentuale di librerie, essendo attive nel Mezzogiorno il 33,3 % del totale delle librerie italiane, a fronte di una quota della popolazione del 36,6 %.
Il dato, assolutamente confortante, va però ridimensionato nella sua effettiva significatività, se si osserva la distribuzione geografica degli addetti: sul totale di 10.753 addetti nelle librerie di tutta Italia, soltanto il 16,7 % lavora nelle librerie del Mezzogiorno. Il che sta a significare che si tratta di librerie senza dubbio più piccole, e quindi verosimilmente con una minore attrattività, al di là delle comprensibili correlate differenze in termini di volumi di vendita e di fatturato (la ricerca Ali non fornisce informazioni su questi indicatori).
Sono dati che debbono stimolare opportune riflessioni di “politica culturale” e ci auguriamo che il Ministro Gennaro Sangiuliano (che è peraltro uno dei pochi ministri del “Sud”, nell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni) sappia coglierne l’importanza.
Conclusivamente, il Ministero della Cultura potrebbe avviare un primo censimento completo e quindi una inedita “mappatura” dell’offerta culturale in Italia: in effetti, ci si domanda come si possa “governare” al meglio un sistema culturale in assenza di dati accurati, precisi, aggiornati. Il rischio di “nasometria” è sempre in agguato.
Clicca qui, per il rapporto di ricerca Format Research per Associazione Librai Italiani – Ali (Confcommercio), “Osservatorio sulle Librerie in Italia”, pubblicato il 29 novembre 2022.