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‘L’innovazione tecnologica al bivio, o diventa sociale oppure è un buco nell’acqua’. Intervista ad Alberto Contri (Iulm) Parte 1

Intervista a 360° ad Alberto Contri, Docente di Comunicazione Sociale alla Iulm di Milano, da anni ai vertici delle associazioni della pubblicità, sulle prospettive di sviluppo in ambito tecnologico e previsioni per il 2019. Sul tavolo intelligenza artificiale, sviluppo dei robot, lo strapotere degli OTT, l’uso smodato dei dati personali a scopi di pubblicità e le prospettive del GDPR.

Key4biz. Professor Contri, innanzitutto una curiosità: in diverse occasioni lei è stato in grado di intuire con molto anticipo come si sarebbero sviluppati i mass media e con le loro relative innovazioni. Nel suo saggio lei riporta una sua intervista data nel 1998 a Carlo Massarini per il magazine Mediamente, in cui prevedeva con notevole approssimazione l’attuale conformazione del sistema dei media. Aveva una sfera di cristallo?

 

Alberto Contri. Ma no. Avevo semplicemente applicato un mio metodo che incrocia con approccio interdisciplinare i trend di diversi settori e mercati, analizzando il tutto tenendo conto delle pulsioni, delle attitudini, del modo di pensare dell’uomo nei diversi contesti. Mi fu così possibile indicare già allora  una terza via rispetto a quelle previste da due importanti sociologi come Gilder e Kubey (che dibattevano su Teleputer e Compuvision), che oggi è l’attuale sintesi delle due, come avevo intuito. Nel mio saggio c’è un capitolo assai dettagliato su questo metodo, che avevo appreso da Ira Carlin, già CEO Worldwide del Centro Media del Gruppo Interpublic.

Key4biz. E’ poi curioso il fatto che, sempre in quell’intervista, lei proponesse, come modalità di spettacolarizzare la cultura, di realizzare una fiction sui Medici, che è stata fatta da poco.

 

Alberto Contri. Beh, è una magra consolazione essere ascoltati con vent’anni di ritardo, ma non è male poter essere ancora qui a constatarlo.

Key4biz. Come mai gli editori di tv non hanno fatto tesoro delle sue intuizioni, che lei aveva anche dettagliato in suo articolo nella pagina dei media allora curata da Marco Mele sul Sole24Ore. Era il dicembre del 94, e lei era presidente dell’Associazione Italiana Agenzie di pubblicità, una figura di riferimento…

 

Alberto Contri. Il motivo è semplice, e lo vediamo anche oggi in occasione degli entusiasmi per i big data e l’I.A. Si trattava di interesse, mero interesse per il proprio business e scarsa propensione a mettersi in discussione. Allora la tv era, e lo è ancora oggi, un ottimo affare: preannunciare una frammentazione dei media in cui la tv generalista avrebbe avuto meno peso, era quasi considerata una forma di terrorismo commerciale. Così tutte le energie venivano impegnate nel mantenere lo status quo. Il risultato è che, anche quando sono stati costretti a prendere sul serio il web, gli editori televisivi pubblici e privati hanno poi sempre inteso le loro attività internet soprattutto come momenti di promozione dei canali generalisti e anche digitali, dimenticando che in realtà le audience dei diversi media hanno modalità di fruizione differenti. Accade così che ancora oggi prevalga un approccio piuttosto stereotipato al business della pubblicità.

Key4biz. Anche gli editori della stampa hanno fatto analogo errore?

 

Alberto Contri. Certo che sì. Pensando che i siti internet dovessero servire a promuovere le copie cartacee, hanno regalato per anni l’informazione on-line. E adesso non riescono a sostituire la perdita delle copie stampate con la lettura via internet, perché è oggettivamente duro farsi pagare ciò che è sempre stato dato via gratis. Inoltre, tra rassegne stampa via radio e aggregatori gratuiti di notizie, la concorrenza è sempre più forte. Ma c’è un altro grave errore che testimonia la resistenza al cambiamento e l’incapacità di leggerlo. Gli illustri editorialisti dei grandi quotidiani ci ammollano ogni giorno articoli anche di diecimila battute, quando non solo i più giovani sono affetti dalla sindrome della costante attenzione parziale. Non resistono alla tentazione di mostrare la loro erudizione, dimentichi pure della lezione di Montanelli e Biagi, capaci di sintetizzare importanti questioni in editoriali di sessanta righe. Last but not least, vorrei citare un altro errore che non tiene conto del tempo come fattore critico: la paradossale ricchezza dei siti dei giornali. Chi vuol dare un’occhiata alle notizie prima di uscire di casa e apre un sito, si trova davanti ad uno scroll di due metri, un’insalata russa di notizie importanti, gossip e soubrette svestite, commodity reperibili ovunque. Così, preso da scoramento, preferisce dare un’occhiata a Google News. Mentre fare un vero lavoro editoriale significa selezionare le poche notizie più importanti, e con il metodo della sintesi alla Biagi, rimandando a sottomenù tutto il resto. Ci vuole così tanto a capirlo?

Key4biz. Lei ha accomunato nello stesso giudizio critico anche algoritmi e I.A., che attengono proprio ad innovazione e ricerca. Non c’è contraddizione?

 

Alberto Contri. Può apparire paradossale, ma l’approccio che vedo intorno a me invece è analogo: tutto si fa ancora una volta per l’interesse immediato. Per quanto riguarda la pubblicità, famose società di consulenza, praticamente monopoliste nei servizi per l’informatica, si sono buttate sui big data e sugli algoritmi ritenendo che questi siano il nuovo universo in cui solo loro sarebbero capaci di muoversi. Così hanno acquisito e stanno acquisendo a man bassa agenzie cosiddette “digitali”  cercando di sottrarre clienti alle agenzie di pubblicità tradizionali. Spingono l’acceleratore di un veicolo che ritengono di essere gli unici a saper manovrare. Ma stanno facendo i conti senza l’oste: innanzitutto il know-how della costruzione e della promozione del valore della marca richiede una competenza consolidata che non si può affidare ad un plotone di giovani nerd che ticchettano tutto il giorno sui loro pc. E poi (cito un creativo di grande esperienza come Andrea Concato): “Quando hai ben trovato Gino, dovrai pur sapergli dire qualcosa…”. Il che la dice lunga sul fatto che i dati, da soli, sono una mera commodity. Inoltre, e questa è una preoccupazione che sta serpeggiando tra alcuni seri analisti del settore, comincia ad emergere il dubbio che anche alti numeri di click o views non si trasformino poi così facilmente come si pensava in atti d’acquisto…

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