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L’intelligenza artificiale metterà in crisi il sistema capitalistico?

di Mario Caligiuri, direttore del Master in intelligence dell’Università della Calabria |

Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale potrà avere ripercussioni sulla sicurezza dell’ordine mondiale? Il tema, che fino a tempi recenti è stato relegato ad aspetti strettamente militari, merita di essere oggetto delle riflessioni e delle attività delle intelligence nazionali.

Pubblichiamo di seguito l’intervento del prof. Mario Caligiuri, già pubblicato sulla rivista italiana di intelligence Gnosis, che ringraziamo per aver consentito la pubblicazione.

L’intelligenza artificiale comporterà modificazioni profonde non solo per le persone e per gli stati, ma anche inevitabilmente nell’ordine mondiale. Per questo deve diventare una priorità delle attività delle Agenzie d’informazione. Tanto più che un dato da considerare nella massima evidenza è che gli esperimenti sull’intelligenza artificiale potrebbero essere promossi da privati e utilizzati contro gli stati. In analogia con quanto già accade nel cyberspazio che, nato con investimenti pubblici statunitensi è adesso in mano ai privati, nell’intelligenza artificiale si potrebbe verificare uno scenario simile. Questo induce l’intelligence a guardare con la massima attenzione in questa direzione.

Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale potrà avere ripercussioni sulla sicurezza dell’ordine mondiale? Imporrà il crollo del sistema capitalistico che da 500 anni determina le sorti del pianeta? Saremo favoriti e controllati dai Big Data? «L’intelligenza artificiale potrebbe distruggere l’uomo?»(1). Per le probabili ripercussioni, il tema, che fino a tempi recenti è stato relegato ad aspetti strettamente militari, merita di essere oggetto delle riflessioni e delle attività delle intelligence nazionali.

Nel 2017 la materia ha fatto registrare un notevole interesse: a luglio la Cina si è dotata di un Piano di sviluppo dell’intelligenza artificiale che entro il 2030 potrebbe mettere in discussione l’attuale primato degli Usa; a settembre Putin ha affermato che chi è in grado di sviluppare la migliore intelligenza artificiale riuscirà a comandare il mondo; a ottobre, un ministero per l’Intelligenza artificiale è stato istituito dagli Emirati Arabi Uniti, decisione così motivata dal primo ministro di Dubai: «Vogliamo che gli Emirati Arabi Uniti diventino il paese più preparato al mondo per l’intelligenza artificiale (2)». In Italia, la Camera dei Deputati si è occupata dell’intelligenza artificiale abbinata alla sicurezza informatica approvando, nel mese di maggio dello scorso anno, undici mozioni in cui, tra l’altro, è stato impegnato il governo a: favorire il coordinamento tra i vari ministeri; promuovere attività di formazione e studi nelle scuole, nelle università e nei centri di ricerca (3); analizzare gli effetti che lo sviluppo della robotica e dell’intelligenza artificiale avrà sull’occupazione (4), con la previsione di possibili e gravi disagi sociali (5).

Eppure, fino a pochissimo tempo fa, con l’eccezione degli Usa e di pochi altri, neanche il dibattito scientifico e culturale ne ha affrontato le ricadute sul futuro politico del pianeta, rimanendo confinato a confronti tecnici per specialisti.

Oggi, la dimensione della cyber intelligence viene considerata una priorità, poiché in un mondo sempre più connesso sono aumentati sia le opportunità che i rischi e la dimensione del cyber spazio diventa vitale (6). Infatti, l’economia digitale trascina quella reale, tanto che oltre il 90% di quella mondiale dipende da internet (7). Si analizza, inoltre, l’impatto dei Big Data nella vita quotidiana e nell’organizzazione sociale.

Ma questi fenomeni rischiano di essere secondari rispetto alle ricadute che l’intelligenza artificiale potrebbe provocare. Forse dovrebbe essere questo l’argomento principale in cima alle agende dei governi. Quali aspetti, allora, indagare? Quali scenari ipotizzare?

