Crollo delle immatricolazioni auto in Italia
Secondo i dati appena pubblicati dall’Associazione europea dei costruttori (ACEA) le nuove immatricolazioni di auto a febbraio di quest’anno sono crollate del 22,6% in Italia, il dato peggiore dell’intera Unione europea.
Segue la Francia con una perdita del 13%. Complessivamente, l’Unione registra un calo del 6,7%, mitigato dai buoni risultati in controtendenza di Spagna e Germania, che hanno rispettivamente registrato un +6,6% e un +3,2% di nuove immatricolazioni.
Prendendo in considerazione il primo bimestre del 2022, il dato generale è un taglio delle nuove immatricolazioni del 6,4% su base annua.
I motivi alla base di questo crollo sono sempre gli stessi da almeno la fine del 2020: i blocchi e i rallentamenti alla produzione dovuti alla pandemia di Covid-19 prima e alla carenza di materie prime e componenti base poi, dalle interruzioni degli approvvigionamenti al rialzo dei prezzi dell’energia, fino agli effetti del cambiamento climatico soprattutto nell’estremo oriente.
Gli effetti della guerra sull’industria UE dell’auto
Come se non bastasse, dal 24 febbraio la Russia ha avviato un’operazione militare speciale in Ucraina, invadendola di fatto con mezzi corazzati e soldati. Evento tragico questo che ha già causato migliaia di perdite umane e molte altre ne causerà se non verrà fermato quanto prima, ma che allo stesso tempo ha e avrà effetti profondi e duraturi anche sul tessuto economico ed industriale di molti Paesi attori non principali di questo teatro di guerra.
Rimanendo in Europa, l’industria automobilistica dei principali mercati interni come Germania, Italia, Francia e Spagna, potrebbe subire un ulteriore contraccolpo, con conseguenti perdite in termini di vendite e di auto prodotte.
Questo perché congelando ogni rapporto con la Russia in primis, ma anche con l’Ucraina, che è terreno di conflitto e di morte ormai, si interrompono anche le forniture di materie prime e componentistica fondamentali per l’industria automobilistica.
Cercare alternative alle forniture russe
Mosca rappresenta il 40% del mercato globale del palladio, impiegato nei sistemi di scarico delle automobili, in particolare nelle marmitte catalitiche delle auto con motore a combustione (dove aiuta a trasformare gli inquinanti tossici in anidride carbonica e vapore acqueo meno dannosi).
Anche la produzione di veicoli elettrici sta subendo gli effetti negativi del conflitto, perché Mosca è il terzo produttore mondiale di nichel, che è indispensabile per fabbricare batterie.
Alternative ci sono e si possono trovare, basta rivolgersi ad altri Paesi fornitori, ma in una situazione del genere, accade anche che la concorrenza si approfitti della crisi globale e rialzi di nuovo i prezzi.
Nel caso del palladio, ad esempio, il Sudafrica e lo Zimbawe potrebbero garantire nuove forniture, ma dall’inizio di marzo il prezzo è aumentato del 47% rispetto a dicembre scorso.
La guerra di fatto potrebbe aumentare il prezzo medio di un veicolo sul mercato europeo di 150 dollari circa per i consumatori finali, cioè noi.
Fuori dall’interdipendenza globale, chi ha voglia di scommettere sull’Europa?
L’interdipendenza mondiale non è di per sé un male, ma l’elevata competizione tra blocchi ci ha portati ad una vera e propria crisi sistemica, in cui la parola d’ordine è “carenza”. In questa nuova era della scarsità di ogni cosa c’è da chiedersi chi alla fine pagherà i costi di ogni perturbazione economica e finanziaria, i costi della guerra, dei cambiamenti climatici e delle pandemie.
Saranno i produttori o saremo noi consumatori? l’industria dell’auto cercherà di assorbire e ammortizzare questo surplus di costi o semplicemente ce li scaricherà addosso?
La via di uscita è certamente l’intensificazione dell’attività diplomatica tra Kiev e Mosca (con in mezzo Pechino, Bruxelles e Washington), ma anche un cambio di passo nelle politiche industriali dell’Unione.
L’unico modo per l’Europa di non subire i ricatti e i sabotaggi da parte dei mercati a forte polarizzazione geopolitica, è ritrovare una propria industria manifatturiera, dei nuovi canali di approvvigionamento delle materie prime più sicuri e stabili, un nuovo modello crescita non più basato sul consumo sfrenato e una visione politica e sociale orientata ad un futuro davvero decarbonizzato, portatore anche di nuovi modelli di business.