Il processo che ha dato il via alle liberalizzazioni è iniziato tre decenni fa, un arco temporale che sembra enorme per qualsiasi analisi economica, ma che dobbiamo tenere in considerazione perché è da quel momento che i Paesi e le industrie di tutto il mondo hanno creduto nella possibilità di una crescita economica che non prevedesse l’intervento pubblico.
Ad accompagnare questo lento processo di cambiamento, sono intervenuti eventi politici e normativi che hanno dato vita alle regole che ancora oggi applichiamo nella disciplina dei mercati a rete.
Tutto ciò è servito a creare le condizioni affinché – attraverso una maggiore competizione sul mercato – si potessero fornire ai consumatori servizi innovativi a prezzi più bassi ma, come sovente accade, le grandi liberalizzazioni di settore, solo in alcuni casi sono da considerarsi pienamente riuscite.
In molti casi abbiamo assistito ad una sorta di involuzione del mercato, finito in mano a pochi player che avendo natura sovranazionale, si comportano dispoticamente verso tutti: verso le istituzioni che ignorano, verso il fisco che eludono, verso l’ambiente che non rispettano, verso i loro stessi clienti che non hanno più nemmeno diritti, ma obblighi.
Senza bisogno di scomodare i grandi pensatori del passato che hanno arricchito di formule i manuali di Scienza delle finanze, non vi è alcun dubbio che laddove i processi di liberalizzazione non hanno fornito risultati adeguati ci troviamo di fronte a un fallimento del mercato.
Non esiste nessun manuale ad oggi – per quanto gli scaffali delle biblioteche siano ricchi di teorie più o meno condivisibili su come possa essere facilitato un processo di nuova statalizzazione – che spieghi che quello che viviamo è un momento economico dominato da pochi grandi player mondiali che rivaleggiano con una interdipendenza infrastrutturale e di capitali dove la logica è quella di chiudere il mercato, non di aprirlo, e dove lo Stato è chiamato nuovamente ad intervenire nell’economia per sanare le diseconomie di scala e di scopo create dai giganti di cui sopra.
Sarà forse per questo che assumono oggi un ruolo fondamentale le Autorità indipendenti che sono state create per cercare di abbattere le barriere all’ingresso, e che devono determinare geograficamente i mercati regolandoli, intervenendo magari successivamente con sanzioni per mantenerli efficienti ed in crescita.
Un mercato globalizzato che ha confuso beni e servizi ha bisogno di soluzioni normative innovative e che sappiano immaginare un futuro che non è più lo stesso che avevamo pensato 30 anni fa e che non può essere fermato in alcun modo. Pensiamo ad Uber ed i Taxi. Pensiamo ad Amazon ed al rapporto tra il libro fisico come bene rispetto all’ebook come servizio.
I discorsi sulle economie di scopo e di scala a questo punto possono essere insufficienti a spiegare il periodo economico che stiamo vivendo: c’è molto altro.
Se la dottrina economica può fare qualcosa è non limitarsi a spiegare il fenomeno che conosciamo e nemmeno fermarsi a studiare le conseguenze perché ormai è tardi e quelle conseguenze le stiamo già vivendo. La chiamano “innovazione senza consenso”.
Il punto è riuscire ad anticipare le sfide economiche dei prossimi anni in chiave di crescita che purtroppo oggi viene interpretata solo attraverso le cosiddette concentrazioni in un mercato globalizzato dove le istituzioni restano inascoltate, i provvedimenti arrivano tardivi e le misure sanzionatorie non sono riuscite a colmare quel gap che si forma quando l’innovazione è fatta ostaggio di pochi giganti che si contendono il mercato mondiale.