Conseguenze sulle persone

Al centro dello Stato ci sono i cittadini, per i quali le conseguenze dell’intelligenza artificiale saranno molteplici. Siamo di fronte a una duplice ibridazione, con gli uomini che utilizzano quantità sempre maggiori di tecnologia e le macchine che diventano sempre più intelligenti. Da un lato, gli uomini si avvalgono di protesi tecnologiche; dall’altro, i robot assumono comportamenti umani, diventando necessari nel lavoro, nelle abitazioni e nella società a supporto degli impegni della vita quotidiana, resa sempre più frenetica dallo sviluppo delle comunicazioni, con l’annullamento del naturale ritmo biologico tra il tempo del riposo e della veglia. È stato evidenziato che «con gli attuali trend demografici, sociali ed economici ci sarà davvero bisogno di un compagno universale che possa assistere l’uomo in ogni settore. Si tratta di una sfida tecnologica senza precedenti: robot ispirati agli esseri viventi, umanoidi, quadrupedi, volatili, capaci di interagire con l’essere umano e di assisterlo nelle sue necessità»(8).

Potrebbe quindi profilarsi il Cybionte preconizzato da Jöel De Rosnay (9) e da Giuseppe O. Longo (10)? Oppure si potranno manifestare gli emuli di Hall 9000, il robot protagonista del film 2001 Odissea nello spazio? Non ci vorrà molto per constatarlo. Dal punto di vista politico, poiché nel 2020 saranno collegati a internet oltre 20 miliardi di dispositivi, quattro volte la popolazione mondiale, già oggi connessa per oltre la metà in rete, sarà necessario per i governi definire due distinte politiche: una per i cittadini fisici e un’altra per quelli virtuali. Non deve sorprendere se gli europarlamentari stanno pensando a un particolare status giuridico per i robot che svolgeranno attività lavorative e sociali.

Secondo Elon Musk, l’uomo sarà costretto a diventare sempre più cyborg, cioè integrato alle macchine, poiché prevede l’impianto nel corpo umano di strati di intelligenza artificiale: «si tratta di una questione di larghezza di banda, la velocità di connessione tra il tuo cervello e la versione digitale di te stesso». Le macchine, ha osservato, comunicano alla velocità di «mille miliardi di bit al secondo», mentre l’uomo, il cui principale metodo di comunicazione è quello di digitare sulla tastiera di uno smartphone, va a circa 10 bit al secondo (11). Distinti approcci saranno richiesti anche per la politica estera, poiché potranno esistere degli stati soltanto sul web. Si pensi all’Islamic State, che ha operato prima sulla rete e poi si è materializzato sul territorio. C’è poi da chiedersi come si trasformeranno i meccanismi di partecipazione democratica, tra tecnologie, da un lato, e processi di automazione e sviluppo dell’intelligenza artificiale, dall’altro. Aspetti destinati a diventare sempre più urgenti e complessi potranno essere: come si esprimerà la partecipazione, con quali ricadute effettive, e chi garantirà la veridicità dei risultati, e il rispetto delle procedure?

La possibilità di formulare previsioni dei comportamenti umani attraverso i Big Data sarà sempre più concreta: si giungerà ad anticipare la commissione di reati, come descritto nel film Minority report? Non dimentichiamo che questa pellicola deriva dal racconto di fantascienza Rapporto di minoranza di Philip K. Dick (1956), dove si narra di un Dipartimento di Giustizia Precrimine istituito nel 2045 (12), lo stesso anno in cui – secondo Raymond Kurzweil – l’intelligenza artificiale supererà quella degli umani (13). Ci stiamo avvicinando davvero a questo? In città sempre più smart e interconnesse, dove la privacy è destinata a diventare evanescente e la sorveglianza incombente, dovremo convivere con i robot? Dovremo temere una loro ‘rivolta’? C’è chi argomenta che «i robot non avranno mai il sopravvento sugli esseri umani»(14), perché «la nostra macchina biologica, fondata sulle reti neurali con il loro sistema connesso di 100 miliardi di neuroni e miliardi di sinapsi, è semplicemente non riproducibile (anche perché frutto di un’evoluzione […] naturale durata svariate centinaia di milioni di anni)»(15). In definitiva, però, la questione non è questa, almeno per ora, considerando che l’ibridazione tra uomo e macchina è già in atto e si sviluppa con grande rapidità. Infatti, ora si tratta di gestire con consapevolezza questa fase, prima di tutto comprendendola. Per farlo abbiamo bisogno di sapere cosa stia realmente accadendo nei laboratori di ricerca pubblici e, soprattutto, privati di tutto il mondo. Queste conoscenze sono in gran parte possedute da pochissime aziende a livello mondiale, circostanza che pone un serio problema di accesso e di condivisione, poiché potrebbe aprire un solco incolmabile tra chi può utilizzare e programmare l’intelligenza artificiale e chi no, forse addirittura andando a creare due diversi tipi di esseri umani. Un problema che diventa politico e costituisce un punto di svolta del XXI secolo, imponendo di approfondire le conseguenze di tali processi sugli stati.

Le conseguenze dei robot sugli stati

Quando nel 1950 Isaac Asimov pubblicò Io, robot (16), si parlò di ‘fantascienza’. Adesso l’evoluzione della robotica e dell’intelligenza artificiale a essa applicata è divenuta matura. Infatti, se si utilizzassero le tecnologie già disponibili, la metà di quello che definiamo ‘lavoro’ scomparirebbe immediatamente. Anche se v’è chi sostiene che «il deserto occupazionale come incubo della robotizzazione è una paura largamente sovrastimata» così come «i vantaggi competitivi e di produttività consentiti dalla automazione assorbiranno i costi della disoccupazione robotica» (17). In ogni caso, innumerevoli professioni sono destinate a scomparire o a essere ridimensionate, mentre tutte le altre dovranno reinventarsi. Kurt Vonnegut, uno dei maggiori scrittori di fantascienza insieme ad Asimov e Dick, aveva scritto un intero romanzo paventando uno scenario simile all’attuale: gli uomini avevano solamente incarichi di bassissima manovalanza oppure di altissimo rilievo politico (18). Gli elenchi dei lavori destinati a sparire variano, a seconda di chi li compila: si va dai postini agli operatori dei call center, dai magazzinieri ai segretari. Nel 2016, negli Usa, 2,5 miliardi di dollari di salari sono stati sostituiti dal lavoro dei robot.

Questo potrebbe provocare inevitabili tensioni, intrecciandosi con altre tendenze. L’imprenditore Martin Ford sostiene che «nel peggiore degli scenari possibili, una combinazione di insicurezza economica diffusa, siccità e aumento dei prezzi dei generi alimentari potrebbe finire per creare instabilità politica e sociale. Il rischio più grave è che potremmo dover affrontare una ‘tempesta perfetta’, una situazione in cui la disoccupazione tecnologica e l’impatto sull’ambiente procederanno più o meno in parallelo, rinforzandosi e magari amplificandosi a vicenda» (19). Oltre allo smarrimento sociale, per le persone ci sarà anche quello psicologico, perché «quando le cose cominciano ad andare troppo veloci non siamo più capaci di cogliere il loro significato» (20). La conseguenza sarà dunque la perdita del lavoro, quindi la diminuzione delle entrate fiscali, che accentuerà il debito pubblico degli stati, con il risultato di avere meno servizi da erogare ai cittadini.

Non a caso, la proposta di tassare gradualmente il lavoro dei robot è stata avanzata da Bill Gates che, insieme a Stephen Hawking, è uno dei più preoccupati dello sviluppo dell’automazione nella società. Un rimedio a questo scenario, da un lato, potrebbe essere rappresentato dalla nascita di nuovi lavori e, dall’altro, proprio dalla tassazione delle attività automatizzate. Ci potranno essere presto anche conseguenze sul funzionamento delle istituzioni pubbliche che, in futuro, non potranno sottrarsi all’automazione artificiale, così come avviene nel settore industriale. In tale quadro, esse dovranno confrontarsi con i privati, per verificare le procedure di accertamento delle responsabilità delle azioni compiute dai robot, considerando le conseguenze che si riverberano sulla collettività. Tanto per cominciare, uno tsunami investirà il mondo dell’istruzione, poiché tanti percorsi scolastici e universitari non avranno più ragione di esistere in quanto finalizzati a formare professioni destinate a essere sostituite dalle macchine guidate dall’intelligenza artificiale. Considerando la lentezza con cui le istituzioni pubbliche gestiscono i cambiamenti, per quanto tempo riusciranno ad assolvere efficacemente la loro funzione sociale? L’educazione del futuro non potrà che essere inquadrata sotto il profilo dell’autoapprendimento continuo, sviluppando, più che l’insostituibile uso delle tecnologie, la riappropriazione degli insegnamenti di base, a cominciare dalla conoscenza delle parole.

Sotto questo profilo, nota Edgar Morin: «L’insegnamento dovrebbe comprendere un insegnamento delle incertezze che sono apparse nelle scienze fisiche, nelle scienze dell’evoluzione biologica e nelle scienze storiche […] Principi di strategia che permettano di affrontare i rischi, l’inatteso e l’incerto. Bisogna apprendere a navigare in un oceano d’incertezze attraverso arcipelaghi di certezza» (21) . In una società sempre più diseguale, quella del futuro sarà caratterizzata da «una drastica riduzione delle disparità di reddito, democratizzando l’economia globale e dando vita a una società ecologicamente più sostenibile?» (22). Sarebbe appunto la «società a costo marginale zero» prefigurata da Jeremy Rifkin che, peraltro, delinea le conseguenze dell’uso sempre maggiore delle tecnologie. Di riflesso, le élite pubbliche come possono comprendere e guidare questi cambiamenti rapidissimi? Per Ulrich Beck, decisioni fondamentali non vengono assunte da tempo nell’ambito delle democrazie parlamentari (23).

Ritorna pertanto di attualità il tema della formazione e selezione delle élite nello scenario del XXI secolo (24). Già in difficoltà con l’economia, la criminalità e il terrorismo, la politica è preparata a gestire il processo di automazione della società? In passato, gli uomini di stato provavano a guardare lontano pur restando legati al realismo politico. Adesso siamo di fronte al problema opposto: chi ha in mano le sorti del bene pubblico deve possedere la capacità di saper vedere vicino, comprendendo quello che davvero accade intorno. Se ciò dovesse continuare ad accadere, probabilmente una domanda che si porrà con sempre maggiore evidenza sarà la seguente:

«Perché bisogna ubbidire ad autorità statali che non pensano al futuro dei propri cittadini?».

Le conseguenze sull’ordine mondiale

Il fenomeno dell’applicazione dell’intelligenza artificiale nei processi lavorativi e sociali si combinerà con altre macrotendenze, probabilmente rappresentate: dalla trasformazione del potere con tensioni sempre maggiori tra pubblico e privato; dalla presenza della criminalità organizzata nel sistema sociale a livello mondiale; dalle nuove forme del conflitto, che sarà economico e culturale e combattuto prevalentemente attraverso la rete; dalla dimensione dello spazio; dal clima, dall’immigrazione e dall’esplosione demografica con le conseguenze sul piano energetico, alimentare, idrico nonché religioso e geopolitico. Tutti questi fattori s’intrecciano tra loro in modo imprevisto e imprevedibile. Probabilmente, la tendenza demografica potrà essere quella che nel medio periodo inciderà di più e l’unica variabile potrebbe essere costituita dai processi di automazione. Attualmente, il 70% della produzione e vendita di robot resta circoscritto a Giappone, Usa, Corea del Sud, Cina e Germania, ma il fenomeno è destinato a diffondersi in tutte le nazioni a economia avanzata. Un mondo davvero nuovo, in cui l’intelligenza artificiale si combinerà con internet e le altre necessità umane. Saranno avvantaggiate o penalizzate le nazioni più arretrate che avranno margini di miglioramento maggiori? Sarà irreversibile il dominio tecnologico dei paesi finora più sviluppati?

Presto si potrebbero concretizzare nuovi modelli di vita, a basso consumo, con i robot che svolgono le attività più faticose. Di fatto, almeno in Occidente, si sta realizzando una diminuzione del benessere e, pertanto, si verifica una decrescita non programmata che, per molti aspetti, è un dato di fatto e non una scelta. Ogni anno in Cina si laurea un numero impressionante di persone che, nel breve periodo, possono certamente spingere quella parte del mondo verso il raggiungimento di progressi tecnologici e della ricerca.

Di conseguenza, tutto l’ambito dell’automazione potrebbe subire una forte accelerazione proprio in quei paesi dove maggiore è la disponibilità di forza lavoro, richiedendo un’inedita organizzazione sociale. Poiché le innovazioni tecnologiche e scientifiche si possono solo rallentare ma non bloccare, in molti stati si stanno approfondendo questi concetti a livello governativo. In Gran Bretagna è stata proposta una Commission on Artificial Intelligence per aumentare la consapevolezza dei decisori governativi e dell’opinione pubblica sul tema. L’istituzione di questo organismo era contenuta nel Rapporto della Science and Technology Committee, presentato alla Camera dei Comuni nel settembre 2016. Negli Usa la Presidenza ha prodotto due documenti (ottobre e dicembre 2016), dove sono affrontati aspetti economici ed etici relativi all’intelligenza artificiale. Nell’ambito militare e per le operazioni d’intelligence l’utilizzo dell’intelligenza artificiale risolve problemi ma ne crea altri, di natura organizzativa, strutturale e di sicurezza delle informazioni. I progetti americani che implicano l’utilizzo dell’intelligenza artificiale in tali contesti sono stati studiati a fondo, così come in Israele si è riflettuto in profondità sull’utilizzo della robotica nei prossimi conflitti. Inoltre, sia i cinesi che i russi sono molto attivi nell’uso dell’intelligenza artificiale a fini bellici, suscitando la preoccupazione americana di vedere insidiato il primato nel settore. Infatti, uno dei temi in agenda è quello di valutare se l’uso dell’intelligenza artificiale possa invertire i consolidati rapporti di forza militari. In Italia, oltre al dibattito parlamentare del maggio scorso, se ne sta discutendo nell’ambito del Comitato nazionale per la Biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita della Presidenza del Consiglio dei ministri (25).

Le conseguenze per l’intelligence

In questo mundus furiosus, all’intelligence è demandato il compito di cogliere la realtà e ipotizzare gli scenari futuri. Vero centro e cuore dello stato, essa assume un ruolo sempre più importante nella logica di orientare le scelte politiche in funzione della difesa degli interessi nazionali, presenti e futuri. L’intelligence opera non in autonomia, ma sulla base delle indicazioni dei vertici istituzionali della nazione e alla luce di cambiamenti sempre più rapidi e in parte imprevedibili. Occorre dunque riflettere su quale tipo di stato si stia profilando, poiché la struttura delle istituzioni pubbliche si trasforma, con cittadini digitali che svolgono in misura rilevante attività prima compiute dagli uomini, con la disponibilità di quantità sterminate di informazioni che, tramite i Big Data, possono fornire utili indicazioni predittive. Inoltre, lo stato non è più il solo attore nello scenario geopolitico, poiché deve competere sia con gli altri stati sia con le multinazionali e le organizzazioni del crimine, i cui capitali si fondono nei paradisi fiscali e le cui attività operative diventano indistinguibili nel dark net. Negli ultimi tempi si usa sempre più spesso la definizione di deep State, spesso in relazione all’intelligence.

Nella globalizzazione abbiamo nazioni che sono in costante competizione economica per attirare risorse nei propri territori e collocare i propri prodotti nei mercati degli altri paesi. Pertanto, la sicurezza cibernetica diventa strategica, essendo la premessa del benessere nazionale. Assume quindi centralità l’intelligence economica collegata con la sicurezza cibernetica, mentre nelle Agenzie, probabilmente, non si è ancora sviluppata una marcata attenzione verso l’impatto dell’intelligenza artificiale, in conseguenza della lentezza con la quale i decisori pubblici stanno affrontando l’argomento. Cortney Weinbaum, analista della Rand Corporation, ha approfondito il tema. Da un lato, ne ha evidenziato il vantaggio strategico ma, nel contempo, ha messo in luce il pericolo di possibili manipolazioni ostili (26). È ipotizzabile che i prossimi conflitti si sposteranno dai tradizionali campi di battaglia a complessi e virtuali territori e nel cyber spazio, dove la strategia predominante sarà quella di primeggiare nel campo dell’intelligenza artificiale. I conflitti trasformeranno il personale militare passando dai Boots on the ground ai Boots on the sky e gli stati si misureranno in guerre sconosciute i cui effetti non sono per ora immaginabili. In tale dimensione, è altamente prevedibile l’uso di armi letali intelligenti, che fanno a meno del controllo umano attraverso algoritmi progettati per seguire decisioni autonome. Questo pone anche problemi di natura etica, tanto che nel giugno del 2015, durante l’International Joint Conference on Artificial Intelligence di Buenos Aires si è chiesto con una lettera aperta di bandire le cosiddette ‘armi intelligenti’.

La funzione dell’intelligence economica verrà ulteriormente esaltata, poiché sono prevedibili azioni di spionaggio industriale verso i centri di ricerca e le aziende che sviluppano l’intelligenza artificiale. Non basta, quindi, solo riflettere sulle modalità di conduzione delle guerre o sulle inevitabili ricadute etiche, ma su come queste modificazioni profonde dell’umanità possano determinare nuovi equilibri nell’ordine mondiale. Sembra confermarsi, comunque, che nonostante le spinte disgregatrici l’organizzazione statuale rimarrà sempre centrale. Pertanto, l’intelligence svolgerà un ruolo di stabilizzazione fondamentale utilizzando, contemporaneamente, sia l’intelligenza artificiale che le potenzialità umane, ampliando l’attività in entrambe le opposte direzioni. Va dunque ribadito il ruolo dell’intelligence tra decadenza degli stati ed espansione dell’economia. In tale contesto si pongono due temi specifici: da un lato, le stesse multinazionali, che già dispongono di apparati d’intelligence, possono ulteriormente potenziarli; dall’altro, i Servizi statali possono essere sempre maggiormente orientati a promuovere gli interessi delle imprese private, in quanto la potenza nazionale si identifica di fatto con quella economica.

Quale sarà, in tale dimensione, il futuro dell’intelligence pubblica? Se le forze del mercato, in mano a pochi, prevalgono su quelle delle moltitudini, i Servizi dovrebbero orientare la propria azione in funzione del bene pubblico. Infatti, le multinazionali, per loro natura, non coincidono con gli interessi di una singola nazione, tanto che hanno spesso il domicilio nei paradisi fiscali, e così le Agenzie d’intelligence dovrebbero essere molto attente alle previsioni degli impatti futuri dell’intelligenza artificiale sull’ordine mondiale, magari prevedendo al proprio interno strutture ad hoc altamente specializzate. Tanto più che gli esperimenti sull’intelligenza artificiale possono essere condotti da privati e utilizzati contro gli stati, come già accade nel cyberspazio che, nato con investimenti pubblici statunitensi, adesso è in mani private. Anche per questo, il tema deve rappresentare una priorità per i Servizi.

Conclusioni

È difficile prevedere cosa potrà accadere con l’automazione e l’intelligenza artificiale, così come ancora non si conoscono le conseguenze, nel lungo periodo, delle nuove tecnologie sulle modalità di funzionamento cerebrale dell’uomo. Il futuro è quanto mai aperto e «la sola cosa che possiamo tentare di fare è di influenzare la direzione che stiamo prendendo»(27), ipotizzando scenari.

Questo testo ha semplicemente l’obiettivo di avviare un dibattito sull’intelligenza artificiale come argomento collegato alle attività dell’intelligence nazionale, poiché oggi più che mai «dobbiamo accettare l’idea che tutto è possibile»28 e dobbiamo imparare rapidamente che non tutto ciò che è possibile è anche positivo. E, forse, l’intelligence può evitare che stati e persone rimangano spiazzati nell’era della post-verità e delle fake news, dove la menzogna diventa indistinguibile dalla verità.

Le note

  1. Staglianò 2016, pp. 126, 128.
  2. <http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/economia/2017/ 10/19/emirati-nasce-il-ministero-per-lintelligenza-artificiale_3b06b194-e9 46-4c19-8131-f416f33f7eb8.html> [06-02-2018].
  3. Attivo in questo settore è l’Istituto italiano di tecnologie di Genova.
  4. Nel rapporto Artificial Intelligence: prospettive dalla ricerca al mercato, presentato il 12 febbraio 2018 dall’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, emerge che in Italia l’intelligenza artificiale è ancora poco utilizzata dalle imprese anche se il 56% di quelle con un fatturato superiore a 1.5 miliardi di dollari se ne sta attivamente occupando.
  5. Seduta n. 792 del 9 maggio 2017.
  6. Caligiuri 2016.
  7. U. GORI, Introduzione generale (VI Conferenza nazionale sulla Cyber warfare, Milano, 3 giugno 2015).
  8. 8. Cingolani –Metta 2015, p. 21
  9. J. DE ROSNAY, Il Cybionte, intervista del 9 maggio 1995 riportata in <www.mediamente.rai.it> [06-02-2018].
  10. LONGO 2003.
  11. ANSA, Elon Musk, in futuro diventeremo ‘cyborg’. L’imprenditore, fusione tra intelligenza biologica e artificiale, Dispaccio del 14 febbraio 2017 <http://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/hitech/2017/02/14/elon-musk-in-futuro-diventeremo- cyborg_9bc2c58e-cfda-4607-8dc5-beb5d77fc9c5.html> [06-02-2018].
  12. DICK 2002.
  13. KURZWEIL 2013. Cfr. anche STAGLIANÒ 2016, p. 237.
  14. 14. U. MINOPOLI, Perché i robot non avranno il sopravvento sugli esseri umani, «Il Foglio» (13-14 maggio 2017), pp. VI-VII.
  15. 15. IVI, p. VII.
  16. ASIMOV 1950.
  17. MINOPOLI 2017, p. VI.
  18. VONNEGUT 1979.
  19. FORD 2017, pp. 293-294.
  20. BERARDI 2016, p. 278.
  21. MORIN 2001, p. 94.
  22. RIFKIN 2014.
  23. BECK 2000, p. 320.
  24. M. CALIGIURI, L’insostenibile leggerezza delle élite democratiche, «Gnosis» XXIII (2017) 1, pp. 164-173.
  25. Il Comitato è stato istituito dall’art. 40 della legge 19 febbraio 1992. Gli attuali componenti sono stati nominati con Dpcm del 13 giugno 2016.
  26. C. WEINBAUM, The Ethics of Artificial Intelligence in Intelligence Agencies, «The National Interest» (18-07-2106 <http://nationalinterest.org/blog/the-buzz/the-ethics-artificial -intelligence-intelligence-agencies-17021?page=show> [06-02-2018].
  27. 27. HARARI 2016, p. 506.
  28. MORIN 2001, pp. 96-97.

Bibliografia

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U. BECK, La società del rischio, Carocci, Roma 2000.
F. BERARDI (Bifo), L’anima al lavoro, DeriveApprodi, Roma 2016.
M. CALIGIURI, Cyber Intelligence. Tra libertà e sicurezza, Donzelli, Roma 2016.
R. CINGOLANI – G. METTA, Umani e umanoidi. Vivere con i robot, il Mulino, Bologna
2015.
P.K. DICK, Rapporto di minoranza e altri racconti, Fanucci, Roma 2002 (ed. or. 1956).
M. FORD, Il futuro senza lavoro, il Saggiatore, Milano 2017.
Y.N. HARARI, Da animali a dei, Bompiani, Milano 2016.
R. KURZWEIL, La singolarità è vicina, Apogeo, Milano 2013 (ed. or. 2005).
G.O. LONGO, Il Simbionte, Meltemi, Roma 2003.
E. MORIN, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Cortina, Milano 2001.
J. RIFKIN, La società a costo marginale Zero, Mondadori, Milano 2014.
R. STAGLIANÒ, Al posto tuo. Così web e robot ci stanno rubando il lavoro, Einaudi, Torino
2016.
K. VONNEGUT, Distruggete le macchine, Editrice Nord, Milano 1979.

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